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Il 28% dei sacchetti è illegale

beppegrillo.it - Luglio 17, 2023

di Emanuele Isonio (ReSoil) – Le bioplastiche compostabili, a partire dagli ormai famosi sacchetti per la spesa e la raccolta dell’umido, possono essere un valido aiuto per migliorare qualità e quantità della raccolta dei rifiuti organici e della loro successiva trasformazione in compost. Ma sul fronte della legalità c’è ancora molto da fare. Nonostante la legge che vieta l’uso sia in vigore da più di 10 anni e nonostante i controlli delle Forze dell’Ordine, il tasso delle buste illegali è infatti salito dal 22% del 2021 al 28% del 2022. Il dato emerge dall’analisi di Plastic Consult, società indipendente che svolge studi e analisi di mercato nel settore delle materie plastiche.

Sacchetti fuori legge

Diverse le forme di illegalità. Decisamente frequente la commercializzazione di borse per asporto merci o alimenti sfusi prive di qualsiasi requisito di legge (certificazioni di biodegradabilità e compostabilità, rinnovabilità e relative etichettature). Altre volte, vengono riportati falsi e ingannevoli slogan ambientali. Oppure compaiono marchi di certificazione di compostabilità su sacchetti privi dei requisiti stabiliti dallo standard EN 13432, come i sacchetti che contengono quantità più o meno rilevanti di polietilene, materia prima non compostabile che viene usata per ridurre il costo di produzione. Ancora diverso il caso dei sacchetti per la frutta e verdura che contengono percentuali di materia prima di origine rinnovabile inferiore al 60%. Una frode per chi, in buona fede, li acquista.

I “riutilizzabili”

C’è poi il caso dei manufatti cosiddetti riutilizzabili. Basta osservare con attenzione gli scaffali di negozi e supermercati per rendersi conto che stanno proliferando piatti, bicchieri e posate realizzati in plastica tradizionale ma venduti con la dicitura “riutilizzabile”. Sostanzialmente, un escamotage tecnico: la loro diffusione è iniziata da quando la legge italiana, recependo la direttiva europea, ha vietato il monouso in plastica tradizionale. Cambiando la dicitura (e aumentando solo leggermente lo spessore della stoviglia) si aggira la norma e si offrono prodotti il cui costo di produzione è ovviamente molto più basso. Con buona pace delle conseguenze ambientali e del rischio di compromettere la corretta raccolta differenziata dei materiali post consumo.

“Tutti questi fenomeni creano danni da molti punti di vista”, spiega infatti Marco Versari, presidente di Biorepack. “Erodono i margini di crescita delle aziende che operano nella legalità. Così facendo, riducono le loro possibilità di fare investimenti che hanno ricadute positive sia in termini occupazionali sia per l’individuazione di soluzioni innovative a ridotto impatto ambientale. Inoltre creano problemi anche economici ai Comuni impegnati nella raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti: una minore qualità della raccolta equivale infatti a minori corrispettivi economici che possiamo garantire loro come consorzio”.

Le esternalità ambientali

C’è poi tutto l’aspetto, per nulla secondario, delle esternalità negative sull’ambiente. Ben presenti a chi si occupa quotidianamente del riciclo organico delle bioplastiche compostabili: “I manufatti in plastica tradizionale rappresentano la maggiore quantità di frazione estranea che ci troviamo nei nostri impianti di compostaggio”, afferma Lella Miccolis, presidente del CIC (Consorzio Italiano Compostatori). “Questi prodotti infatti ‘sporcano’ la raccolta dell’umido domestico e così facendo diminuiscono la quantità di compost che è possibile produrre nei nostri impianti”.

Il perché è presto detto: l’operazione di eliminazione dei materiali non compostabili (fra i quali, la plastica tradizionale è preponderante) porta con sé inevitabilmente anche una parte dei rifiuti organici che invece potrebbero essere trattati senza problemi negli impianti. E questo quindi si traduce in una diminuzione dell’output finale del processo. Ovvero il compost. Quest’ultimo, ricorda Miccolis, “è una valida alternativa figlia dell’economia circolare che aiuta a riportare fertilità ai terreni agricoli senza il bisogno di usare i concimi di origine chimica”.

