Dalle Ande all’Himalaya, una nuova ondata di proteste sta attraversando il pianeta. Senza leader, bandiere, nè partiti. È la voce della Generazione Z, i nati tra il 1996 e il 2010, cresciuti dentro Internet e stanchi di governi che non li ascoltano. In Madagascar, in Nepal, in Kenya, in Indonesia, nelle Filippine, in Perù, in Marocco, la rabbia dei giovani ha travolto i palazzi del potere. È un malcontento globale che parte dai telefoni e finisce nelle strade.
Ad ottobre, il presidente del Madagascar Andry Rajoelina è stato costretto a lasciare il potere e il Paese in seguito a un ammutinamento militare, culmine di settimane di manifestazioni guidate da giovani manifestanti che si autodefiniscono “Gen Z Madagascar”.
Sam Nadel, direttore del Social Change Lab nel Regno Unito, ha spiegato: “Ciò che accomuna queste proteste guidate dai giovani è la consapevolezza condivisa che i sistemi politici tradizionali non siano sensibili alle preoccupazioni della loro generazione, che si tratti di corruzione, cambiamento climatico o disuguaglianza economica. La protesta diventa quindi lo sbocco logico quando i canali istituzionali si sentono bloccati”.
Sebbene le richieste differiscano, la scintilla è quasi sempre la stessa, ovvero l’eccesso o la negligenza del governo. In molti casi le manifestazioni sono state represse con violenza dalle forze di sicurezza. In Marocco, un collettivo senza leader chiamato Gen Z 212 ( dal prefisso telefonico del Paese) è sceso in piazza per chiedere migliori servizi pubblici e più fondi per sanità e istruzione. In Perù, le proteste nate contro una legge sulle pensioni si sono trasformate in richieste più ampie, tra cui azioni per contrastare la crescente insicurezza e la corruzione dilagante. In Indonesia, le piazze sono esplose contro i benefit dei legislatori e l’aumento del costo della vita, costringendo il presidente a sostituire ministri chiave dell’economia e della sicurezza.
Il movimento più emblematico è esploso in Nepal, dove le rivolte della “Generazione Z” sono culminate con le dimissioni del primo ministro a settembre. I giovani nepalesi si sono ispirati alle rivolte di successo in Sri Lanka nel 2022 e Bangladesh nel 2024, che portarono alla caduta dei rispettivi governi. In Madagascar, i manifestanti hanno detto di essersi a loro volta ispirati proprio ai movimenti di Nepal e Sri Lanka. Le proteste malgasce erano iniziate per i tagli periodici all’acqua e all’elettricità, ma in pochi giorni si sono trasformate in una rivolta generale contro l’intero governo e il leader del golpe militare ha annunciato di “assumere la carica di presidente”.
In diversi Paesi è comparso un simbolo comune, una bandiera nera con un teschio sorridente, ossa incrociate e un cappello di paglia, tratta dal manga e anime giapponese One Piece, storia di pirati che sfidano governi corrotti. In Nepal, i manifestanti l’hanno appesa ai cancelli del Singha Durbar, la sede del governo, e su vari ministeri, molti dei quali incendiati durante le proteste. La stessa bandiera è sventolata anche in Indonesia, Filippine, Marocco e Madagascar.
Negli ultimi mesi il simbolo di One Piece ha attraversato i confini asiatici e africani ed è apparso anche in Europa, durante alcune manifestazioni giovanili in Francia, dove è stato visto in cortei a Parigi, Tolosa e Orléans, e in altri casi isolati in Italia e Regno Unito. La bandiera dei pirati digitali è diventata un emblema della disillusione generazionale, un modo per dire che chi governa ha perso la rotta e che le nuove generazioni non intendono più navigare a vista.
Il Social Change Lab osserva che, rispetto ai movimenti del passato (da Occupy Wall Street alla Primavera Araba, fino alla Rivoluzione degli Ombrelli di Hong Kong) la Generazione Z sta portando la mobilitazione a un livello superiore. “Le piattaforme digitali sono strumenti potenti per condividere informazioni e creare connessioni, ma i movimenti più efficaci spesso combinano la mobilitazione digitale con l’organizzazione tradizionale in presenza, come abbiamo visto in queste recenti proteste”.
In Nepal, pochi giorni prima delle rivolte, il governo aveva annunciato il divieto di accesso alla maggior parte delle piattaforme social, accusando le aziende di non essersi registrate entro la scadenza. Molti giovani hanno interpretato la misura come un tentativo di censura e hanno iniziato a usare VPN per aggirare i blocchi. Da lì, TikTok, Instagram e X sono diventati strumenti di resistenza. I ragazzi hanno pubblicato video che mostrano lo stile di vita lussuoso dei figli dei politici, denunciando le disuguaglianze e coordinando raduni e manifestazioni. Su Discord, la chat dei gamer, si sono persino organizzati per decidere chi nominare leader ad interim del Paese.
Il manifestante nepalese Yujan Rajbhandari ha spiegato: “Qualunque movimento si manifesti, che sia contro la corruzione o l’ingiustizia, si diffonde attraverso i media digitali. Lo stesso è accaduto in Nepal. I cambiamenti avvenuti dopo le proteste della Generazione Z in Nepal si sono diffusi a livello globale attraverso le piattaforme digitali, influenzando anche altri Paesi”.
È la prima volta che una generazione globale si ribella nello stesso linguaggio e nello stesso tempo. In passato le rivoluzioni avevano capitali, ora hanno connessioni. E quando milioni di ragazzi in Paesi diversi usano le stesse parole, le stesse immagini, perfino la stessa bandiera, significa che la politica tradizionale ha perso ogni significato. Forse la storia ricorderà questa stagione come l’inizio di una nuova coscienza collettiva, nata dal basso e scritta in tempo reale, dove ogni clic è un’eco che grida e che vuole essere ascoltata.





