di Fabio Massimo Parenti – Dal lancio della guerra tariffaria del presidente Donald Trump, quasi un anno fa, le divergenze tra Stati Uniti e Unione Europea sono cresciute. Ora l’amministrazione Trump vuole punire l’Europa “disobbediente” sulla questione delle sanzioni all’Iran e sul North Stream 2. Tuttavia, benché le fratture transatlantiche si siano allargate da quando l’amministrazione Trump è entrata in carica, il divario tra le due sponde dell’Atlantico ha radici più antiche.
Il progetto di integrazione europea è stato costruito sotto l’ombrello militare e l’integrazione economica con gli Stati Uniti. Ciononostante, dalla fine della seconda guerra mondiale, lo spazio europeo non era completamente allineato con gli Stati Uniti. Il continente era diviso dalla cortina di ferro e molti movimenti e partiti socialisti non accettavano la subordinazione geopolitica agli Usa. In molti non accettavano una NATO aggressiva e un’eccessiva interferenza nei loro affari interni, come accadde con l’operazione Gladio in Italia negli anni Sessanta e Settanta. Questi sentimenti esistono ancora oggi, soprattutto a causa delle politiche e degli interventi militari della NATO, dai Balcani occidentali al Medio Oriente e al Nord Africa – che tra le altre cose hanno peggiorato le crisi migratorie – ma anche a causa di una UE troppo subordinata agli Stati Uniti, i quali non hanno mai visto di buon grado una Europa realmente indipendente e coesa; potremmo ricordare, inoltre, le più recenti dichiarazioni di Victoria Nuland (2014), responsabile Usa per gli affari europei sotto l’amministrazione Obama, che mandò l’Ue “a quel paese” mentre parlava con l’ambasciatore a Kiev di quale sarebbe dovuto essere il nuovo governo Ucraino, pochi giorni prima del colpo di stato – ovviamente i media si sono soffermati sulla “gaffe” e non sulla gravità di ufficiali di stato di un paese straniero che organizzano e decidono la composizione di un ipotetico governo, prima della caduta di quello esistente, e prima di nuove elezioni.
Tale subordinazione geopolitica agli interessi strategici degli Stati Uniti si è consolidata a partire dalla fine della Guerra Fredda. Negli ultimi 30 anni, tuttavia, la gerarchia del potere mondiale ha preso sempre più la forma di una struttura multipolare, grazie al nuovo ruolo e al peso economico delle economie emergenti, la Cina e l’India in primis, mentre la Russia è stata in grado di ricostruire la sua potenza militare e ristabilirsi al centro delle dinamiche geopolitiche mondiali.
Come si è visto nella questione palestinese, nella crisi siriana e recentemente nella situazione in Venezuela – solo per citare alcuni casi – gli Stati Uniti non sono più in grado di conseguire un reale consenso internazionale all’interno delle Nazioni Unite (in Siria i paesi occidentali sono sempre intervenuti illegalmente senza alcuna autorizzazione Onu; in Venezuela il riconoscimento dell’autoproclamato Guaidò si è fermato a una minoranza di paesi, meno di un terzo, con la maggioranza dei paesi rappresentati all’Onu che riconoscono la legittimità dell’unica presidenza votata, quella di Maduro). Il rispetto della sovranità e integrità nazionale è richiesto a gran voce da molti stati, l’interferenza e l’ingerenza negli affari interni di altri paesi viene respinto da attori importanti, come la Russia e la Cina, che non a caso stanno raccogliendo un consenso proprio basato sui principi fondamentali del diritto internazionale.
Gli Stati Uniti dovrebbero cessare di dettare l’agenda politica di altri paesi, comprendendo che cercare di forzare le situazioni, secondo la propria volontà e i propri interessi strategici, soffoca ed aliena una molteplicità di altre priorità nazionali ed interessi sovrani. Soprattutto, un tale approccio sfocia in costanti violazioni del diritto internazionale. Sta accadendo in Medio Oriente, Europa e America Latina.
In Europa, ci sono attualmente due piani di dinamica politica. In primo luogo, i leader politici dei principali paesi europei, che si trovano a vivere una profondissima crisi di legittimità, pur rimanendo fedeli agli Stati Uniti, manifestano un crescente nervosismo per le politiche del presidente Donald Trump. In secondo luogo, vi sono i popoli e le persone di molti paesi dell’UE che stanno mostrando una chiara disaffezione verso l’Europa, in particolare rispetto al suo funzionamento istituzionale, politico ed economico, in quanto vittime a diverso grado della lunga crisi economica e della debole integrazione politica. In questo caso si sente sempre più la necessità di rivolgersi agli interessi nazionali.
Gli Stati Uniti stanno adottando un approccio conflittuale con gli alleati tradizionali per ragioni economiche e geopolitiche, indebolendo ulteriormente l’integrazione europea. Il ritiro degli Stati Uniti dal trattato INF è una minaccia per l’Europa, oltre che per il mondo, e questo giustifica l’intenzione franco-tedesca di costruire un esercito indipendente dagli Stati Uniti – anche se sarà difficile e dispendioso.
Il gioco è molto più complicato se incorporiamo questi problemi transatlantici nella più ampia trasformazione geopolitica ed economica a livello mondiale. “La transizione da un ordine unipolare, centrato su Washington, a un ordine mondiale multipolare, con numerose nazioni disposte a reclamare un ruolo primario sullo scacchiere globale, ha sconvolto il precario equilibrio in atto dall’inizio degli anni ’90”, secondo Federico Pieraccini, analista di Strategic Culture Foundation. Egli ha aggiunto che “i continui e perpetui tentativi di preservare l’ordine unipolare guidato dagli Stati Uniti hanno ridotto molte capitali occidentali a semplici vassalli, perpetrando l’interesse di Washington invece che il loro”. Non ci si può aspettare che l’Europa obbedisca agli Stati Uniti contro il proprio interesse. Dovremmo essere in grado di eliminare un approccio infantile, “o con me o contro di me”. Un approccio di questo tipo, semplice e rude, che va contro lo spirito delle relazioni internazionali, dovrebbe essere evitato. L’Europa deve trovare un equilibrio con gli Stati Uniti e contemporaneamente deve essere aperta e cooperativa con la nuova Asia. In altre parole, l’UE dovrebbe essere allo stesso tempo “atlantista” ed “eurasiatista”, diventando un centro di equilibrio geopolitico, invece di un centro di conflitti e di guerre per la competizione internazionale.
Note:
1 – per commenti ufficiali di autorità ed esperti sull’acuirsi delle fratture Usa-Ue, si veda qui
2- per la recente dichiarazione del vicepresidente Usa Pence a Monaco, con cui si chiede all’Ue di ritirarsi dall’accordo con l’Iran, si veda questo video dal minuto 1
3 – per un esempio sulla disputa in merito al North Stream 2, si veda qui
4 – per una posizione influente, sulla necessità di bloccare una integrazione militare europea, si veda Kagan 2005
L’AUTORE
Fabio Massimo Parenti è professore associato (ASN), insegna all’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici a Firenze, è membro del think tank CCERRI, Zhengzhou, e membro di EURISPES, Laboratorio BRICS, Roma. Il suo ultimo libro è Geofinance and Geopolitics, Egea. Su twitter @fabiomassimos