di Piero Ricca
“Nel disinteresse generale, mentre il mondo è scosso da gelidi presagi di guerra, prosegue come un rito stanco l’iter parlamentare per la riforma della Costituzione voluta dal governo Renzi. A meno di colpi di scena dell’ultimo momento, l’approveranno. E sarà l’atto più grave della legislatura in corso. Per ragioni di metodo e di contesto. Ma soprattutto per il modello di Repubblica che tale riforma contribuisce a plasmare, in combinata con la nuova legge elettorale: un premierato di fatto del leader del primo partito, senza validi contrappesi e con un’ulteriore riduzione di partecipazione, controllo e rappresentatività.
Sul tema è necessaria un’ampia riflessione pubblica, in vista del decisivo referendum popolare.
In quale contesto e con quale metodo viene portata avanti questa riforma?
1) E’ una riforma che proviene non dal parlamento, come sarebbe lecito attendersi, ma dal governo, che ormai governa e fa le leggi, insofferente alle procedure ordinarie, a colpi di decreti, maxiemendamenti, voti di fiducia e leggi delega.
Il governo attuale è arrivato al 47 esimo voto di fiducia, non è ancora record assoluto (per ora la medaglia spetta all’esecutivo Monti) ma poco gli manca.
In compenso è già primato per le leggi delega, altro strumento eccezionale trasformato in prassi abituale, come ricorda il prof. Michele Ainis in quest’articolo..
Che cosa vuol dire tutto questo? Che il parlamento è sempre più svuotato di prerogative e autorevolezza, degradato com’è a ufficio di ratifica di decisioni governative.
2) Ma il governo in carica, su quale effettiva rappresentanza democratica si basa? Poco più di nulla. Non può certo dirsi espressione di un voto popolare e si avvale di un premio di maggioranza costituzionalmente illegittimo. Ora, sappiamo bene che in Italia non è prevista l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, tuttavia tre governi consecutivi (Monti, Letta, Renzi) che non rispecchiano alcun tipo di mandato elettorale sono un fatto inaccettabile anche in una repubblica parlamentare malconcia come la nostra. E un governo con un così evidente deficit di rappresentatività e legittimità, a tutto dovrebbe pensare tranne che a cambiare a maggioranza semplice le regole fondamentali dello Stato.
3) Il dato che si tende a rimuovere è la sentenza della Corte costituzionale che nel gennaio del 2014 ha decretato l’illegittimità della legge elettorale nota ai più come Porcellum. Per effetto di quella sentenza, il parlamento avrebbe dovuto ragionevolmente rimanere in carica per un tempo limitato, in nome del principio di continuità dello Stato, il tempo di sbrigare gli affari correnti, varare una nuova legge elettorale al fine di un rapido ritorno alle urne e poco altro. Si è scelta naturalmente la via opposta.
4) Di tale riforma governativa è richiesta l’approvazione a un parlamento mai arrivato a un simile stadio di delegittimazione sostanziale, visti i numeri da record di cambi di casacca di deputati e senatori, o meglio: dei nominati al Senato e alla Camera. Secondo Openpolis, fino al 12 novembre i cambi di gruppo parlamentare sono stati in tutto 307. I parlamentari che hanno cambiato gruppo sono per ora 232. Ma tutto lascia supporre che possano aumentare a breve. A tali livelli, il vizio antico del trasformismo diventa un fattore eversivo. Condiziona l’approvazione delle leggi e la vita dei governi. Allontana ancor di più i cittadini dalle urne. Per porvi rimedio l’unico modo sarà rivedere il vincolo di mandato: al pari dell’immunità parlamentare, un istituto nato per una finalità nobile – la tutela della libertà del singolo parlamentare – ma ora degradato a schermo del peggiore trasformismo.
