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L’Italia degli sfruttati

beppegrillo.it - Agosto 11, 2022

di Danilo Della Valle – Manca ormai poco all’inizio della prossima campagna elettorale ma già da diverso tempo ne è cominciata una che accomuna gran parte della politica italiana. Sono mesi ormai che in maniera bipartisan i prossimi candidati politici si avvicendano negli studi televisivi, coadiuvati da una pletora di opinionisti, scandendo parole d’ordine e slogan vuoti che sembrano sempre tutti troppo uguali; agende politiche che hanno scelto quasi tutte a quale campo appartenere, quello del mondo neoliberista, della disuguaglianza e della disparità tra ricchi e poveri. Lo sport favorito sembra esser quello dell’attacco a quell’Italia degli sfruttati, che è una parte ormai sempre più rilevante del Paese. Del resto nella società dell’apparenza e dell’individualismo sociale ed economico chi non ce la fa è etichettato come un perdente, un buono a nulla.

Come dimenticare gli attacchi continui di politici e media ai danni del reddito di cittadinanza? Che il Rdc sia perfettibile è un dato di fatto ma bisogna considerare altresì che il Covid ne ha frenato la completa evoluzione. Al contempo non si può non dire che ha rappresentato una importante misura di redistribuzione della ricchezza che ha salvato milioni di persone dalla povertà, a maggior ragione con l’avvento della pandemia. Una misura che una parte di Paese aspettava da anni, e che ci ha messo al pari anche con la maggior parte delle democrazie europee che prevedono questo tipo di azioni. Eppure non è bastato questo per frenare i detrattori, tra l’altro molto spesso grandi sostenitori europeisti, dall’attaccare la misura; diverse sono stati i titoli di giornali e le accuse dei politici ogni qual volta si scoprivano i furbetti del Rdc intenti ad accaparrarsi il denaro senza averne alcun diritto. Ebbene, invece di invocare maggiori controlli verso queste deprecabili azioni si è sempre urlato affinché fosse sospesa la misura, addirittura con un tentativo mal riuscito di Renzi di proporre un referendum per abolirlo. Eppure non si sono visti titoli sui giornali o isterie di politici per accusare i furbetti della cassa integrazione per covid, che ha coinvolto migliaia di aziende per una truffa complessiva di svariati miliardi (solo ad Agosto 2020 si parlava di circa 2,7 miliardi). Ovviamente sarebbe folle accusare tutte le imprese di esser truffatrici ma allo stesso tempo è assurdo trattare tutti i beneficiari del Rdc come truffatori.

C’è da considerare un dato molto importante, il Rdc ha rappresentato un argine ad un ulteriore impoverimento della popolazione che secondo l’Istat in Italia è stabile dall’inizio della pandemia e coinvolge circa 5.6 milioni di persone con una previsione peggiorativa. Secondo Oxfam il nuovo virus sarà quello della disuguaglianza, tanto è che nel 2021 la forbice tra ricchi e poveri nel nostro Paese è aumentata con i miliardari passati da 36 a 49 possedendo la ricchezza del 30% degli italiani più poveri che sono circa 18 milioni di persone adulte, 1 milione in più rispetto al pre pandemia.

Un altro tasto dolente del dibattito pubblico è rappresentato sicuramente dallo scarso interesse per il mondo del lavoro. La politica è sempre più impegnata a parlare di pil, ripresa, imprese, in maniera aleatoria, magari sotto la pressione di Confindustria (l’affossamento del decreto Dignità ne è un esempio), ma sempre meno dei bisogni reali dei lavoratori. In Italia dal 2019 ad oggi la percentuale di lavoratori poveri, ad esempio, è sensibilmente aumentata passando da 11.7% al 12%. Dall’inizio della pandemia l’aumento è di circa 400mila persone. Peggio di noi solo Lussemburgo, Spagna e Romania. Milioni di giovani e meno giovani lavoratori, più di tre milioni, sono costretti a lavorare per pochi euro all’ora, con contratti ai limiti della schiavitù o part time troppo spesso non richiesti ma imposti dai datori (al sud soprattutto).  Sebbene quello dei lavoratori poveri, ossia lavoratori che percepiscono meno di 11.500 euro all’anno, sia un fenomeno globale, nel nostro Paese non può non esser collegato alla questione salariale. In Italia i salari sono fermi da trent’anni, anzi a dire il vero sono diminuiti, unico Paese Ocse, al cospetto della crescita di Germania +34%, Francia+31% e persino la Spagna 6% che in ogni caso mantiene una più alta percentuale di lavoratori poveri. Al contempo l’inflazione aumenta, come aumentano le tasse sul lavoro che sono al quinto posto dei Paesi Ocse. Ancora troppo pochi sono i politici che mettono al centro del dibattito il salario minimo  per i lavoratori.

