di Danilo Della Valle – “La data del 15 Febbraio 2022 entrerà nella storia come il giorno del fallimento della propaganda di guerra da parte dell’Occidente” tuona Maria Zakharova la portavoce del Ministero degli Esteri russi, annunciando l’inizio del ritiro delle truppe russe stanziate al confine con l’Ucraina. Sono settimane ormai che si sente parlare ininterrottamente di un’imminente invasione russa in Ucraina, con conseguente pericolo di guerra “novecentesca” ad alta intensità nel cuore dell’Europa. Secondo i media, e secondo Washington, l’obiettivo di Mosca sarebbe quello di provocare una guerra di conquista in Ucraina, causando migliaia di morti, per cercare di riprendersi quel che un tempo era parte dell’Urss. Fiumi di inchiostro e di parole trovano spazio nei tg e nelle tribune politiche confermando il mito dell’orso russo invasore che tanto è di moda in Occidente da tempo immemore.
La narrazione classica russofoba, avviata con il mito dell’espansionismo russo e la fabbricazione del falso testamento di Pietro il Grande ad opera di Luigi XV, coadiuvato da diversi aristocratici polacchi, continua ad essere alimentata ancora in Europa. Il testamento di Pietro il Grande, ad esempio, dichiarato ufficialmente falso nel 1879 è stato spesso usato come “evidenza” della aggressività della Russia da tutte le cancellerie europee, e non solo, e che, come scrive lo storico americano Martin Malia, “il presidente Truman all’inizio della Guerra Fredda lo giudicò prezioso per spiegare la figura di Stalin”.
Eppure, mappa alla mano, dalla caduta dell’Unione Sovietica in poi, la cartina dell’influenza politica in Europa è cambiata ma non nella direzione che spesso si narra, ossia quella dell’espansionismo russo. L’alleanza atlantica, che aveva come collante la contrapposizione all’ormai disciolto Patto di Varsavia delle potenze socialiste dell’Europa Orientale, è avanzata inesorabilmente ad Est, ben oltre la cortina di ferro, al contrario delle promesse fatte all’epoca ai leader sovietici all’indomani della caduta dell’Urss, fino ad arrivare alle porte della odierna Federazione Russa.
Questo probabilmente è accaduto per due semplici motivi: il primo è per la tentazione degli Stati Uniti, tramite la Nato, di mettere la Russia in un angolo, espandendo la propria influenza in Europa orientale e mantenere l’egemonia in tutta Europa, che comunque resta il continente ancora più “ambito”, probabilmente solo per un fatto di prestigio, dalle superpotenze; il secondo punto è senz’altro strategico e di lunga durata perché, depotenziando la Russia, il nemico più “debole” in questo momento, ci si può dedicare alla questione cinese, vero obiettivo degli Usa per la competizione planetaria.
Il terreno di scontro è ancora una volta l’Ucraina, terra di confine, come l’etimologia della parola suggerisce, che da tempo ha sperimentato il passaggio dalle “sfide” elettorali tra i due blocchi, quello della parte ovest, tradizionalmente più ancorata ad un idea occidentale e quella della parte est, russofona, ad una vera e propria guerra. Perché sì, il conflitto in questa parte di Europa va avanti dal 2014, da quando il colpo di Stato di Maidan, non accettato dalla parte di popolazione russofona, ha portato allo scoppio di una guerra civile tra l’esercito ucraino regolare e le autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, nella parte orientale appunto dell’Ucraina. Conflitto che nonostante gli sforzi diplomatici non riesce a cessare e che, secondo il report dell’OHCHR2, è costato finora più di 15mila vittime di cui oltre 3500 i civili morti per motivi legati alla guerra e un milione e cinquecento mila sfollati di cui la maggior parte verso Russia e Bielorussia). Un paese diviso, con una parte significativa di esso, non solo nelle repubbliche autoproclamate, che storicamente non è ostile alla Russia, ma che anzi si sente culturalmente più vicino e che non vede i russi come “nemici”. Emblematiche sono le dichiarazioni rilasciate ai giornalisti della Statunitense Vice da un militare ucraino di stanza in Donbass che ha dichiarato, come si può vedere nel video, “Le persone che sostengono quello che facciamo qui, in questa guerra, non sono tante all’est dell’Ucraina. Qui la gente considera i russi come fratelli, quindi la popolazione locale aiuta, lavora per l’altra parte. Trasmette informazioni, corregge il fuoco dell’artiglieria”.
