di Suzanne Simard – Immaginate di attraversare una foresta. Scommetto che state pensando a un insieme di alberi, con i loro fusti massicci e le loro meravigliose chiome. Bene, questo è quello che percepiscono i nostri occhi, ma una foresta è molto più di quel che vediamo.
E’ un mondo segreto che adesso vi svelerò.
Cambierà totalmente il modo con cui pensate alle foreste. Sottoterra c’è un altro mondo, un mondo di infinite vie biologiche, che connettono gli alberi, permettono loro di comunicare e fanno sì che la foresta possa comportarsi come un unico organismo. Può ricordarvi una sorta di intelligenza.
Come faccio a saperlo? Sono una esperta di scienza ambientali e per anni ho studiato le meraviglie della natura. Ma poi successe qualcosa di inaspettato. Gli scienziati avevano appena scoperto che, in vitro, la radice di una plantula di pino poteva trasmettere carbonio alla radice di un’altra plantula di pino.
Ma questo avveniva in laboratorio, e mi chiesi: “Può succedere in natura, nella foresta?”
Io pensavo di sì. Forse gli alberi potevano condividere informazioni sottoterra. Ma tutto questo era molto controverso, alcuni pensavano che fossi pazza ed ebbi molte difficoltà ad ottenere fondi per finanziare le mie ricerche. Ma perseverai, e alla fine, 25 anni fa, realizzai degli esperimenti nelle profondità della foresta. Feci crescere 80 repliche di tre specie: la betulla da carta, l’abete di Douglas e il cedro rosso del Pacifico.
Lo so sono nomi che magari non vi dicono nulla, ma sono specie bellissime.
La mia ipotesi era che la betulla e l’abete fossero connessi in una rete sotterranea, e che il cedro, al contrario, vivesse in un mondo proprio. Mi procurai il necessario per gli esperimenti. Non avevo soldi, quindi dovetti farlo in maniera davvero economica.
Andai in un supermercato e comprai delle buste di plastica, del nastro adesivo, del panno parasole, un timer, un camice usa e getta, un respiratore. Presi in prestito dalla mia università degli strumenti ad alta tecnologia: un contatore Geiger, uno a scintillazione, uno spettrometro di massa, dei microscopi.
Poi mi procurai qualcosa di davvero pericoloso: delle siringhe piene di anidride carbonica radioattiva, contenente carbonio 14, e alcune bottiglie ad alta pressione di anidride carbonica contenente l’isotopo stabile, il carbonio 13. Ma avevo tutti i permessi necessari.
Il giorno dell’esperimento misi il mio camice usa e getta bianco e il respiratore e iniziai quindi a posizionare le buste di plastica sui miei alberi. Presi le mie siringhe giganti e iniettai all’interno delle buste l’anidride carbonica contenente gli isotopi traccianti, iniziando dalla betulla. Iniettai il carbonio 14, il gas radioattivo, all’interno della busta sulla betulla. Poi, nell’abete, iniettai il carbonio 13, l’isotopo stabile.
Forse anche questi nomi non vi dicono nulla, ma utilizzai i due isotopi perché mi chiedevo se tra le due specie ci fosse una comunicazione bidirezionale. Poi aspettai un’ora.
Sapevo che quello era il tempo necessario perché gli alberi assorbissero la CO2 attraverso la fotosintesi, la trasformassero in zuccheri per poi inviarla alle radici, e forse, ipotizzai, trasmettessero il carbonio ai loro vicini, sottoterra. Dopo un’ora mi misi al lavoro. Andai verso la mia prima busta, sulla betulla. La tolsi. Poggiai il contatore Geiger sulle foglie e misurai la radioattività. Zzzz! Perfetto. La betulla aveva assorbito il gas radioattivo.
Poi arrivò il momento della verità. Andai verso l’abete. Tolsi la busta. Poggiai il contatore Geiger sui suoi aghi e udii il suono più meraviglioso che possa esistere. Zzzz! Era il suono della betulla che parlava all’abete, e la betulla diceva: “Ehi, posso aiutarti?” E l’abete diceva: “Sì, puoi inviarmi un po’ del tuo carbonio? Sai, qualcuno mi ha coperto con un parasole!” Andai verso il cedro, poggiai il contatore Geiger sulle foglie e, come sospettavo, non sentii niente. Il cedro era nel suo mondo. Non faceva parte della rete che connetteva la betulla e l’abete.
Ero così emozionata! I giorni replicai l’esperimento. Le prove erano chiare. Il C13 e il C14 mi dicevano che la betulla e l’abete erano nel bel mezzo di una vivace conversazione.
In quel periodo dell’anno, in estate, la betulla inviava più carbonio all’abete di quanto questo ne inviasse alla betulla, soprattutto quando l’abete si trovava all’ombra. Durante esperimenti successivi trovammo una situazione contraria, nella quale era l’abete a inviare più carbonio, perché stava ancora crescendo, mentre la betulla non aveva le foglie. Quindi le due specie dipendevano l’una dall’altra.
In quel momento tutto divenne più chiaro. Pensavo di aver scoperto qualcosa di grosso, che avrebbe cambiato la nostra idea di interazione tra gli alberi di una foresta: non erano più solo dei meri competitori, ma dei collaboratori.
Avevo trovato delle prove tangibili dell’esistenza di quest’enorme rete di comunicazione sotterranea: l’altro mondo. Ho capito che la rete di questo altro mondo è un po’ come un immenso cervello, con nodi e collegamenti. Tutto forma una rete.
I nodi più grandi e scuri sono quelli più attivi. Li chiamano “alberi hub” o, più amorevolmente, “alberi madre”, perché risulta che quegli alberi hub nutrono i loro giovani, quelli che crescono nel sottobosco. Un albero madre può essere connesso a centinaia di altri alberi. Utilizzando gli isotopi traccianti abbiamo scoperto che gli alberi madre inviano il loro carbonio in eccesso alle plantule del sottobosco, e grazie a questo fenomeno le plantule hanno quattro volte più possibilità di sopravvivere.
Quindi gli alberi parlano. Le foreste non sono semplicemente un insieme di alberi, sono sistemi complessi con centinaia di alberi hub e reti che si sovrappongono, connettono gli alberi permettono loro di comunicare, e spianano la strada all’adattamento e al feedback, e questo rende la foresta resiliente.
Questo è importante. Potete tagliare uno o due alberi hub, ma c’è un limite perché gli alberi hub sono come dei perni in un aeroplano. Potete prenderne uno o due e l’aeroplano continuerà a volare, ma se ne prendete troppi o se prendete quello che tiene le ali al suo posto, l’intero sistema crolla.
In che modo pensate ora alle foreste? In modo diverso? Bene. Sono contenta.
Tradotto da Caterina Angela Dettori
Revisione di Anna Cristiana Minoli