di Danilo Della Valle – In queste settimane caratterizzate dalle temperature roventi, le proteste di piazza e il dibattito politico nazionale sembrano aver anticipato di qualche mese il preannunciato “autunno caldo” nel nostro Paese. Ho partecipato a diverse di queste dimostrazioni in Campania, al fianco dei percettori che si vedranno venir meno il reddito di cittadinanza che gli aveva dato una certa tranquillità, dei lavoratori in sciopero per avere migliori condizioni di lavoro o per solidarietà con licenziamenti a dir poco “ingiusti”, di disoccupati che marciavano al grido di “lavorare meno lavorare tutti”. Le proteste di tutte quelle categorie che troppo spesso parte della politica, e le destre liberiste in particolare, tendono a dividere e metter contro. Del resto non c’è cosa più semplice che soffiare sulla guerra tra poveri.
Ciò che accomuna tutte queste lotte riguarda essenzialmente la qualità della vita che è sicuramente, per diversi motivi, non soddisfacente.
Eppure il mondo sta cambiando molto velocemente, ma la politica non riesce ancora a interpretare questo cambiamento né a capirlo per raccontarlo pienamente né a organizzarsi per gestire al meglio gli scenari futuri.
A raccontarlo, talvolta, ci riescono altri settori, come quello del cinema.
Ci è riuscito abilmente Erik Gandini (regista italiano, naturalizzato svedese, che diresse “Videocracy”) nel suo ultimo docufilm intitolato “After Work”. Trovando ispirazione dagli scritti sull’ideologia del lavoro di Roland Paulsen, il regista ha voluto “catturare il futuro attraverso il presente”, intrecciando storie di lavoratori e non, toccando le origini dell’etica del lavoro e arrivando fino al consumo ostentatorio di una parte di società.
Dall’Italia, dove un ereditiere racconta il lavoro dei suoi sogni da giardiniere perché “non esiste non far nulla”, alla ricca Corea del Sud tediata dal troppo lavoro che distrugge le famiglie, che causa un tasso di suicidi altissimo e dall’eccessiva etica del lavoro che porta molti lavoratori ad avere turni da schiavi (dalle 7 del mattino alle 23) tanto da spingere il governo ad avviare campagna pubblicitarie per “liberarsi dalla società del super lavoro” e godersi il tempo libero. Passando per gli Stati Uniti con la storia dei lavoratori del colosso Amazon, le cui condizioni psicofisiche sono messe a dura prova dalla rigida politica di sorveglianza della multinazionale, e il Kuwait dove i soldi e il tempo non vengono usati per “approfondire e intensificare l’umanità”.
Viviamo in un sistema dove la povertà e le disuguaglianze aumentano di giorno in giorno, soprattutto nei Paesi più ricchi. In tutto ciò la politica non fa molto, ancora, per invertire la rotta, dato che non ha il minimo controllo sull’economia né la volontà di risolvere questo problema. E così in Italia il 12% dei lavoratori risulta essere povero, in Unione Europea la cifra si attesta tra l’8 e il 10%, una enormità; lavoratori che guadagnano meno di 11.500 euro annui. Intere famiglie che nonostante il lavoro non riescono a vivere del proprio salario, né ad avere il tempo necessario per coltivare le proprie passioni, con il risultato troppo spesso di finire nel vortice dei prestiti e dei finanziamenti da cui dipendono per anni, con una infelicità e una preoccupazione costanti. Il tutto, nella maggior parte dei casi, è inversamente proporzionale agli orari di lavoro e al tipo di lavoro; più lavori, e più fai lavori usuranti o alienanti, più hai condizioni di lavoro da schiavitù e più sei povero.
A ciò ci sono da aggiungere i dati sulla povertà in generale, di cittadini disoccupati e ai margini della società, che non hanno una casa o non hanno una indipendenza economica, così che il quadro risulta sempre più preoccupante.
Ad oggi abbiamo nel mondo l’85% dei lavoratori che si possono considerare “non inseriti o attivamente disimpegnati”, ossia che passano il tempo a fare cose poco utili o pensano che ciò che fanno non sia importante. Molti di questi lavori possono considerarsi effettivamente almeno “alienanti”, se non direttamente inutili, e molto probabilmente non esisteranno più nel breve periodo. A molti sembra fantascienza ma non lo è, purtroppo. Semplicemente ci troviamo dinanzi all’epoca in cui ci sarà il passaggio ad uno step successivo; se pensiamo che negli Usa 200 anni fa i lavoratori nel settore agricolo erano la stragrande maggioranze ed oggi sono solo l’1%. Il problema è capire come governare questo cambiamento in positivo e non in negativo. Secondo una ricerca condotta dal McKinsey Global Institute 1 lavoratore su 16 potrebbe essere costretto a cambiare, o perdere, lavoro entro il 2030. 100 milioni di posti di lavoro per quanto riguarda le maggiori 8 economie al mondo.
Lavori che oggi non esistono, nella maggior parte dei casi. E al contrario saranno tanti i lavori, soprattutto quelli meno qualificati, quelli di produzione o di alcuni servizi, che subiranno un taglio notevole di posti di lavoro visto l’avanzata di automazione e intelligenza artificiale. Ciò significa che intere categorie di lavoratori si troveranno in un limbo, tagliate fuori dal mercato del lavoro o per non avere, ancora, una qualifica adeguata per svolgere i nuovi lavori o per una questione anagrafica.
Secondo Chomsky,– tra i protagonisti del docufilm – la tecnologia dovrebbe “liberarci dal lavoro”, o meglio, da quei lavori “noiosi, pericolosi e stupidi” e, unita al reddito universale, far in modo che le persone si possano dedicare a lavori “creativi e liberi”.
In un mondo che va sempre più verso l’automazione con conseguente perdita di milioni di posti di lavoro, in un mondo in cui le diseguaglianze sono destinate a crescere e l’accumulazione di ricchezze di pochi ai danni di molti sono in aumento come bisogna reagire? Sarebbe forse ora che in un momento epocale di svolta per il mondo del lavoro, le lotte sociali per la settimana corta, per i salari più giusti ed equi e per il reddito universale si uniscano in una sola e grande voce per conquistare nuovi diritti e diritti persi, ricordando che siamo la maggioranza, non più silenziosa, su questa terra.
Di seguito il trailer del film, uscito nelle sale il 15 Giugno e ancora in proiezione. Qui tutte le info.
L’AUTORE
Danilo Della Valle, laureato in scienze politiche e relazioni internazionali (con tesi sull’entrata della Russia, nel Wto); Master in Comunicazione e Consulenza politica e Scuola di formazione “Escuela del buen vivir” del Ministero degli Esteri Ecuadoriano. Si occupa di analisi politica, principalmente di Eurasia. Scrive per l’antidiplomatico, “Il mondo alla rovescia”.
L’immagine del post è tratta dal manifesto di “After Work”