Nel mosaico digitale italiano sta emergendo una figura che fino a pochi anni fa sarebbe sembrata improbabile, quella dell'”influencer-mafioso”. Le gerarchie criminali continuano a esistere e accanto ai ruoli tradizionali di sicario, estorsore e trafficante si sta affermando un mestiere considerato più redditizio e meno rischioso, quello di protagonista dei social. Una trasformazione che oggi trova il suo terreno ideale su TikTok.
Un rapporto recente, intitolato “Le mafie nell’era digitale” della Fondazione Magna Grecia, delinea un quadro inquietante. La mafia ha imparato a sfruttare le dinamiche del linguaggio digitale: brevi video, filtri, musiche virali, pseudonimi e soprattutto un algoritmo che seleziona e amplifica ciò che ottiene interazioni rapide. Tra il 2023 e il 2024 sono stati analizzati oltre 6.000 contenuti, insieme a profili, hashtag, colonne sonore e marchi. Il risultato è una rappresentazione della vita criminale che si allontana dai toni cupi della tradizione e abbraccia lo stile del consumo aspirazionale. Auto veloci, abiti di lusso, feste private, quadri di ricchezza ostentata. La criminalità organizzata presenta se stessa come un universo attraente, in cui l’appartenenza garantisce visibilità e riscatto sociale. Secondo gli inquirenti, il clan Amato-Pagano, attivo nell’area di Napoli, ha già utilizzato questa estetica per avvicinare nuovi giovani affiliati addestrati con il tempo anche alle attività estorsive. Come ha ricordato il procuratore capo di Napoli, Gratteri, la promessa è sempre la stessa, denaro immediato e successo.
A questo immaginario si affianca una simbologia aggiornata ai tempi. Le emoji sono diventate parte del codice: la catena simboleggia la lealtà, il cuore rosso il sostegno ai detenuti, la clessidra l’attesa della vendetta, il fuoco la violenza, il muscolo la forza e la corona il comando e lo status.In alcuni casi, secondo i ricercatori, perfino capi detenuti avrebbero gestito parte del proprio clan dall’interno del carcere attraverso brevi video e simboli digitali, come una bandiera nera per comunicare lutto. Questo sistema funziona perché TikTok trasforma ogni interazione in un potenziale amplificatore. L’utente comune, attirato dall’estetica pop del crimine, contribuisce senza accorgersene alla sua diffusione con remix, duetti e sfide virali. Il rapporto descrive un flusso incessante di contenuti, mogli di detenuti che dispensano consigli, giovani eredi che ostentano marchi di lusso, ex appartenenti ai clan che commentano faide del passato, caroselli di scooter pensati per intimidire, fotografie di vittime delle guerre tra famiglie. Una miscela di dolore, spettacolo, ricchezza e carcere che, ripetuta senza sosta, allena lo spettatore a considerare la criminalità come un genere di intrattenimento.
Questa narrazione attraente nasconde però meccanismi molto più concreti. Come ha osservato Marcello Ravveduto, professore di sociologia e autore del rapporto, la minaccia non ha più bisogno di apparire esplicita: “La mentalità mafiosa conquista una vetrina che la normalizza, spogliandola della violenza e rendendola sempre più familiare al grande pubblico”. L’immagine costruita online funziona da schermo e da intimidazione implicita, e anche da strumento operativo. E in questo ambiente, anche il denaro sporco trova nuovi percorsi. Secondo il rapporto, alcuni clan stanno sfruttando i “match” dei live streaming, dove gli utenti competono per ottenere donazioni sotto forma di regali virtuali. Una parte di questi trasferimenti avverrebbe tramite carte clonate, offrendo così un nuovo canale per spostare o riciclare fondi illeciti verso conti legati a reti criminali.
Il fenomeno ha radici che precedono TikTok. Il boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, morto nel 2023, seguiva da anni profili social per restare aggiornato sui movimenti attorno ai suoi rifugi. Un caso ancora più emblematico è quello di Emanuele Sibillo, giovane boss della camorra che costruì una sorta di culto digitale attorno alla sua figura, una mitologia che continua a circolare anche dopo la sua morte.
La popolarità di questa estetica non sorprende gli studiosi. Antonio Nicaso, esperto di criminalità organizzata e docente alla Queen’s University, sottolinea che le strategie delle mafie italiane e dei cartelli messicani ormai si assomigliano molto, hanno stesse immagini, stessi codici, stessa capacità di trasformare il crimine in un prodotto culturale globale : “Questa convergenza conferma che l’ambiente digitale è diventato un’arena globale per l’adattamento e la diffusione delle culture criminali, sfumando i confini tra criminalità organizzata e cultura popolare”.
Le piattaforme iniziano a reagire. Lo scorso luglio TikTok ha firmato un accordo con la Commissione parlamentare antimafia italiana e da allora afferma di aver rimosso migliaia di video che glorificavano la vita dei clan. La società dichiara di utilizzare algoritmi e moderatori per eliminare il 99% dei contenuti illeciti prima che qualcuno li segnali. Ma la velocità con cui le reti criminali reinventano immagini, simboli e format rende difficile mantenere il passo. Ogni rimozione apre una nuova variante, ogni codice cancellato viene sostituito da un altro.
Nel frattempo, il racconto continua a evolversi. Il mafioso diventa un’icona pop, una celebrità digitale, un marchio con migliaia di follower che amplificano inconsapevolmente la sua immagine. Una cultura criminale che cambia pelle e si adatta, sfruttando lo stesso motore che alimenta le altre celebrità del web. E mentre le piattaforme tentano di arginarla, questa nuova forma di presenza online si espande, trasformando uno dei mestieri più antichi d’Italia in un prodotto da scrollare.





