di Torquato Cardilli – Gli Stati Uniti e l’Alleanza occidentale ritengono che i palestinesi non siano un popolo titolare del diritto inalienabile alla libertà, all’indipendenza, alla moneta, al controllo dello risorse agricole, idriche, energetiche, dello spazio aereo e del mare territoriale, ma un agglomerato di ombre costrette alla miseria nella subalternità senza futuro e ad elemosinare la pietà che non viene loro concessa da chi occupa le loro case e le loro terre in violazione del diritto internazionale.
Le potenze che si riempiono la bocca dei principi sacri della democrazia, in modo cinico ed ipocrita, non operano in concreto per porre termine al massacro di Gaza; al contrario, a dispetto delle buone intenzioni, vedono nella continuazione della guerra di sterminio portata avanti da Israele la soluzione della tragedia palestinese.
Non hanno imparato la lezione della storia e non capiscono che la resistenza palestinese, come ogni movimento indipendentista contro l’occupazione straniera, è un’araba fenice, che rinasce sempre più forte dalle sue ceneri: ogni orfano sopravvissuto alla carneficina non ha altra scelta se non quella di crescere coltivando l’impeto terrorista nel ricordo dei genitori trucidati, dei fratelli mutilati, delle spoliazioni e delle umiliazioni subite.
Il 7 ottobre 2023 Hamas ha messo in atto un attacco terroristico in territorio israeliano con l’uccisione di 1300 vittime innocenti e la cattura di 140 ostaggi. La reazione di Israele è stata impulsiva ed immediata con una tempesta di fuoco indiscriminata su Gaza simile al bombardamento di Dresda, e il taglio dei rifornimenti di carburante, acqua e viveri.
Dopo venti giorni di continue esplosioni di potenti ordigni dal cielo e da terra, l’Assemblea Generale dell’ONU, orripilata dalle migliaia di vittime civili, ha approvato, su proposta giordana, una risoluzione che chiedeva l’imposizione di una tregua a Gaza, l’ingresso degli aiuti umanitari e la fine delle evacuazioni forzate dei civili.
L’esito del voto aveva mostrato chiaramente come, di fronte alla vastità della tragedia umana e delle distruzioni, il mondo fosse spaccato: da una parte la maggioranza delle nazioni con 120 voti a favore, dall’altra una minoranza di paesi, meno rappresentativi della popolazione mondiale, con 14 contrari e 45 astenuti. Tra i voti contrari spiccavano quelli scontati degli Stati Uniti e di Israele, mentre tra gli astenuti figurava in modo vergognoso quello italiano, come se i bombardamenti indiscriminati, le migliaia di vittime e il fiume di sangue innocente anziché commuovere a pietà fossero scivolati sul cuore di pietra del governo italiano e del suo primo ministro.
La risoluzione che non aveva valore vincolante in mancanza dell’avallo del Consiglio di Sicurezza, è stata sepolta dal veto americano, accompagnato dal raccapricciante epitaffio dell’ambasciatore israeliano a New York Gilad Erdan, già noto per aver platealmente contestato il ruolo del Segretario Generale Guterres, che ha dileggiato l’evento come “giorno che passerà alla storia nell’infamia, perché l’Onu non ha più un briciolo di rilevanza o legittimità”.
Un mese dopo, il 13 Dicembre 2023, perdurando la guerra di sterminio della popolazione civile di Gaza, con oltre 18.000 morti (di cui quasi la metà donne e bambini) e più di 1,9 milioni di sfollati, l’Assemblea Generale dell’ONU ha adottato ancora una volta a larghissima maggioranza una nuova risoluzione per un “immediato cessate il fuoco umanitario” e il “rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi”.
L’esito della votazione è stato eloquente non solo per la chiara presa di posizione contro la brutale sproporzione della repressione militare israeliana, ma per il discostamento dalla conta dei voti precedenti: 153 sono stati i voti a favore (ben 33 in più), 10 contrari (4 in meno) e 23 astenuti (ben 22 in meno) a dimostrazione evidente che nel resto del mondo si allargava il fronte della condanna della politica israeliana e si sgretolava il fianco dei suoi sostenitori.
