di Paolo Fiorentino – Uno studio pubblicato su Science Advances da un team della University of California descriveva che l’uomo tra il 1950 e il 2015 aveva già prodotto circa 8,3 miliardi di tonnellate di plastica. Una quantità enorme, equivalente alla massa/peso di 822 mila torri Eiffel parigine; o pari a 80 milioni di balene azzurre, creature più grandi mai apparse sulla terra, ormai in estinzione anche per la rottura dell’equilibrio biomarino causato dalla plastica (che nuoce persino al plancton). Ma segno allarmante, il trend produttivo di plastica risulta a crescita esponenziale, la plastica si inizia a stratificate nei sedimenti rocciosi, e prima della fine del secolo in mare ci potrebbe essere più plastica che pesci. E’ quindi sensato affermare che alla nostra epoca geologica provocatoriamente si potrebbe riferire il termine di Era “Plasticene” o “Plasticocene”. Nel 2023 sono stati prodotti 500 miliardi di sacchetti di plastica (1 milione al minuto) destinati a finire sminuzzati in ogni dove.
sedimenti di plastica stratificati ai lati del letto di un fiume in secca in Spagna
La plastica come inquinante invade mare, suolo, aria, alimenti assimilati, permeando per addizione le catene alimentari. Deteriorandosi e sbriciolandosi in minuscoli frammenti viene ingerita o respirata insinuandosi nei vari distretti del corpo sotto forma di micro e nanoparticelle. Un recentissimo studio su Proceedings of National Academy of Sciences rileva che la maggior parte delle acque potabili in bottiglia di plastica contiene in media per ogni litro circa 250mila minuscole particelle plastiche invisibili. Anche in animali a stretto contatto dell’uomo, come i cani, sono state ritrovate plastiche. Gli effetti per la salute non sono del tutto noti ma impongono responsabile allerta e necessità di porre subito rimedio. Microschegge di plastica infarciscono sempre più fegato, reni, cuore, gonadi e placente, vasi sanguigni, polmoni. Sono stati trovati accumuli di poliestere (usato per imballaggi) e di polietilene (usato per le pellicole alimentari) nel midollo osseo. Cosa forse più preoccupante la plastica è arrivata persino nel tessuto cerebrale, in quantita’ da 10 a 20 volte maggiore rispetto ad altri organi. Nonostante il cervello, organo più prezioso, sia difeso e protetto da una barriera anatomica strutturale chiamata “ematoencefalica”, che riesce a bloccare molte molecole estranee ma che risulta permeabile alle nanoparticelle plastiche, e di conseguenza in rischiosa balia di tutte le sostanze chimiche usate per lo loro sintesi (es. ftalati). Secondo un recente dato tossicologico, estrapolato dal prof M. Campen della University of New Mexico, in campioni di tessuti cerebrali esaminati si sono riscontrati addirittura lo 0,5 % di plastica – per termine di paragone basta sapere che il cervello di norma contiene simili quantità di zuccheri e di sali (1% circa)- . Altra cattiva notizia: il bioaccumulo di plastica nel cervello tende ad aumentare negli anni con un picco del 50% in più nei campioni cerebrali del 2024 rispetto a quelli del 2016.
Conseguenze?
Essendo questi dati shock scoperti solo di recente ci si chiede fino a che punto ciò possa condizionare a medio e lungo termine il corretto funzionamento di un organo colpito. In un bimbo quanto in un adulto potrebbe creare stress ossidativo, danno cellulare e dei cromosomi (quindi del DNA), infiammazione, malattie degenerative. Reazioni imponderabili nel sistema immunitario, riproduttivo e del circuito ormonale, interconnessi nell’equilibrio funzionale del corpo umano. Dati ancora parziali rilevano in campioni cerebrali di persone affette da demenza senile e Alzheimer una presenza di plastica 10 volte maggiore rispetto a campioni sani, pur non ancora provandosi una causa-effetto. Sono state trovate microplastiche nelle placche di arterie carotidi, potendo fungere da nucleo induttivo delle stesse placche, con conseguente rischio cerebrovascolare di ictus o infarto.
