di Beppe Grillo – E’ notizia di ieri che il il bob non si terrà più in Italia ma sarà ospitato all’estero a causa degli enormi problemi economici e di fattibilità riscontrati a Cortina d’Ampezzo. Quando nel 2018 è iniziata la ‘corsa’ alla candidatura Italiana alle Olimpiadi e Paralimpiadi invernali del 2026, unico caso al mondo in cui in una nazione si sono presentati ben tre concorrenti (Milano, Torino e Cortina), si è persa una storica occasione per l’Italia e soprattutto per il CIO (Comité International Olympique), di realizzare la prima Olimpiade Invernale riutilizzando due volte (a distanza di soli 20 anni) tutti gli impianti sportivi costruiti con un immenso impatto sul risparmio di CO2, di tempo, di soldi e di suolo costruito. La candidatura di Torino 2026 è stata costruita integralmente sul principio della rigenerazione urbana, della altissima efficienza energetica e dello zero consumo di suolo puntando totalmente sul riportare ed adeguare tutte le strutture esistenti nuovamente in ‘assetto olimpico’. Un patrimonio, quello delle Olimpiadi e Paralimpiadi invernali del 2006, che certamente si porta dietro ancora oggi un grande debito sulla collettività e sulla stessa città di Torino ma che grazie a questa Olimpiade, avrebbe potuto essere rigenerato e riportato a nuova vita per quanto di buono c’è (ed è tanto) per la città e per il territorio coinvolto (Torino e le sue Valli Olimpiche).
L’analisi giornalistica dei tre dossier presentati non è mai andata oltre la lite tra tre candidati (Milano, Torino e Cortina), senza avere mai avuto la capacità di leggere i pre dossier ed analizzare i contenuti. Verrebbe da dire che nemmeno il CONI ha saputo cogliere gli aspetti davvero innovativi della candidatura di Torino prediligendo in modo incredibilmente miope una candidatura letteralmente assurda, quella di Milano, dove addirittura il bob sarebbe dovuto essere in Svizzera con un costo imputato nel dossier pari a zero euro e con una copertura immaginata integralmente sostenuta dai privati e che ad oggi è invece quasi integralmente coperta dallo Stato Italiano, dal Comune di Milano e dai soldi delle Province autonome di Trento e Bolzano con il DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 8 settembre 2023 che approva il Piano complessivo delle opere da realizzare in funzione delle olimpiadi invernali Milano Cortina 2026. Oppure con trasferimenti progettati per atleti e famiglia olimpica da Bormio (sede dello sci alpino) a Milano (la Medal Plaza) di oltre due ore e mezza (forse ridotte a 50 minuti con l’uso dell’elicottero almeno per gli atleti con buona pace delle emissioni di CO2 azzerate).
Insomma è ben chiaro che né il CONI né il CIO sono davvero all’altezza di valutare gli eventi olimpici nei confronti del bene comune, per creare eventi di enorme portata e riverbero sulla collettività e sull’ambiente davvero sostenibili e non ‘chiacchiere ipocrite’, green washing e vantaggi economici con enorme consumo di suolo (si vedano le polemiche sulle varianti stradali e le modifiche alle piste di sci).
Il progetto di Torino 2026 parlava di rigenerazione dei territori, delle montagne, delle borgate, valutazione di impatto asseverate, trasformazione di aree complesse come la ex acciaieria Tyssen in riqualificazione urbana di servizi, studentati e parchi, di innovazione e mobilità smart su scala territoriale per creare maggiore accessibilità ai territori marginali. Ogni infrastruttura sia sportiva che viabilistica era già esistente, I villaggi olimpici erano il riuso di quelli esistenti ed i posti mancanti erano villaggi diffusi rigenerando il patrimonio immobiliare. Se uno Stato come l’Italia, con la legge per le Olimpiadi, deve finanziare un evento simile, dovrebbe di fatto avere la garanzia del miglior progetto possibile e della migliore rigenerazione territoriale che si possa fare sui territori più disagiati e non fare vincere la logica più commerciale.
Una olimpiade veramente sostenibile non esiste senza una rigenerazione dell’esistente, diversamente la logica della ‘legacy’ richiesta dal CIO è solo lettera morta ed ipocrisia.
Nella storia delle Olimpiadi invernali solo due impianti da sempre saranno critici nelle Olimpiadi ora ed in futuro: i trampolini per il salto e la pista di bob. Questi due impianti, anche nella storia delle Olimpiadi di Torino 2006, sono stati di fatto abbandonati a loro stessi dal 2011 ad oggi e sono chiaramente insostenibili economicamente anche con il più eccellente dei progetti di business privato. Impianti complessi la cui manutenzione e mantenimento va ben oltre il più roseo fatturato dei parchi giochi Disney. Sono impianti che da sempre fruiscono (anche all’estero) del sostegno statale pur di mantenere attivo un allenamento olimpico qualificato. Gli impianti che sarebbero stati più critici nella proposta di Torino 2026 erano quindi quello dei trampolini di Pragelato dove nel 2006 ne sono stati costruiti addirittura 5, immaginando di allenare squadre di atleti quando ne sarebbero bastati i 2 olimpici e la splendida (tecnicamente) pista di bob di Cesana località Pariol (foto sottostante), vero gioiello impiantistico ma costruita colpevolmente su un terreno assolato ed anch’essa in abbandono dal 2011.
Oggi riqualificarla, adeguarla energeticamente e modernizzarla in assetto olimpico rischierebbe di costare ben oltre i 34 milioni di euro previsti nel pre dossier anche a causa dell’abbandono subito e dell’aumento dei costi vertiginoso di due anni a questa parte. Dunque ha ancora senso disperarsi per una olimpiade che si esegue altrove?
Se i presupposti sono quelli che ha vissuto Torino 2006 no, non ha senso disperarsi. La logica del CIO è profondamente ‘ingrata’ nei confronti degli sforzi titanici che un territorio sostiene per ospitare le olimpiadi: sconvolgimenti del territorio, spreco di risorse, costi economici e sociali che partono da cifre basse per decuplicare e (soprattutto) l’abbandono del territorio a se stesso nel post olimpico che invece dovrebbe sostenere con fitte attività agonistiche destinate ad ‘allevare’ nuovi campioni di specialità nel migliore spirito olimpico. Invece il dopo olimpiadi si riduce quasi sempre all’abbandono ed alla trasformazione urbanistica dei villaggi olimpici in condomini e dei palasport in palazzi per fiere dove lo sport viene ospitato sempre più raramente sempre per motivi economici. Il Comitato Olimpico nelle Olimpiadi 2026 ha proposto l’obbligo della ‘legacy’ (Torino 2006 lo aveva introdotto per prima) ovvero un progetto che dimostrasse che il dopo olimpiadi potesse valorizzare gli impianti costruiti per la collettività. Bellissime intenzioni che nei fatti si tradiscono pochi anni dopo come la storia ci sta insegnando soprattutto per ciò che non è ‘riutilizzabile’ a fini urbanistici o speculativi.
E’ ormai chiaro a tutti che le Olimpiadi sono un evento che rischia di trascinare sull’orlo del baratro le nazioni che le ospitano essendo queste incapaci di gestire correttamente l’enorme costo economico che comportano.