Ratan Tata, l’ex presidente del gruppo Tata, è morto qualche giorno fa all’età di 86 anni dopo una lunga malattia a Mumbai. Ratan Tata non era solo un imprenditore, in India era una istituzione, perché la sua azienda, la Tata Group, ha sempre rappresentato un caso straordinario nella storia del capitalismo globale, che vale la pena raccontare.
Mentre molte aziende tradizionalmente operano seguendo due linee: generare profitti per gli azionisti o, in una visione più idealistica, fornire servizi alla comunità, Tata ha saputo fare entrambe le cose. Questa conglomerata indiana ha, infatti, rivoluzionato i principi aziendali, ponendo la filantropia al centro della propria missione, dimostrando che l’etica e il profitto possono convivere, e che anzi, si rafforzano a vicenda.
Fondata nel 1868 da Jamsetji Tata, la compagnia è partita da un’umile impresa di produzione di cotone, ma sin da subito il suo fondatore aveva visioni molto più ampie per l’India e per il mondo. Non si limitò a costruire un impero industriale, ma piantò i semi di un modello di business innovativo: un’impresa che non solo crea ricchezza per gli azionisti, ma che esiste per migliorare la vita delle persone. Jamsetji Tata incarnava i principi della religione zoroastriana, secondo cui il compito di una persona giusta non è solo vivere bene, ma rendere la vita migliore per gli altri. Con questa filosofia in mente, Jamsetji diede vita a trust filantropici che oggi controllano oltre il 66% della holding Tata Sons.
Questa struttura proprietaria è unica nel suo genere. I trust filantropici, che hanno il controllo maggioritario dell’azienda, reinvestono i profitti in progetti che promuovono il progresso sociale in India. In altre parole, il successo di Tata non si misura solo attraverso la sua performance finanziaria, ma anche dal contributo che riesce a dare alla società. La famiglia Tata, infatti, detiene solo una piccola quota azionaria, rendendo evidente che la ricchezza generata dall’azienda non si concentra nelle mani di pochi, ma viene distribuita equamente tra i dipendenti, gli azionisti e, soprattutto, la società stessa, considerata il “quarto stakeholder”.
Il Tata Group non solo ha prosperato, ma ha dimostrato che esiste un altro modo di fare capitalismo, un modo che non si basa sul principio della “somma zero”, dove il successo di uno implica la sconfitta di altri. Al contrario, Tata ha ribaltato questa logica: il suo approccio è costruire un modello di business in cui la prosperità dell’azienda si traduce nel benessere di tutta la comunità. Jamsetji Tata, e i suoi successori, hanno riscritto i criteri di successo aziendale, facendo della filantropia e dell’etica il nucleo centrale delle loro operazioni.
Non a caso, Tata è diventato un leader globale in settori diversi come l’acciaio, i prodotti chimici, l’IT, l’energia, l’automobilistico, gli hotel e le assicurazioni. Invece di concentrarsi su una sola area, Tata si è diversificata, diventando un punto di riferimento per l’innovazione e la sostenibilità. In molti casi, più che elencare i settori in cui è attiva, è più semplice citare quelli in cui Tata non ha ancora un’influenza diretta.
Ciò che distingue davvero Tata dalle altre grandi multinazionali è l’equilibrio che ha saputo trovare tra efficienza economica e responsabilità sociale. I profitti generati non sono solo distribuiti tra azionisti e dipendenti, ma vengono utilizzati per finanziare progetti educativi, sanitari e di sviluppo sociale, che migliorano le condizioni di vita di milioni di persone in India e altrove. Questo ha permesso a Tata di essere non solo un attore economico di rilievo, ma anche una forza motrice per il progresso sociale.
Un aspetto affascinante del modello Tata è l’atteggiamento dei suoi dirigenti nei confronti della ricchezza personale. A differenza di molti CEO occidentali, i leader di Tata non ostentano la loro ricchezza in ville sontuose o stili di vita lussuosi. Al contrario, vivono in case modeste, e l’intero management segue una filosofia di condivisione della ricchezza, in linea con i principi di equità e filantropia su cui l’azienda è stata fondata.
Le aziende Tata hanno dimostrato che filantropia ed efficienza aziendale non solo possono coesistere, ma sono complementari. Questo approccio ha fatto sì che Tata non solo crescesse come conglomerato internazionale, ma fosse riconosciuta per il suo impegno etico. Oggi, in un mondo dove la disuguaglianza cresce in modo esponenziale — con l’1% della popolazione che detiene il 99% della ricchezza globale — Tata rappresenta un’alternativa: un’impresa che si impegna a creare valore non solo economico, ma anche sociale.
L’eredità di Jamsetji Tata vive ancora oggi nelle azioni del gruppo. La sua visione era chiara: fare impresa non deve essere solo una corsa al profitto, ma anche uno strumento per migliorare il mondo. Nel corso dei decenni, Tata ha incarnato questo principio, dimostrando che è possibile costruire una grande azienda mantenendo saldi i valori di equità, umanità e impegno per il bene comune.
Tata è, dunque, una storia di successo non solo economico, ma anche umano. Un’azienda che ha capovolto i principi tradizionali del capitalismo e che, invece di accumulare ricchezza per pochi, ha saputo distribuirla e utilizzarla per il bene di molti. E nel farlo, ha dimostrato che l’etica può essere, e deve essere, al centro del business.