Cosa fare?
L’Environmental Protection Agency americana sta investendo importanti risorse per lo sviluppo di nuovi sistemi di rilevazione e quantificazione delle plastiche. Il fine è creare banche dati, ispirare regole legislative, permettere di approntare rimedi incisivi anche con l’uso dell’Intelligenza Artificiale. E’ sempre più grande la preoccupazione per l’ormai frequente ritrovamento di microplastiche dentro gli organi di esseri viventi. Gli esperti suggeriscono di eliminare, o almeno ridurre quanto più possibile, l’esposizione alla plastica nella nostra vita. Non usare plastica (incluse bottiglie) monouso e evitare la preparazione e conservazione di cibi nella plastica. Ciò ridurrebbe sia l’inquinamento ambientale che l’accumulo di plastica negli esseri viventi.
La plastica in medicina
La medicina si serve anche di componenti in materiale plastico, spesso insostituibili o indispensabili per la stessa vita umana (es. cateteri, protesi, sonde, etc). Ma non è sempre così. A volte si usa plastica quasi inutilmente, per metodiche mediche banalmente sostitutive magari per marketing e marcata percezione estetica, con inconsapevolezza del paziente e dello stesso operatore sanitario non opportunamente informati a causa della ancora scarsità di studi scientifici nel settore. Un potenziale esempio medico potrebbe essere l’uso, sempre più reclamizzato come panacea estetica, di allineatori trasparenti in materiale plastico per raddrizzare i denti al posto dei tradizionali sistemi ortodontici plastic free. Portare in bocca 24 h al giorno gli allineatori di materiale plastico sulle arcate dentarie comporta necessariamente il loro deteriorarsi a causa dell’azione traumatica dentale e dei liquidi orali, potendosi staccare nanoparticelle invisibili a ogni istante. Del resto è comune notare invece a occhio nudo i graffi più o meno immediati da usura, insieme a segni di danno con micro perdite di sostanza più e meno estese sulla loro superfice, i cui minuscoli frammenti potrebbero seguire il ciclo preoccupante anzidetto. La valutazione dei potenziali rischi costi-benefici delle plastiche a fini medici dovrebbe essere regolato con direttive e ponderato secondo scienza e coscienza, informando sempre il paziente sulle implicazioni e soprattutto dell’esistenza e uso di valide metodiche alternative plastic free da preferire.
Soluzioni?
Un recente articolo su Applied Engineering Materials accende forse una speranza per il futuro, descrivendo una metodica innovativa che riesce a eliminare fino al 98% delle microplastiche nelle acque sia dolci che marine. Il metodo sostenibile testato impiega solventi eutettici a bassa tossicità, che galleggiano come olio, e dopo veloce miscelazione facilitano il trasferimento delle particelle plastiche fino in superfice, per potere poi essere facilmente rimosse aggregate (P. Ishtaweera et al., 2024). Esistono anche specifici batteri “mangia-nylon o mangia-polimeri” in alcuni ambienti, evoluti attraverso mutazione genetica indotta. Ma non sappiamo se la natura sarà in grado di aiutarci su larga scala in questa silente “pandemia” globale umana di microplastiche, sempre più sfuggita di mano, simile a una bomba a orologeria. Per sorta di contrappasso tra uomo e natura siamo in “red flag”. Fare molta attenzione: chi di plastica ferisce, di plastica….perisce
L’AUTORE
Paolo Fiorentino – PhD. Già ricercatore e professore a contratto presso University of Toronto, University of Rochester, e Università degli Studi di Torino. Autore di pubblicazioni scientifiche su dolore e neuroscienze. Consulente clinico-scientifico su dolore e dismorfismi orofacciali. Ha pubblicato libri e articoli su storiografia, simbolismo e mito. https://www.facebook.com/paolom.fiorentino