“Dobbiamo guardare al compost – aggiunge Giovanni Gigliotti, presidente della Società Italiana di Chimica Agraria – non solo come fonte di sostanza organica di elevata qualità, ma anche come fonte di elementi della nutrizione vegetale. In primo luogo azoto e fosforo, ma anche di microelementi importantissimi per l’ottimizzazione delle produzioni, quali ferro, manganese, rame, zinco”. Senza contare la possibilità, attraverso un suo utilizzo in agricoltura, di affrancarsi dalle costose filiere esterne di fertilizzanti e prodotti chimici, i cui costi sono resi oggi proibitivi dall’attuale congiuntura internazionale.

I numeri positivi del modello integrato “bioplastiche-umido”

A rafforzare questo percorso virtuoso di costruzione di un processo di valorizzazione dei rifiuti organici contribuisce senza dubbio il modello integrato delle “bioplastiche compostabili-raccolta nell’umido”. Un’eccellenza italiana che, nel corso soprattutto dell’ultimo decennio, si è rafforzata ed è cresciuta. I numeri dello studio Plastic Consult sono inequivocabili: l’industria delle bioplastiche compostabili conta oggi 271 aziende, per un volume di 128mila tonnellate di manufatti compostabili prodotti (+2,1% sul 2021 e con un tasso di crescita tra 2012 e 2022 del 226%), tra bioshopper, piatti, bicchieri, posate, cialde per caffè, film per applicazioni alimentari e non, film agricoli come i teli pacciamanti. Il fatturato complessivo è oggi pari a 1.168 milioni di euro (+10,1% sul 2021 e un tasso di crescita media annua del 10% dal 2012, quando era di 370 milioni).

Sul fronte delle attività di riciclo i numeri sono altrettanto positivi: il riciclo organico delle bioplastiche compostabili ha raggiunto nel 2022 quota 60,7% dell’immesso al consumo, superando con 8 anni di anticipo gli obiettivi fissati per il 2030 (pari al 55%). I Comuni convenzionati con il consorzio Biorepack sono oltre 3700 (47,8% del totale) nei quali risiedono 38 milioni di abitanti (64% della popolazione nazionale, in crescita di 3 punti sul 2021). E agli enti locali convenzionati sono stati riconosciuti corrispettivi economici per 9,3 milioni di euro, 1,8 milioni in più rispetto al 2021, a copertura dei costi di raccolta, trasporto e trattamento degli imballaggi in bioplastica compostabile conferiti insieme ai rifiuti domestici.

Non meno rilevanti, i numeri relativi alle attività di trattamento. I 293 impianti di compostaggio distribuiti nelle diverse regioni italiane hanno trattato 4 milioni di tonnellate di rifiuto a matrice organica cui si aggiungono ulteriori 63 impianti integrati (digestione anaerobica e compostaggio) che ne hanno trattati altri 4,3 milioni di tonnellate. Il trattamento biologico della FORSU ha permesso di evitare 5,4 Megatonnellate di CO2 equivalente e di produrre oltre 2 milioni di tonnellate di compost (il 34% delle quali a marchio CIC), riportando nei terreni agricoli 440.000 tonnellate di carbonio organico.

Illegalità e dumping internazionale

In questo quadro, la diffusione ancora ampia di fenomeni d’illegalità rappresenta ovviamente un ostacolo per lo sviluppo futuro. E infatti, il CIC insieme al Consorzio Biorepack e ad Assobioplastiche ha lanciato un appello congiunto affinché sia rivisto e rafforzato il meccanismo dei controlli. Ma gli ostacoli sono anche altri. A preoccupare ci sono diverse questioni che coinvolgono gli scenari internazionali: da direttive europee che, non riconoscendo l’apporto positivo della raccolta dell’organico e dei materiali compostabili, potrebbero azzoppare una filiera di ecellenza fino ad azioni di grandi Paesi che stanno cercando di affermarsi in questo settore innovativo attraverso pericolosi meccanismi di dumping.

“Se Paesi come Stati Uniti e Cina hanno compreso le opportunità di questo mercato, occorre che la politica si adoperi per difendere e valorizzare un’industria che ha generato innovazione, occupazione e crescita per il Paese e difesa del capitale naturale” commenta Luca Bianconi, presidente di Assobioplastiche.  “Di fronte a queste prospettive rilanciamo, ad esempio, la necessità di un riconoscimento del valore strategico del nostro comparto anche tramite apposita classificazione ATECO/NACE. Altrettanto doverosa sarebbe prevedere un’aliquota IVA agevolata riconoscendo le positive proprietà intrinseche della bioplastica compostabile e destinare agli organismi accertatori le risorse ottenute con le sanzioni comminate ai produttori di manufatti illegali”.

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