In tali condizioni, che hanno superato il limite del cortocircuito istituzionale, soltanto un’imperdonabile mancanza di senso dello Stato, smerciata per spiccata capacità decisionale, ha potuto ispirare la volontà di cambiare la Costituzione senza il preventivo consenso dei cittadini, senza un diffuso dibattito nel Paese, senza una convergenza ampia delle forze politiche. In assenza cioé dei caratteri che formano quel che in epoche politiche meno desolanti dell’attuale si definiva “spirito costiuente“.
Ma ancor più gravi risultano le ragioni che nel merito inducono a opporsi alla riforma costituzionale. Le riassume bene questo appello dal prof. Alessandro Pace. Ecco la principale:
“Grazie allattribuzione alla sola Camera dei deputati del rapporto fiduciario col Governo, e, grazie allItalicum in conseguenza del quale il partito di maggioranza relativa, anche col 30 per cento dei voti e col 50 per cento degli astenuti, otterrebbe la maggioranza assoluta dei seggi lasse istituzionale verrà spostato decisamente in favore dellesecutivo, che diverrebbe a pieno titolo il dominus dellagenda dei lavori parlamentari, con buona pace della citata sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale, secondo la quale la rappresentatività non dovrebbe mai essere penalizzata dalla ‘governabilità’.“
In altre parole: il leader della minoranza vincente – padrone dei numeri nell’unica camera che conta, grazie a un abnorme premio di maggioranza e a parlamentari in gran parte di nuovo nominati dai partiti – si blinderebbe al governo come uomo solo al comando. Ve lo immaginate in un Paese come l’Italia, senza robusti anticorpi democratici, senza una legge sul conflitto di interessi, senza un autentico rispetto delle istituzioni di garanzia, senza una tradizione di indipendenza dai governi dei grandi media, senza uno statuto solido a tutela delle minoranze, senza una severa disciplina della vita dei partiti? Meglio di no.
Riforma costituzionale e legge elettorale vanno dunque lette in combinata. E meritano entrambe di cadere.
Per la legge elettorale – che entrerà in vigore dal luglio 2016 – occorre rimettersi alla Corte costituzionale, che potrebbe presto essere investita della questione all’esito della strategia di ricorsi ai Tribunali tutt’Italia, cui ha aderito anche il M5S, promossa dal Coordinamento per la Democrazia costituzionale. I motivi di incostituzionalità di questa legge in teoria non mancano, dal premio di maggioranza ai capilista nominati. Ma è meglio non azzardare previsioni, dato che la nuova composizione della Corte, rispetto a quella che fece fuori il Porcellum, potrebbe portare a un orientamento diverso.
A tale riguardo, l’imbarazzante impasse in merito alla sostituzione dei tre giudici costituzionali di nomina parlamentare, tuttora in corso dopo 28 votazioni andate a vuoto, rivela quanto sia importante per i partiti delle ex larghe intese mandare alla Consulta uomini di provata fedeltà, anzitutto in vista della decisione sulla legge elettorale.
Ma c’è un’altra possibilità: che quella legge sia cambiata per interessi di bottega, in prossimità delle elezioni, proprio da chi pochi mesi fa l’ha voluta. Con il premio di maggioranza di lista, visti i sondaggi, ora il Pd di Renzi teme di perdere al ballottaggio. Se deciderà di ritoccare il cosiddetto Italicum sarà per limitare questo rischio. E la spudoratezza politica toccherà una nuova vetta..
Per la riforma costituzionale, invece, la parola spetterà direttamente ai cittadini. Quando verrà approvata definitivamente dal parlamento, l’unica possibilità di evitare che entri in vigore sarà il referendum popolare, previsto dall’art. 138 della Costituzione. Un referendum – è bene ricordarlo – che non richiede quorum di validità. L’esito sarà deciso dalla maggioranza dei voti validi. Il precedente incoraggiante c’è: il referendum con il quale la maggioranza dei votanti spazzò via la controriforma costituzionale del Governo Berlusconi, il 26 giugno del 2006.” Piero Ricca