Ognuno di noi può farcela. Con l’impegno e la costanza possiamo fare grandi cose. La vita ripaga chi sa osare. Quante volte avete sentito frasi del genere? Fanno parte di quello storytelling che si è creato sul pensiero che “ognuno può arrivare al successo”. Il segreto di tale successo è quindi dentro di noi. Basta impegnarsi.
Ma pensandoci bene è qualcosa al limite della truffa. Infatti spesso si elogiano caratteristiche differenti e addirittura opposte. Un esempio? Alcune volte si narra del successo di persone che ce l’hanno fatta perché hanno saputo cambiare idea, altre, al contrario sono riuscite nella loro impresa proprio perché hanno persistito.
In questi casi si elogiano, spesso con frasi emozionali, tratti del carattere opposti. Dobbiamo essere pronti a cambiare idea o dobbiamo andare avanti anche se tutti ci dicono che stiamo sbagliando?
Per rispondere possiamo guardare alla patria di queste storie. Gli americani hanno una lunga sequenza di persone passate dalla povertà alla ricchezza. Prendi Oprah Winfrey, che cresciuta nel rurale sud è arrivata ad essere multimilionaria. O Howard Schultz, figlio di un operaio che poi è arrivato al successo come CEO di Starbucks.
La gente cita spesso casi come questi per sostenere che, con il duro lavoro, chiunque può fare una fortuna, soprattutto negli Stati Uniti. Non importa quanto poveri siamo all’inizio, dobbiamo solo volerlo con tutto noi stessi.
Ma quanto è vero? Quanto le percezioni del sogno americano corrispondono alla realtà? E gli americani cosa pensano del loro ascensore sociale?
Un team di ricercatori, capitanati da Edoardo Teso, ha studiato a fondo la questione in quattro paesi europei e negli Stati Uniti. Hanno scoperto che gli americani sono molto più ottimisti sul fatto che si possa arrivare al successo e diventare ricchi. Mentre gli europei si sottovalutano enormemente.
Questo è importante anche dal punto di vista politico. Le credenze radicate generano comportamenti diversi, mettono in luce settori differenti, ci fanno credere che sia necessaria una certa attività, quando in realtà dovremo fare altro.
Ma l’America è questa terra di opportunità? La ricerca è partita dalle recenti ricerche sul tasso di mobilità tra classi sociali in vari paesi. Gli studi hanno suggerito che, nonostante la comune narrazione del sogno americano, le persone negli Stati Uniti avevano meno probabilità di salire dal basso verso l’alto rispetto a quelle di altre nazioni come la Danimarca e il Canada.
Gli Stati Uniti sembra siano proprio una delle nazioni dove l’ascensore sociale funzioni peggio e non siano una terra di opportunità, racconta Edoardo Teso.
Questi risultati ci fanno pensare a come le percezioni delle persone siano distorte rispetto alla realtà. Ma soprattutto potrebbero spiegare perché gli Stati Uniti spesso si oppongono a politiche di redistribuzione del reddito, al contrario di molte nazioni europee.
Se gli americani credono che chiunque possa raggiungere il massimo con uno sforzo sufficiente, potrebbero pensare che non è necessario che il governo spenda i dollari dei contribuenti. Al contrario, se pensi di essere troppo svantaggiato se sei nato in una famiglia povera, allora potresti essere più propenso a pensare che sia giusto che il governo intervenga e ridistribuisca il reddito.
Così il team ha pensato di testare queste idee. Ed ecco cosa è venuto fuori.
Per testare queste idee, il team di Teso ha collaborato con alcune società di sondaggi. Nel 2016 ha raccolto risposte online da oltre 12.000 persone negli Stati Uniti, Francia, Italia, Svezia e Regno Unito, coprendo campioni rappresentativi di età, sesso e livelli di reddito.
Le domande sondavano le convinzioni su questioni come la mobilità sociale, l’intervento del governo e se il lavoro e lo studio poteva migliorare le possibilità nella vita.
I risultati ci dicono che la maggior parte delle persone ipotizzava scenari non troppo lontani dalla realtà, ma ci dicono anche che ci sono dei pregiudizi sistematici.
Gli americani stimano che il 12% dei bambini poveri riesce poi a spostarsi ad un livello più alto della scala sociale, ma in realtà solo l’8% lo fa davvero. É circa un terzo di differenza. Mentre i partecipanti francesi hanno stimato che il 35% dei bambini più poveri sarebbe rimasto bloccato nella loro attuale posizione; il numero effettivo in Francia è del 29%.
Teso ritiene che le storie dei paesi potrebbero spiegare questi modelli. L’America è notoriamente una terra di immigranti in cui molte persone hanno effettivamente costruito le proprie fortune. Al contrario, l’Europa praticò il feudalesimo per secoli, durante i quali il destino di una persona era in gran parte governato dalle circostanze familiari.
Dato che da allora gli europei hanno istituito molte politiche di assistenza sociale e migliorato la mobilità economica, non dovrebbero essere diventati più ottimisti adesso? Apparentemente no, anzi molte percezioni sono davvero radicate, afferma Teso.
Nonostante queste diverse idee sulla mobilità sociale, gli intervistati in Europa e negli Stati Uniti hanno tuttavia convenuto che gli individui non hanno pieno potere sulle loro vite e sulle circostanze.
E il ruolo del governo nella mobilità sociale?
Successivamente, il team ha studiato come queste opinioni erano legate alle convinzioni della gente sul ruolo del governo.
Non sorprendentemente, gli americani hanno guardato con meno favore agli interventi del governo rispetto agli europei. “Sembra che gli intervistati di destra semplicemente non vogliano molta redistribuzione, indipendentemente dalle loro opinioni sulla mobilità”, scrivono gli autori.
Come possiamo quindi concludere?
Se le persone fossero pienamente informate sul reale grado di mobilità nel loro paese, potrebbero essere sostenute le politiche giuste. Andando a colmare le falle sistematiche del sistema.