di Marco Bella – Che cosa lega questi tre argomenti così distanti tra loro? Beh per soddisfare la vostra curiosità, bisogna leggere il post.
Partiamo dal 5G. All’inizio di agosto il governo ha prima proposto e poi ritirato l’adeguamento dei limiti italiani delle emissioni elettromagnetiche di radiofrequenza (6V/m) a livelli vicini a quelli europei (61 V/m). Un aumento di ben dieci volte ha gridato qualcuno! Cambia davvero qualcosa per la salute?
Il limite di 61 V/m deriva da studi scientifici. Questo valore è un cinquantesimo del campo che farebbe aumentare la temperatura del corpo umano di un solo grado centigrado. Per motivi solo politici, la legislazione italiana usa il fattore di sicurezza cinquecento e non cinquanta. Consideriamo che la principale fonte di emissioni elettromagnetiche sul nostro pianeta è sulle nostre teste. È il sole, la nostra stella, e può scaldare il nostro corpo di diversi gradi. Se non fosse adeguato il limite italiano a quelli europei si costringerebbero le compagnie telefoniche a installare inutilmente molte più antenne, con costi che ricadrebbero sugli utenti e uno spreco irrazionale e ingiustificato di materiali preziosi come le terre rare.
Ma ammettiamo che sì, per la salute un limite così basso cambi davvero qualcosa.
Oltre al sole, la fonte principale di emissioni elettromagnetiche non sono le antenne in alto, ma quello che c’è in basso, proprio il cellulare con cui state leggendo questo articolo e quelli delle persone accanto a noi. Questo accade perché anche il nostro telefono è un’antenna, e pur essendo meno potente ci è molto più vicino, quindi ci espone a campi elettromagnetici ben maggiori rispetto a quello delle antennone che sono apparentemente grandi ma distanti. La potenza dell’antenna del cellulare ha un’altra caratteristica: si adatta per darci sempre la miglior ricezione possibile: “strilla” (ed emette di più) quando non riceve bene il segnale. Quindi, più è basso il livello di emissioni dell’antenna e maggiore è l’esposizione ai campi elettromagnetici (a livelli di assoluta sicurezza). Insomma, il risultato netto dell’innalzamento dei limiti per le antenne sarà una diminuzione dell’esposizione nella popolazione.
Evviva il 5G, evviva la tecnologia, va tutto bene allora? Studiando l’argomento da molto tempo, devo dire che sono state sollevate anche delle perplessità sensate riguardo al 5G. Innanzi tutto, sicuramente stimolerebbe un maggiore uso dei cellulari, ed è ben nota la dipendenza psicologica che l’uso degli smartphone può generare, non solo nei ragazzi ma anche negli adulti.
C’è però anche un altro aspetto: un uso sempre più massiccio della rete richiede sempre più energia. Ora, le emissioni di CO2 dovute alla rete internet sono già oggi paragonabili a quelle dell’intero trasporto aereo. I contenuti che richiedono maggiore traffico dati sono i video, che ne rappresentano il 60%. Che succederebbe con l’implementazione della rete 5G? Che aumenterebbero a dismisura proprio i video ad alta definizione. E in particolare quelli pornografici, che già oggi rappresentano un terzo del totale.
Riusciamo a quantificare quante sono le emissioni del porno? Sì, e sono tutt’altro che trascurabili:sono l’uno per cento delle emissioni di CO2 mondiali, cioè pari a quelle dell’intero Belgio.
Insomma, se il 5G serve per un’operazione di urgenza tramite un robot per un paziente ricoverato a Milano da un chirurgo che sta a Palermo senza la necessità di spostare nessuno dei due, sicuramente è un’innovazione tecnologica benvenuta e necessaria. Ma ne possiamo fare a meno se invece alimenta il traffico di film per adulti con tutti i dettagli possibili. Ecco un argomento decisamente più solido rispetto all’allarmismo sulla salute.
Dovremmo quindi evitare l’uso della rete per proteggere il pianeta, visto che ogni volta che accendiamo lo smartphone causiamo nuove emissioni? La parola chiave è parsimonia. Dobbiamo essere consapevoli che quando pubblichiamo un contenuto che ha un impatto emotivo abbiamo non solo una responsabilità comunicativa sulle persone che lo vedranno o lo leggeranno, ma anche una responsabilità ambientale, soprattutto se si tratta di un video che consuma molti dati. In questi giorni si parla molto di limitare l’accesso al porno per i giovani. Dico solo che lo vedo un compito davvero complesso. I ragazzi e le ragazze sono le persone più sensibili alle problematiche del cambiamento climatico, visto che saranno i primi a pagarne le conseguenze. Non sarebbe meglio puntare sulla consapevolezza (quanto fa male all’ambiente il porno), piuttosto che su proibizione e repressione?
L’AUTORE
Marco Bella – Già deputato, ricercatore in Chimica Organica. Dal 2005 svolge le due ricerche presso Sapienza Università di Roma, dal 2015 come Professore Associato.