Ci sono interi settori che sono vessati dalle nuove regole del mercato del lavoro, al ribasso, come quello della logistica, settore sempre più sotto “ricatto” delle multinazionali dell’e-commerce che cercano di influenzare la politica. Se pensiamo a questo settore, da anni alle prese con battaglie per il riconoscimento di salari adeguati e di diritti, troppo spesso negati nel nome della “efficienza richiesta dal mercato”. Turni massacranti, paghe basse ed episodi di squadrismo ai danni di lavoratori e sindacati di base nel momento delle rivendicazioni. E come se non bastasse ultimamente anche la politica ci si è messa di mezzo provocando un terremoto che ha scosso migliaia di famiglie. A provocarlo un emendamento a firma di Nunzio Pagano, di Forza Italia, nel Dl Aiuti 36/2022 che ha modificato l’Art. 1677 bis del Codice civile relativo alla responsabilità in solido dei committenti, di fatto privando i lavoratori di rivolgersi ai committenti finali, qualora non venissero pagati i salari o i contributi, che appaltano i servizi di trasporto a cooperative o piccole imprese terze troppo spesso sotto l’occhio del ciclone per sfruttamento, dumping salariale, salute e lavoro nero. Un regalo alle multinazionali che dal 29 Giugno non dovranno più preoccuparsi delle responsabilità relative ai mancati pagamenti dei lavoratori. Una completa deregolamentazione di un solo settore, quello della logistica.

A proposito di sfruttamento, da anni in Italia si parla dello sfruttamento con orari massacranti molto superiori a quelli previsti dai contratti. Diversi sono gli esempi per gli stagionali del settore della ristorazione, troppo spesso costretti a lavorare ben più di otto ore e con salari da fame. Ma anche nel settore della logistica e dell’e-commerce avviene lo stesso, soprattutto durante i giorni infernali di Natale. Ecco, mentre in alcuni settori c’è questo grosso problema, in altri Paesi si sperimentano nuovi percorsi che possano mettere al centro la qualità della vita della persona e, di conseguenza, una migliore attività lavorativa. Nel 1930 Keynes prevedeva che nel 2030 si sarebbe lavorato 15 ore la settimana, per via della meccanizzazione della società. In realtà, nonostante la robotizzazione sia aumentata, il raggiungimento di questa previsione è ancora molto lontano. Nel Regno Unito 70 aziende hanno avviato un programma per 3.300 dipendenti di riduzione della settimana di lavoro a 4 giorni a parità di salario. Lo stesso ha fatto la multinazionale giapponese Panasonic con una previsione di produttività maggiore del 30%. In Svezia e in Islanda si è sperimentata la giornata di lavoro di 6 ore a parità di salario e di 4 giorni lavorativi per i lavoratori pubblici. Proprio quest’ultima iniziativa sta prendendo piede in diversi Paesi con il movimento “4 days week global” che sta preparando per settembre 2022 un esperimento pilota per i 4 giorni di lavoro alla settimana e che avrà luogo in Canada, Usa, Uk e diversi Paesi Europei. Con l’obiettivo di dimostrare che la qualità della vita migliora aumenta la produttività e, di conseguenza, lascia spazio a nuovi posti di lavoro.

Salario minimo e Reddito per diminuire la povertà e combattere il lavoro nero, riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario per incrementare il lavoro e migliorare la produttività! Si può fare!

 

L’AUTORE

Danilo Della Valle, laureato in scienze politiche e relazioni internazionali (con tesi sull’entrata della Russia, nel Wto); Master in Comunicazione e Consulenza politica e Scuola di formazione “Escuela del buen vivir” del Ministero degli Esteri Ecuadoriano. Si occupa di analisi politica, principalmente di Eurasia. Scrive per l’antidiplomatico, “Il mondo alla rovescia”.

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