Ad oggi dunque la situazione sembra si sia di nuovo calmata, dopo che in un primo momento fonti Usa avevano fissato nel 16 Febbraio la data X in cui la Russia avrebbe, secondo le loro informazioni, lanciato l’offensiva sul fronte Ucraino, scatenando le ire del Presidente Ucraino Zelensky prima e del Segretario del Consiglio nazionale per la sicurezza e la difesa, Danilov, che hanno ripreso gli Stati Uniti: “La verità è che noi abbiamo informazioni differenti. Ad oggi non vediamo come un’offensiva russa possa avvenire il 16 o il 17”. Nonostante tutto se vi sarà una guerra su larga scala o meno è difficile dirlo, perché ogni giorno che passa la situazione sembra cambiare rispetto al giorno prima e, sappiamo bene, spesso la pistola fumante può arrivare in qualsiasi momento. Tuttavia, analizzando la situazione possiamo dire con certezza che per la Russia non avrebbe senso condurre una guerra di invasione su larga scala in Ucraina, per diverse ragioni. Innanzitutto c’è la questione militare: sebbene l’Ucraina sia un territorio molto difficile da difendere perché praticamente totalmente pianeggiante e senza difese naturali, nessun russo scommetterebbe sul cominciare una guerra in inverno. Inoltre, basterebbero 140mila uomini ad entrare in Ucraina dalla parte est, senza dubbio, visto che i russi troverebbero terreno fertile nella popolazione che non ha mai accettato il colpo di Stato di Maidan nel 2014, ma poi sarebbe difficile restare in Ucraina, senza grossi spargimenti di sangue, considerando che la parte ovest del Paese, diciamo quella storicamente poco incline alla Russia, sarebbe un terreno di scontro civile-militare. Con questi numeri si potrebbe pensare ad una azione lampo da parte russa, nelle zone russofone, che sarebbe comunque dannosa per la diplomazia e quindi non porterebbe a nessun risultato per Mosca. Poi c’è la questione economica: la Russia sa benissimo che una guerra peggiorerebbe tantissimo le relazioni con i Paesi europei, soprattutto con Francia, Germania e Italia, relazioni che sono bilateralmente importantissime, nonostante le sanzioni ancora in corso, per questioni politiche e per le relazioni economico strategiche. Se pensiamo al gasdotto North Stream2, al momento di vitale importanza per i Paesi europei e terreno di “scontro diplomatico” tra Germania-Usa-Russia, che con una eventuale guerra potrebbe ulteriormente ritardare il suo avvio, già si può capire del perché questa guerra non convenga a nessuno, né in Russia, né in Europa. Inoltre, in caso di conflitto sarebbero varate nuove sanzioni economiche, molto più pesanti, come ad esempio l’esclusione della Russia dal circuito dei pagamenti internazionali, o quelle nei settori del gas e petrolio, sanzioni che metterebbero in difficoltà l’economia Russa anche sul fronte interno e che sommati ai problemi interni della Federazione Russa in alcune aree del Paese, potrebbero rappresentare un problema a ridosso delle elezioni presidenziali del 2024. Insomma, al Cremlino dovrebbero sapere che una invasione su larga scala favorirebbe coloro che soffiano sull’isolamento ad ovest della Russia, con la brama di depotenziarla su più fronti. Ma allora cosa chiede la Russia? La prova muscolare di Mosca la si può intendere in diversi modi: i 140 mila soldati russi stanziati sul suolo russo ai confini con l’Ucraina possono esser serviti a capire quanto realmente i Paesi Europei e gli Usa siano davvero disposti a combattere per l’Ucraina (poco o niente) e a ricordare alla Nato che la stessa sensazione è avvertita dai russi quando le esercitazioni militari atlantiche si ammassano lungo i confini russi. Ma sicuramente lo stanziamento dei militari russi è atto a negoziare e frenare l’avanzata della Nato sempre più verso est, Mosca vuole rassicurazioni affinché l’alleanza atlantica tolga dalle proprie mire Ucraina, Georgia e Bielorussia. Entrata nella Nato che tra l’altro al momento non sembra all’ordine del giorno, tanto più che la situazione attuale in realtà impedirebbe all’Ucraina di aderire alla Nato perché per entrare a far parte della Nato, bisognerebbe, tra le varie condizioni, essere pronti a risolvere pacificamente i conflitti e quindi con le attuali dispute territoriali e la violenza degli scontri l’Ucraina non potrebbe aderirvi. “Nessun Presidente russo può mai consentire una cosa del genere, sarebbe pericoloso” ha dichiarato qualche giorno fa Noam Chomsky dagli Usa, aggiungendo : “Se la crisi ucraina si risolverà pacificamente, sarà un affare europeo, rompendo con la concezione “atlantista” del secondo dopoguerra che pone gli Stati Uniti saldamente al posto di guida. Potrebbe anche essere un precedente per ulteriori passi verso l’indipendenza europea”.
Ecco, cosa può fare l’Europa? L’Europa può e deve promuovere il dialogo e le vie diplomatiche senza farsi trascinare sul campo di guerra da potenze che hanno interesse a vedere il nostro Continente in perenne lotta con i vicini, con cui storicamente abbiamo relazioni politico commerciali molto importanti. L’Europa non ha bisogno di guerre, di escalation né di fare sanzioni perché a pagarne le conseguenze sono in primis i cittadini europei. L’Europa ha bisogno di essere politica e indipendente nelle scelte e di non cadere nelle provocazioni di chi vuole usare il nostro Continente come esca per perseguire i propri interessi egemonici.
L’Europa ha bisogno di promuovere il multilateralismo e la cooperazione.
L’AUTORE
Danilo Della Valle, laureato in scienze politiche e relazioni internazionali (con tesi sull’entrata della Russia, nel Wto); Master in Comunicazione e Consulenza politica e Scuola di formazione “Escuela del buen vivir” del Ministero degli Esteri Ecuadoriano. Si occupa di analisi politica, principalmente di Eurasia. Scrive per l’antidiplomatico, “Il mondo alla rovescia”.