di Fabio Pompei – Un nuovo modo di “vivere” Internet sta prendendo forma, e la nuova parola d’ordine sarà “Metaverso”. Attraverso questo ambiente virtuale non soltanto le relazioni interpersonali saranno più interattive e immersive. Il cambiamento investirà anche i rapporti commerciali che saranno sì virtuali, ma i cui effetti avranno ricadute (reali) nelle tasche e nei portafogli dei meta-nauti.
Questo nuovo modo di spendere, comprare e investire ha già un nome, e rappresenta un nuovo modello economico, la cosiddetta V-Economy, ovvero un’economia virtuale in grado di coniugare il mondo reale, fisico e tangibile che tutti noi conosciamo con quello virtuale del Metaverso: un vero e proprio ponte tra le due entità, un’enorme casa da gioco in cui reale e virtuale si fondono insieme.
Il mercato immobiliare nel Metaverso
Negli ultimi tempi abbiamo assistito a investimenti significativi nel settore immobiliare all’interno del Metaverso. Non solo investitori privati e aziende bensì anche governi, stati e città.
Dopo Seul è la volta del Principato di Monaco che, da qualche mese, è entrato nel Metaverso. Finalmente sarà possibile – senza uscire di casa – aggirarsi per le più esclusive vie della Costa Azzurra e fare acquisti direttamente nell’etere, avendo avuto cura prima di entrare nei meta-negozi per ammirare la merce in vendita. Tutto ciò sarà possibile grazie a DWorld, la prima economia virtuale al mondo che immagina un pianeta più sostenibile direttamente nella realtà virtuale.
La rivoluzione degli NFT
Ma sono tantissime le piccole e grandi marche che hanno scelto di aprire dei propri store interamente virtuali nel Metaverso: Nike, ad esempio, ha scelto di buttarsi nel business degli NFT, attraverso l’acquisizione di un’azienda produttrice di scarpe da ginnastica denominata RTKFT, produttore di calzature esclusivamente virtuali, indossabili soltanto da avatar all’interno del Metaverso.
Tutto ciò è possibile grazie all’utilizzo della tecnologia NFT, ovvero i non fungible token, costruzioni digitali uniche, non modificabili e la cui proprietà è certificata attraverso lun processo governato dalla blockchain.
Ma cosa sono questi NFT?
Comprendere cosa si intende per NFT è una delle domande del momento. Tutti sentono parlare di questa tecnologia ma pochi, in realtà, si sono addentrati nei suoi meandri.
Un utente che acquista un NFT cosa si ritrova in mano e cosa potrà poi fare con quel non-fungible token (certificato)? Un NFT, per farla semplice, è un contenuto digitale che rappresenta oggetti reali: musica, opere, giochi e collezioni varie.
Quando un utente acquista una “creazione” basata su un NFT può star certo che quella sarà una copia unica, e sarà sempre e solo lui a possederla. I NTF utilizzano la blockchain (Distributed Ledger – un database condiviso e sincronizzato tra più soggetti attraverso una rete telematica geografica ed accessibile da più utenti): sistemi che si basano su un registro distribuito, che può essere letto e modificato da più nodi di una rete. Per validare le modifiche da effettuare al registro, visto che non c’è un ente centrale, i nodi devono raggiungere il “consenso”.
Il “contratto” di acquisto è contenuto su questo registro distribuito ma gli altri dati: l’”opera”, le condizioni del suo acquisto e i diritti sono però fuori del registro.
Dal punto di vista giuridico il valore e l’unicità dell’NFT non si basa sulla tecnologia blockchain, ma sulla fiducia che intercorre fra il venditore e l’acquirente: l’acquirente confida sul fatto che il venditore non abbia già venduto (e non venderà) la stessa identica opera a terzi. Se è vero che non può esistere un NFT uguale all’altro, può però esistere un’infinità di token estremamente simili, e tutti rivolti a trasferire la “proprietà” della stessa opera.
Per chi acquista un oggetto “non-fungible token” è giusto ricordare che non acquista l’opera, ma una sorta di certificato che dimostra un “diritto” sull’opera stessa, garantito tramite uno “smart contract”.
Per capire meglio vediamo qual è il processo per generare un NFT
– L’opera deve essere trasformata in una versione digitale: un quadro “fisico”, ad esempio, diventa un’immagine (sempre digitale);
– viene generato un “hash” di quella immagine digitale (sequenza di bit strettamente correlata con i dati in ingresso che equivale ad ottenere l’impronta digitale, utile per verificarne eventuali modifiche o alterazioni di qualsiasi tipo);
– l’hash derivato dalla foto (l’impronta) è molto breve; chi possiede il documento digitale può calcolarne l’hash, mentre è praticamente impossibile ricostruire un documento digitale a partire da un hash;
– è necessario riportare l’hash su una blockchain, con una marca temporale associata (una sorta di timbro con data e ora);
– in tal modo, l’NFT tiene traccia delle cessioni dell’hash per tracciare i passaggi di mano dell’hash stesso, come un passaggio di proprietà dell’auto o di un immobile, fino a chi lo ha generato per dimostrandone il possesso.
Da qualche anno, gli NFT sono sempre più ricercati, e attualmente vengono annoverati tra le moderne forme di investimento. Non stupirà il fatto che molti stanno già accaparrandosi opere d’arte con certificati NTF da esporre, probabilmente, in qualche museo nel Metaverso. Chissà però se lo spettacolo varrà tutto il prezzo del biglietto.
L’AUTORE
Fabio Pompei è ingegnere informatico, dottore di ricerca in ingegneria elettronica e giornalista. Docente in corsi di laurea di ingegneria presso alcune università pubbliche e private, è autore di pubblicazioni scientifiche nel settore delle telecomunicazioni. Ha ricoperto negli ultimi anni incarichi pubblici occupandosi, in particolare, di politiche economiche, finanziarie, innovazione tecnologica e semplificazione amministrativa. Ha pubblicato Conversione Digitale (Alpes, 2016), Il valore dei dati nell’ecosistema digitale (EditorialeNovanta, 2019) e Fakedemocracy. Il far west dell’informazione, tra deepfake e fake news (EditorialeNovanta, 2020), e Diritto della privacy e protezione dei dati personali. Il GDPR alla prova della data driven economy (TabEdizioni, 2021).