di Giovanni De Palma – La “minaccia” è solo l’ultimo atto del braccio di ferro tra Facebook e l’Unione Europea. Ma non è questione di Facebook: è in gioco il futuro.
Mark Zuckerberg minaccia di chiudere Facebook (e Instagram) nei Paesi dell’Unione Europea qualora quest’ultima non dovesse cambiare le regole sul trasferimento transatlantico dei dati.
Lo scorso 11 settembre il Garante per la privacy irlandese ha stabilito infatti che il meccanismo di trasferimento dei dati di Meta tra Europa e Stati Uniti non può essere usato: un’azione epocale, la prima di questo genere.
Pensate cosa potrebbe succedere se ciò dovesse avvenire: milioni di persone che lavorano con questi social rimarrebbero senza lavoro, migliaia e migliaia di aziende che hanno investito cifre importanti in queste piattaforme sarebbero costrette a chiudere, migliaia di persone si troverebbero a dover orientare il proprio business su altri canali (e ad oggi non esiste nulla di simile che possa sostituire quelle piattaforme).
È solo una minaccia, potremmo pensare.
Ed è così, per ora. Peraltro non è la prima di questo genere, Zuckerberg ha paventato questa soluzione draconiana anche due anni fa.
Semplicemente, non è questo il punto. Ciò che conta è che un privato cittadino possa, con una sua dichiarazione, di colpo porsi come una minaccia di 28 Paesi, o se preferite di un intero continente. Non è cosa da poco.
Il secondo pensiero che potremmo avere è “lo Stato potrebbe creare un’altra piattaforma in sostituzione a quelle di Meta”. Beh, non è così semplice: ci vorrebbe molto tempo. E poi quale Stato la creerebbe? La Cina ha potuto fare una mossa simile per la grandissima popolazione che detiene e per la coesione sociale basata su uno Stato che è prima di tutto una “civiltà” di quasi 1 miliardo e mezzo di persone.
Forse questa notizia dovrebbe farci aprire un ragionamento sul mondo che abbiamo creato e su dove vogliamo andare. Non si tratta solo di Facebook o di Instagram, non è una questione di una singola azienda, ma del sistema-mondo che abbiamo costruito in questi anni, in questi decenni. Del rapporto stesso che le grandi aziende, specie le Big della tecnologia, stanno avendo nei confronti degli Stati “tradizionali”. Un rapporto che, tra il battere moneta e il costruire mini città-Stato, potrebbe diventare esso stesso la vera, grande minaccia di questo secolo.
Serve riflettere.
L’AUTORE
Giovanni De Palma, laureato in Lingue, lettere e culture comparate (inglese e giapponese); e in Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa con focus sul Giappone (con tesi sulla strategia di sicurezza nazionale del Giappone di Abe); Master SIOI in Studi Diplomatici e Politici. Iamatologo e Orientalista. Si occupa di comunicazione social e political advisoring.