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Euro o Democrazia?

beppegrillo.it - Marzo 15, 2015

Clive Crook su Bloomberg View punta il dito contro il vuoto democratico delle istituzioni europee (un vuoto in parte previsto e progettato fin dall’inizio). Per quanto ci venga concessa l’impressione di una qualche “rappresentanza” a livello europeo, di fatto non esiste alcuna dialettica governo-opposizione. La più grave contraddizione è che mentre la sopravvivenza della moneta unica richiederebbe “più Europa”, questo “più Europa” significherebbe solo allargare ulteriormente un vuoto democratico già insostenibile.

di Clive Crook, 11 marzo 2015

“Questa settimana la Banca Centrale Europea ha iniziato l’acquisto di titoli previsto dal nuovo programma di Quantitative Easing (QE). Lo scorso giovedì il presidente Mario Draghi aveva dichiarato che era iniziata una forte ripresa dell’area euro, addirittura prima che la politica del QE fosse stata effettivamente avviata. L’annuncio, fatto a gennaio, che ci sarebbe stato un QE sarebbe stato sufficiente a risollevare gli spiriti e a far muovere l’economia, ha detto Draghi. Draghi potrebbe ragionevolmente affermare di essere l’uomo politico più influente d’Europa. E se credete nella democrazia questo è un problema. La Federal Reserve statunitense ha molta indipendenza operativa, ma è responsabile di fronte all’elettorato americano attraverso il suo vincolo di dover riferire le proprie decisioni al Congresso. Inoltre, essa percepisce e deve rispondere alla pressione esercitata dall’opinione pubblica statunitense. Il legame tra la BCE e i cittadini dei paesi dell’eurozona è invece decisamente più distante. La sua posizione è europea nella quintessenza — ed è un aspetto illuminante del ben noto “deficit democratico” dell’Europa. Questa ampia mancanza di controllo democratico, assieme allo stress economico indotto dall’eurosistema, potrebbe alla fine distruggere l’intero progetto europeo.

Il deficit democratico
Il deficit democratico non è un prodotto involontario dell’integrazione europea. Fin dall’inizio le élite politiche europee hanno portato avanti le loro ambizioni sull’Unione Europea pur di fronte a un diffuso scetticismo popolare, quando non addirittura a un’aperta ostilità. Certe pose di legittimità democratica sono sì state offerte, ma l’obiettivo stabilmente perseguito è stato quello di allontanare la presa di decisioni dal processo politico. Questa soppressione della democrazia veniva vista come una cosa di per sé positiva: meno si coinvolge l’elettorato, migliore sarà il risultato.
In linea di principio quell’idea era giustificabile. Tuttavia quando è arrivato l’euro — il progetto europeo più ambizioso e meno voluto — i risultati non hanno giocato a favore. La moneta unica europea è stata una catastrofe. Ha aggravato e prolungato la recessione. Le nuove previsioni ottimistiche della BCE parlano di una crescita dell’1,5 percento nel 2015. Certo è una previsione positiva secondo gli standard degli ultimi sette anni, ma non secondo qualsiasi altro standard. Ancora per il 2017 la disoccupazione prevista è di poco sotto il 10 percento — e in alcuni dei paesi più colpiti dalla crisi sarà comunque il doppio di quella cifra. Il deficit democratico è qualcosa che i cittadini europei sembrano sempre meno disposti a tollerare — e il fallimento del progetto euro non è l’unica ragione. La rabbia sta crescendo perché il deficit democratico si è rivelato addirittura maggiore di quanto fosse stato previsto dagli stessi architetti di questo sistema.

Cosa doveva essere l’Ue
L’Unione Europea era destinata ad essere organizzata in un modo particolare se non unico. L’idea era quella di farne, per un prossimo futuro, “né una cosa né l’altra” — né un’unione federale sul modello degli USA, né una confederazione di Stati pienamente sovrani, ma qualcosa a metà. Ci sarebbe stato un livello di governo europeo, con un forte braccio esecutivo: la Commissione Europea. Un Parlamento Europeo eletto avrebbe poi lavorato in accordo con dei governi nazionali semi-sovrani al fine di fornire un controllo democratico. I poteri del Parlamento sono stati un po’ aumentati nel corso degli anni ma, a confronto con la maggior parte delle legislazioni nazionali, rimangono insignificanti, e non interessano molto agli elettori. Questo era previsto. Ciò che non era previsto è la sempre più perversa divisione di competenze civiche tra il Parlamento Europeo da una parte e i parlamenti nazionali dall’altra.

A che servono le elezioni?
In linea di principio vi aspettereste che le elezioni del Parlamento Europeo aprano un’arena di dibattito sulle politiche economiche dell’Europa, mentre le elezioni nazionali dovrebbero sorvegliare l’evolvere delle relazioni costituzionali tra ciascun paese e l’UE. All’apparenza, in modo appropriato si abbinerebbe appropriatamente ciascun problema alle relative competenze. Fino a poco tempo fa però è accaduto l’opposto. Nel complesso, le elezioni a livello europeo erano centrate sul futuro delle istituzioni europee — un punto sul quale però il Parlamento Europeo ha poca voce in capitolo. Nel frattempo, le politiche economiche a livello europeo sono state contestate prevalentemente ad un livello nazionale — ad un livello al quale, similmente, chi legifera è molto vincolato.

Come dice Peter Mair in “Governare il Vuoto: Lo Svuotamento della Democrazia Occidentale“:

Il risultato è semplice. Le opzioni da entrambi i lati diventano sempre più irrilevanti rispetto ai risultati del sistema, e il comportamento e le preferenze dei cittadini non costituiscono quasi più né un vincolo formale né un mandato per quelli che prendono le decisioni che contano. Le decisioni possono essere prese dalle élite politiche più o meno a mani libere.

Questo allargamento del deficit democratico esiste pertanto a due livelli: a livello europeo e a livello nazionale. Non è solo questione di mancanza di controllo nell’UE. I parlamenti nazionali hanno di fatto ulteriormente ridotto i propri poteri lasciando cadere le questioni di costituzionalità, e si sono impegnati più energicamente negli ambiti dove le loro competenze sono state ridotte. Si potrebbe dire che abbiano puntato sulle proprie debolezze.

Mair ne trae un’ulteriore implicazione:

Ci viene concesso il diritto di partecipare a livello europeo, anche se potremmo voler decidere di avvalerci meno frequentemente di tale diritto; e ci viene concesso il diritto di essere rappresentati in Europa, anche se a volte è difficile capire quando e come funzioni questa rappresentanza. Eppure non ci viene concesso il diritto di organizzare un’opposizione all’interno dell’ordinamento politico europeo. Non c’è una dialettica governo-opposizione a tale livello. Sappiamo che quando non è consentita un’opposizione all’interno di un ordinamento politico, ciò porta probabilmente a: (a) l’eliminazione di qualsiasi opposizione significativa, o a una sottomissione più o meno totale, o (b) alla mobilitazione di un’opposizione di principio contro quello stesso ordinamento politico — cioè all’opposizione anti-europea e all’euroscetticismo.

L’aggiustamento del sistema della moneta unica richiede più Europa — vale a dire un allargamento del livello di governo europeo. Senza un ripensamento radicale, il “più Europa” non farà che allargare ulteriormente l’insostenibile deficit democratico dell’UE. Qui risiede la contraddizione fatale che l’amministrazione europea non è nemmeno in grado di guardare in faccia, figurarsi di risolvere. Se volete il mio parere, i festeggiamenti di Draghi sono stati un po’ prematuri”.

Fonte: Vocidall’estero

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