Tratto da Montagna.Tv, di Gian Luca Gasca
Il Laboratorio Piramide alle pendici dell’Everest, un’eccellenza italiana lasciata all’abbandono e all’incuria. Sono queste le testimonianze giunte la scorsa stagione da alcuni trekker diretti al campo base della prima montagna. Notizia a cui ha fatto seguito un appello da parte del Dr. Suresh Tiwari, secretary of forest and environmental ministry, e di Ron Meyer della Tilburg University insieme ad alcuni loro collaboratori che hanno soggiornato alla Piramide. Seguendo l’onda di questa sparute notizie abbiamo deciso di andare a cercare chi ha speso anni contribuendo alla realizzazione e al mantenimento di questa struttura. Una struttura d’eccellenza, una risorsa unica per la ricerca scientifica in alta quota voluta dal professor Ardito Desio insieme all’alpinista e presidente del comitato EvK2CNR Agostino Da Polenza.
“Ricordo bene il periodo dell’installazione, ci lavorammo durante il monsone. Un’esperienza indimenticabile” ride Giampietro Verza, responsabile tecnico del Laboratorio Piramide e Guida Alpina che dal 1990 collabora al progetto EvK2CNR per le ricerche scientifiche in alta quota. “Fu un’esperienza unica perché dormivamo in tenda, quindi potete immaginare le condizioni sotto la pioggia. Solo ogni tanto riuscivamo ad asciugare qualcosa grazie a uno squarcio tra le nuvole”.
Giampietro che ruolo hai avuto nella realizzazione del Laboratorio Piramide?
Ho contribuito alla progettazione, soprattutto della parte elettrica e delle telecomunicazioni.
Come avete portato su i materiali per realizzarlo?
Buona parte della Piramide è stata trasportata in quota grazie ai portatori. Ricordo che portavano di tutto: alcuni salivano con le finestre; altri, a coppie, portavano i tubi dell’impianto idroelettrico; poi c’erano quelli con i cavi elettrici, bobine da 60 chili ciascuna. Ricordo che per mia inesperienza, e anche perché mi sembrava assurdo per i portatori, tagliavo le bobine in due spezzoni da 30 chili e puntualmente mi capitava che arriva su un portatore con doppi carico che portava le due bobine. All’ora non sapevo che i portatori possono portare 60 chili, oggi so che arrivano a portarne fino a cento.
Quindi anche il lavoro di costruzione è stato complesso…
Si, è stato un lavoro complesso.
Ricordo che abbiamo cominciato con il montaggio della parte metallica, abbiamo sistemato le travi e le putrelle. Materiali pesanti cento chili, tutto portato su a mano dai portatori. Sono stati necessari molti lavori di saldatura per il montaggio, cosa non scontata a quelle quote.
Com’era strutturato il Laboratorio?
Rispetto alla configurazione attuale era una struttura completa: c’erano i laboratori, la parte logistica, le stanze da letto e la sala da pranzo. Solo la cucina rimaneva fuori: avevamo montato un tendone dove i nepalesi cucinavamo.
La corrente veniva prodotta grazie all’idroelettrico e per questo, nei primi anni di attività, in inverno la Piramide veniva chiusa dato che non si poteva produrre energia. Con gli anni poi si è riusciti a montare un efficiente sistema fotovoltaico in grado di fornire corrente tutto l’anno.
Poi?
Nel 2014 il Laboratorio Piramide ha toccato il suo massimo splendore, tutti i laboratori erano attivi, anche quello per il monitoraggio della qualità dell’aria che il World Meteorological Organization (WMO) ha definito come punto di riferimento per la ricerca.
Avevamo personale, una connessione Wi-Fi e energia a sufficienza per mandare avanti la struttura. Nel 2013 avevamo anche fatto la sostituzione dei pannelli solari.
Oggi?
Purtroppo abbiamo dovuto fermare gli strumenti. Avevamo una dozzina di sherpa, tecnici capaci di mettere le mani sugli impianti elettrici, di operare con gli strumenti, oggi senza lavoro.
Dal 2014 a oggi tanto è cambiato. Il laboratorio è ancora in piedi con la parte elettrica funzionante, ma non abbiamo più connettività satellitare ed è rimasto un solo Sherpa a custodire il Laboratorio.
Oltre alla manodopera cos’è andato perso?
Come già detto abbiamo perso il personale nepalese e con loro tutto l’investimento fatto per formarli, anche se per loro è andata peggio essendosi trovati senza lavoro.
Stiamo inoltre andando incontro ad un degrado continuo degli impianti. Per fare un esempio la stazione meteorologica posizionata sul ghiacciaio oggi non c’è più, è caduta e non c’è personale per andare a rimetterla in piedi.
Con parte della strumentazione abbiamo anche perso la qualità dei dati. Gli strumenti andrebbero monitorati e tarati. Abbiamo ad esempio perso tutte le misure sulla qualità dell’aria, lavoro che stavamo portando avanti per il WMO.
Le attività di laboratorio sono ferme, le missioni dei ricercatori di qualsivoglia disciplina anche. Si è tutto azzerato perché, al momento, non siamo in grado di ospitare ricercatori.
Siamo però riusciti a salvare la stazione di rilevamento sismico e una parte della stazione meteo.
Cosa pensi che possa accadere nel futuro?
Ora come ora se mi diceste “ci interesserebbe condurre questa ricerca alla Piramide” direi che qualcosa si potrebbe fare. Manca la manutenzione, il laboratorio non è attivo ma abbiamo corrente elettrica e la struttura è in piedi. Si può quindi dire che la base per lavorare esiste.
Quel che ora bisogna capire è perché il CNR, che si è sempre fregiato dell’immagine del Laboratorio Piramide, oggi non voglia superare i problemi esistenti per tenere in funzione il laboratorio. Siamo rimasti tutti perplessi.
Non so quale sarà il futuro. So però che oggi stiamo ricevendo richieste da molti enti interessati a fare ricerca al Laboratorio Piramide. Ci contattano università francesi, dalla stazione sismica di Trieste, i glaciologi di Milano e può capitare che la piramide diventi il fiore all’occhiello di qualche altro istituto di ricerca.