di seguito l’articolo di Leonardo Berlen pubblicato su QualeEnergia.it, che ringraziamo.
L’equilibrio della rete elettrica nazionale è da sempre affidato agli impianti idroelettrici e ai pompaggi per l’accumulo, ma questi ultimi sono oggi poco sfruttati.
Ma come abbiamo scritto su queste pagine (vedi ad es. “Ma dove sono finiti i pompaggi italiani?”), e come riporta anche Arera (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente), l’energia destinata al pompaggio è stata nel 2019 pari a 2,4 TWh, a fronte di produzione lorda di appena 1,8 TWh (fonte: Terna) sia nel 2019 che nel 2020.
Quindi relativamente al pompaggio idroelettrico ad oggi la differenza fra l’energia impiegata (input) e l’energia ricavata (output) sarebbe pari ad una perdita del 25% in questi impianti.
Ma poi il fatto più rilevante è che dal 2000, nonostante un leggero aumento della potenza degli impianti di pompaggio installati (oggi di 7,6 GW, +5% rispetto al 2000), si è registrata una riduzione di oltre 4 volte della loro produzione, in controtendenza rispetto a quanto avviene in altri paesi Europei (Spagna, Germania, Francia, Austria, Gran Bretagna).
In Italia mentre nel 2002 (picco storico di produzione), venivano generati circa 8 TWh, nel 2020, come detto, si scendeva a 1,8 TWh (nel grafico i dati Terna fino al 2019).
Perché esiste questa anomalia?
Perché in Italia i pompaggi sono così sottoutilizzati quando sappiamo (come spiega in alcuni suoi documenti anche Terna) che questi impianti costituiscono una risorsa strategica per il sistema elettrico nazionale, ideali per fornire servizi pregiati di regolazione di frequenza e tensione, e visto che saranno sempre più rilevanti con la crescente penetrazione delle fonti rinnovabili intermittenti come eolico e fotovoltaico?
Le ragioni sono diverse, ma potrebbero essere condensate nel fatto che nel mercato del pompaggio idroelettrico esiste una posizione dominante di Enel (secondo dati Arera il 96% del totale).
E l’azienda non sembra avere troppo interesse a danneggiare il proprio business delle sue centrali termoelettriche a carbone e a gas, avvantaggiate durante i picchi di prezzo nelle ore serali quanto l’energia solare non può competere, a tutto detrimento delle fonti rinnovabili.
È vero che gli impianti esistenti sono concentrati soprattutto nel nord Italia lungo l’arco alpino, mentre il maggiore sviluppo di parchi eolici e fotovoltaici è oggi nel meridione e nelle isole, ma questo è solo parte delle cause di questa situazione, affrontabile con il trasferimento di elettricità da sud a nord ed eventualmente con la realizzazione di alcuni bacini idroelettrici anche nel Mezzogiorno.
Ma fare nuovi impianti è collegato al nocciolo vero della questione, che è prettamente di mercato: la produzione da apporti di pompaggio è conveniente solo se il prezzo di vendita dell’energia è superiore di 1,4 volte al costo di acquisto, come ha anche dichiarato Terna. Però la produzione elettrica dal pompaggio è diminuita nel tempo con la forte riduzione del differenziale di prezzo tra ore del giorno e della notte. Oggi non è conveniente per Enel tenere in esercizio questi impianti che vengono sostituiti allo scopo da centrali ad esempio ciclo combinato, meno efficienti, meno flessibili e affidabili.
RSE in un suo recente documento metteva in evidenza come questa forma di accumulo andrebbe incentivata nella misura in cui essa effettivamente favorisce il massimo dispacciamento dell’energia rinnovabile prodotta, e quindi andrebbe negoziata sul mercato dei servizi di dispacciamento (MSD), anziché sul mercato del giorno prima (MGP). In pratica, spiegava RSE, “si tratta di trasferire le logiche di incentivazione dalla potenza installata all’energia effettivamente immessa nel sistema”. Allora sarebbe necessario rivedere le attuali modalità di gestione degli impianti di pompaggio. E qui entra in campo il ruolo di Arera, che secondo alcuni esperti energetici in questo ambito non sta svolgendo appieno la propria funzione di garante della concorrenza.
Cosa potrebbe fare l’Autorità?
Sempre secondo alcuni osservatori del mercato energetico, dovrebbe togliere ad Enel il monopolio sui pompaggi, obbligando l’utility a vendere una quota di almeno il 70% dei suoi impianti di pompaggio ad altri operatori privati, oppure, e forse questa potrebbe essere l’opzione preferibile, togliere ad Enel la gestione dei pompaggi per trasferirla a Terna, la società che si occupa della trasmissione elettrica e che da anni guarda con interesse a questa soluzione, finora bocciata dai precedenti governi.
Quale potrebbe essere il potenziale sfruttabile del pompaggio idroelettrico in Italia?
Secondo l’ingegner Alex Sorokin, che abbiamo sentito per questo calcolo, si potrebbe arrivare a quasi 25 TWh/anno, pari all’8% dell’attuale richiesta elettrica nazionale, non poco, considerando che sarebbe elettricità da utilizzare proprio quando, ad esempio, non c’è la produzione di solare.
Si tratta di un calcolo indicativo a cui si può arrivare ipotizzando in via approssimativa e partendo dall’attuale potenza (7.660 MW), un terzo del tempo (8 ore al giorno) dedicato alla carica degli accumuli (invasi) idroelettrici nazionali, mentre il tempo rimanente (16 ore/giorno) resterebbe disponibile per la scarica ovvero generazione di energia elettrica.