Dei 27 membri dell’Unione Europea, hanno votato a favore della risoluzione in 16 (Cipro, Croazia, Danimarca, Spagna, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Polonia, Portogallo, Slovenia, Svezia); hanno votato contro in 2 (Austria e Repubblica Ceca); si sono astenuti in 9 (Germania, Bulgaria, Ungheria, Italia, Lituania, Paesi Bassi, Belgio, Romania, Slovacchia).
Esaminando più a fondo questo risultato risulta evidente come l’Italia, pilatescamente astenuta, sia rimasta isolata nell’ambito dei paesi rivieraschi del Mediterraneo che hanno votato compatti a favore (compresi Francia e Spagna). Di fronte a questo voltarsi dall’altra parte, viene da chiedersi quale consultazione il nostro Governo, che ha la responsabilità della guida del G7, abbia avuto in ambito UE, e quale dibattito preventivo abbia espletato con le forze politiche per giustificare la sua decisione.
Anche questa risoluzione, per quanto di alto valore politico, è finita giuridicamente nel cestino della carta straccia per l’opposizione degli Stati Uniti il cui voto contrario, equivalente al veto, ha impedito il successivo passaggio nel Consiglio di Sicurezza.
Dopo altri tre mesi, il 20 febbraio 2024, gli Stati Uniti hanno posto nuovamente il veto all’approvazione di una terza risoluzione sul cessate il fuoco, innescando nel mondo un’ondata di proteste studentesche per il massacro perpetrato a Gaza da Israele.
Solo cinque mesi dopo l’inizio della guerra, quando i morti palestinesi erano già oltre 33 mila, il 25 marzo 2024 il Consiglio di Sicurezza è uscito dalla invereconda posizione di stallo ed ha approvato la risoluzione 2728 con 14 voti a favore e 1 astensione (Stati Uniti) per chiedere una tregua immediata a Gaza con il cessate il fuoco per la fine del Ramadan, il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi, nonché la garanzia dell’accesso degli aiuti per far fronte alle esigenze mediche e alimentari di una popolazione stremata e senza ricovero.
Incurante del fatto che questa risoluzione, come tutte le decisioni del Cds, ha carattere vincolante e obbligatorio per gli Stati membri, il primo ministro israeliano Netanyahu e il suo ministro della difesa, hanno pubblicamente contestato la decisione dichiarando che Israele continuerà a combattere fino al rilascio degli ostaggi ed alla distruzione totale di Hamas senza riguardo per le vittime civili.
Un vero e proprio schiaffo all’ONU, al diritto e alla coscienza internazionale.
Non c’è da stupirsi più di tanto: i precedenti, durante 76 anni dalla creazione dello Stato di Israele, insegnano che il governo di Tel Aviv (che non ha applicato ben 66 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza: sullo status internazionale di Gerusalemme, sull’evacuazione dei territori occupati nel 1967, sullo stop agli insediamenti di coloni nei territori arabi ecc.) è recidiva nella violazione con impudenza del volere della comunità internazionale senza che questa sia capace di imporre le necessarie sanzioni che invece vengono applicate con immediatezza esecutiva ogni volta che gli Stati Uniti decidano in tal senso, contro chi rappresenta un ostacolo all’egemonia occidentale, anche se poi risultano essere penalizzanti per i sanzionatori.
Ma come ha dimostrato questo breve riepilogo la tragedia palestinese oltre che sul campo di battaglia di Gaza, ridotta a un cimitero sepolto da cumuli di macerie, si compie anche sul tavolo delle Nazioni Unite dove pesa sempre come la spada di Brenno il voto degli Stati Uniti pronti a rinnegare, quando si tratta di Israele, tutte le chiacchiere e proclami sulla libertà e l’indipendenza.
