di Danilo Della Valle – Stiamo vivendo in un’epoca in cui la povertà e le disuguaglianze crescono costantemente, paradossalmente soprattutto nei Paesi più ricchi. La politica, fino ad oggi, ha fatto ben poco per invertire questa tendenza, mancando sia di controllo sull’economia sia della volontà di affrontare il problema. In Italia, il 12% dei lavoratori vive in povertà, mentre nell’Unione Europea la percentuale varia tra l’8% e il 10%, cifre allarmanti. Lavoratori poveri, che guadagnano meno di 11.500 euro all’anno. Intere famiglie che non riescono a sopravvivere con il proprio salario né a trovare tempo per le proprie passioni, finendo spesso nel circolo vizioso dei prestiti e dei finanziamenti, con conseguente infelicità, preoccupazione costanti e problemi di salute. Paradossalmente, più si lavora in condizioni usuranti o alienanti, peggiori sono le condizioni economiche.
A questo scenario già critico si aggiungono i dati sulla povertà generale, con cittadini disoccupati e ai margini della società, senza una casa o indipendenza economica, che rendono il quadro ancora più preoccupante.
Oggi, a livello globale, l’85% dei lavoratori può essere considerato “non inserito o attivamente disimpegnato”, impegnato in attività poco utili o percepite come non importanti. Molti di questi lavori sono alienanti, se non inutili, e probabilmente scompariranno a breve. Sebbene possa sembrare fantascienza, purtroppo è realtà.
Stiamo vivendo una transizione verso una nuova era; basti pensare che 200 anni fa negli Stati Uniti la maggior parte dei lavoratori era impiegata in agricoltura, mentre oggi rappresentano solo l’1%.
La sfida è governare questo cambiamento in modo positivo. Secondo una ricerca del McKinsey Global Institute, entro il 2030 un lavoratore su 16 potrebbe dover cambiare o perdere il proprio lavoro, con 100 milioni di posti di lavoro a rischio nelle otto maggiori economie mondiali.
Molti dei lavori del futuro non esistono ancora, mentre numerose professioni meno qualificate, soprattutto nella produzione e nei servizi, subiranno notevoli riduzioni a causa dell’automazione e dell’intelligenza artificiale. Questo significa che intere categorie di lavoratori si troveranno in una situazione di incertezza, escluse dal mercato del lavoro per mancanza di qualifiche adeguate o per questioni anagrafiche.
Geoffrey Hinton, colui che è da tutti considerato come il “Padre dell’IA”, la scorsa settimana ha consigliato al governo del Regno Unito di adottare un reddito di base universale per mitigare le perdite di migliaia posti di lavoro a causa dei progressi dell’intelligenza artificiale. L’ipotesi dell’ex informatico di Google, creatore delle reti neurali, è che tra i cinque e i vent’anni a partire da oggi ci sarà una probabilità del 50% che dovremo affrontare il problema di una intelligenza artificiale che cercherà di prendere il sopravvento.
Nel nostro paese, una ricerca presentata da FPA ha rivelato che il settore pubblico sarà particolarmente colpito dall’IA, con il 57% dei 3,2 milioni di dipendenti pubblici italiani considerati altamente “esposti” all’avvento degli algoritmi. La stretta interazione tra le mansioni attualmente svolte dai dipendenti e quelle che gli algoritmi possono eseguire potrebbe portare a un arricchimento delle attività grazie all’apporto dell’IA, oppure alla sostituzione dei lavoratori. Secondo lo studio, sono particolarmente a rischio sostituzione 218.000 dipendenti pubblici appartenenti a professioni meno specializzate, caratterizzate da compiti ripetitivi e prevedibili che l’intelligenza artificiale potrebbe facilmente svolgere.
“Probabilmente nessuno di noi avrà un lavoro. Se vuoi fare un lavoro, puoi tenerlo come hobby”, è la dichiarazione di qualche giorno fa di Elon Musk, ospite alla fiera tecnologia VivaTech 2024 di Parigi. La visione di Musk solleva un problema fondamentale. Senza lavoro, come si potrà ottenere denaro per acquistare beni e servizi? Di fronte a questo scenario, anche Musk suggerisce un “reddito universale elevato”, un reddito garantito direttamente dai governi a tutti i cittadini.
Con l’avanzare dell’automazione, che porta alla perdita di milioni di posti di lavoro, e l’aumento delle disuguaglianze e dell’accumulo di ricchezze nelle mani di pochi a scapito di molti, è giunto il momento di un reddito universale, ricordando che siamo la maggioranza su questo pianeta, una maggioranza che non deve più rimanere silenziosa.
L’AUTORE
Danilo Della Valle, laureato in scienze politiche e relazioni internazionali (con tesi sull’entrata della Russia, nel Wto); Master in Comunicazione e Consulenza politica e Scuola di formazione “Escuela del buen vivir” del Ministero degli Esteri Ecuadoriano. Si occupa di analisi politica, principalmente di Eurasia. Scrive per l’antidiplomatico, “Il mondo alla rovescia”. Attualmente è candidato alle elezioni europee per il Movimento 5 Stelle per la Circoscrizione Sud.