Va ricordato che l’attuale input di 2,4 TWh/anno di energia consumata dai pompaggi, sta a significare che mediamente le pompe idroelettriche lavorano soltanto 0,6 ore/giorno, quindi circa 210 ore/anno. Nel 2000 questo numero di ore era di circa 930 ore/anno (+75% circa rispetto ad oggi).
Una delle soluzioni proposte per spingere lo storage idroelettrico potrebbe essere l’accoppiamento virtuale fra unità produttive rinnovabili e sistemi di pompaggio idroelettrico. In questo modo, eventuali eccedenze di produzione di energia rinnovabile in rete potranno essere utilizzate negli impianti di pompaggio associati, invece di essere decurtati (e sprecati) come avviene oggi su disposizione del dispacciamento nazionale.
Resta un punto fermo: i pompaggi sono in Italia una risorsa già pronta per iniziare una vera transzione energetica e vanno utilizzati da subito.
DI SEGUITO LA REPLICA INVIATA DA ENEL DOPO LA PUBBLICAZIONE DI QUESTO ARTICOLO
La replica di Enel
Con riferimento all’articolo “Ecco perché il pompaggio idroelettrico va sottratto al monopolio di Enel”, sono opportune alcune considerazioni e precisazioni. Enel è impegnata, in Italia e nel mondo, nella progressiva sostituzione delle fonti fossili con la produzione rinnovabile, e oggi ha una quota molto limitata sulla produzione termoelettrica nazionale (solo il 12,5% nel 2020). L’associazione proposta dall’articolo tra esercizio del pompaggio e presunti vantaggi per i “grandi impianti di produzione Enel” è quindi priva di fondamento. Enel, consapevole dell’importanza degli impianti di pompaggio, che costituiscono una risorsa fondamentale per il sistema elettrico per le loro caratteristiche di estrema flessibilità, è sempre impegnata a garantirne le migliori performance tecniche, avendo acquisito nel tempo un know-how unico. Il diverso utilizzo di questa tecnologia nel corso degli anni è da ricondurre esclusivamente al mutamento del contesto energetico. Tra gli anni ‘90 e il primo decennio del 2000 il sistema energetico italiano era caratterizzato da numerosi impianti di produzione poco flessibili, che non potevano essere spenti o accesi in tempi rapidi secondo le necessità del momento. Questo comportava la presenza di surplus di produzione di energia, in particolare nelle ore notturne, che veniva utilizzata per i pompaggi idroelettrici, con conseguente elevato livello di utilizzo. Oggi il sistema elettrico è profondamente cambiato ed è caratterizzato da un parco impianti termoelettrico molto più flessibile, in prevalenza alimentato a gas naturale, e da un importante ruolo delle fonti rinnovabili non programmabili; la quantità oggi presente di queste fonti (eolico e fotovoltaico) non è però ancora tale da rendere necessario un ricorso costante all’accumulo, anche tenendo conto dell’elevata flessibilità nel frattempo raggiunta dagli impianti convenzionali che possono ridurre agevolmente la propria immissione facendo spazio in rete all’energia delle fonti rinnovabili, garantendo nel complesso una maggiore efficienza del sistema. A determinare un utilizzo ridotto degli impianti di pompaggio è anche il loro posizionamento geografico, con una forte presenza al nord (>60) rispetto ad una concentrazione delle rinnovabili intermittenti localizzata al sud, situazione che potrà essere superata con il miglioramento dei collegamenti Nord-Sud previsti nel piano di sviluppo della Rete. Oggi il principale utilizzo dei pompaggi avviene quindi nell’ambito del mercato dei servizi di dispacciamento, dove forniscono il massimo contributo di flessibilità. In questo contesto, l’operatore di Sistema (Terna) dispone pienamente della risorsa e la utilizza nella misura necessaria per soddisfare le esigenze di esercizio della rete. Enel lavora costantemente per garantirne la massima disponibilità e la capacità di entrare in servizio per assicurare il miglior supporto di flessibilità al sistema elettrico. Riguardo i possibili scenari di utilizzo per il futuro, in un sistema energetico che presenterà un’incidenza sempre maggiore delle fonti rinnovabili nel mix di generazione, è prevedibile che i pompaggi potranno consumare energia nelle ore centrali della giornata per poi produrla in momenti diversi con minore produzione eolica e fotovoltaica, tornando a livelli di utilizzo analoghi o superiori a quelli del passato. Sia il PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e Clima) che i recenti Piani di Sviluppo della Rete indicano la necessità di ulteriore capacità di accumulo con degli obiettivi di capacità: in particolare al 2030 si prevede fino a 10,5 GW tra sistemi distribuiti e centralizzati, di cui 3 GW di pompaggio. Il mantenimento in efficienza degli impianti esistenti e lo sviluppo di nuova capacità da parte degli operatori di mercato grazie a meccanismi competitivi consentiranno quindi di disporre di una capacità complessiva di accumulo adeguata ai nuovi livelli di presenza di rinnovabili.
Sarebbe interessante e opportuno avere maggiori chiarimenti sulle esatte modalità di messa a disposizione di Terna di risorse strategiche come i pompaggi idroelettrici, questi sì, senza emissioni a differenza di impianti termoelettrici alimentati a fonti fossili. Resta il fatto che sfruttare meglio gli esistenti pompaggi e realizzarne di nuovi sarebbero essenziali al tanto decantato processso di decarbonizzazione del sistema elettrico nazionale, valorizzando fonti rinnovabili intermittenti come il solare FV e l’eolico. Una scelta di questo tipo dovrebbe essere delineata da politiche energetiche ad hoc e non unicamente da logiche di mercato (L. Berlen – QualEnergia.it).