Il 18 Aprile l’Algeria ha presentato in Consiglio di Sicurezza la risoluzione per l’ammissione della Palestina quale membro delle Nazioni Unite, come raccomandato dall’Assemblea Generale a schiacciante maggioranza, ma ancora una volta gli Stati Uniti hanno posto il veto isolandosi di fronte al mondo: 12 voti a favore (Algeria, Russia, Cina, Francia, Guyana, Sierra Leone, Mozambico, Slovenia, Malta, Ecuador, Sud Corea, Giappone), 2 astensioni (Gran Bretagna e Svizzera) e 1 contrario gli USA.
Per quanto ci riguarda non avevamo ancora finito di vergognarci per la penosa astensione sulla risoluzione che chiedeva l’immediato cessate il fuoco per una tregua umanitaria a Gaza, che si è aggiunta un’altra mano di vernice rossa sui nostri volti.
Con una visione ottusa, non curante dell’atteggiamento degli altri partner europei, né dell’importanza del ruolo di presidente del G7, ancora una volta, l’Italia ha mostrato il lato più modesto e insignificante della sua politica estera viziata dalla cieca obbedienza al volere degli Stati Uniti.
La risoluzione dell’Assemblea Generale in favore della Palestina, ritenuta qualificata a diventare membro a pieno titolo delle NU, già riconosciuta come Stato nei confini del 1967 (Cisgiordania, striscia di Gaza e Gerusalemme est), da Bulgaria, Cipro, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Svezia, Ungheria, Svezia, Spagna e Irlanda, ha ricevuto 143 voti a favore, 9 contrari e 25 astenuti. Tra questi ultimi l’Italia è andata a braccetto a Albania, Bulgaria, Austria, Canada, Croazia, Fiji, Finlandia, Georgia, Germania, Lettonia, Lituania, Isole Marshall, Olanda, Macedonia del Nord, Moldavia, Paraguay, Romania, Vanuatu, Malawi, Principato di Monaco, Ucraina, Gran Bretagna, Svezia e Svizzera.
Gli Stati Uniti hanno votato contro insieme a Israele e altri sette paesi insignificanti sul piano politico: Palau, Nauru, Micronesia, Papua Nuova Guinea, Ungheria, Argentina e Repubblica Ceca.
L’ineffabile ambasciatore israeliano all’ONU, ancora una volta, si è esibito in uno sprezzante numero da cabaret, offensivo per l’Istituzione e la coscienza mondiale, facendo a pezzi, con un trita documenti portatile, la Carta delle Nazioni Unite ed inveendo contro i partecipanti all’Assemblea generale attoniti, accusati di aver aperto le porte ai nazisti moderni. Verrebbe da commentare da quale pulpito arriva questa predica dopo la sistematica carneficina di Gaza!
Quanto sta accadendo (i civili uccisi sono più di 35 mila, di cui la metà donne e bambini oltre a un centinaio di medici, infermieri e giornalisti colpevoli solo di essere nati in quella terra) è insopportabile per la coscienza umana e solo ora il Ministro degli Esteri Tajani sembra aver preso coscienza della gravità della situazione. Avvalendosi della qualità di presidente del G7 ha inviato insieme ad altri 13 colleghi una lettera al governo israeliano per chiedere formalmente di fermarsi nell’attuare il piano della distruzione totale di Rafah. Pura formalità per lavarsi la coscienza.
C’è da dubitare che Netanyahu con la superbia e l’arroganza di chi conosce solo l’uso della forza e non quello della diplomazia, receda dal programma di sterminio, noncurante della pendenza di fronte alla Corte internazionale dell’Aja del procedimento di genocidio promosso dal Sud Africa.
L’AUTORE
Torquato Cardilli – Laureato prima in Lingue e civiltà orientali e poi in Scienze politiche per l’Oriente. E’ stato Ambasciatore d’Italia in Albania, Tanzania, Arabia Saudita ed Angola. Opinionista e pubblicista su temi politici ed economici su varie testate ed agenzie di stampa, in Italia e all’estero.