
Ogni anno macelliamo una quantità impressionante di animali: si stima 50 miliardi di polli uccisi nel mondo ogni anno, oltre a 1,5 miliardi di maiali e centinaia di milioni di bovini e ovini. Negli ultimi 50 anni la popolazione mondiale è raddoppiata, ma il consumo di carne è triplicato. Ci abbuffiamo di bistecche, hamburger e salumi senza considerare che questa abbuffata di carne ha conseguenze pesanti sull’ambiente e sulla nostra salute. Campi perennemente coltivati a mangimi anziché a cibo per l’uomo, foreste rase al suolo per fare spazio a pascoli o soia per gli allevamenti, fiumi inquinati dai liquami. E poi c’è il clima: mucche e maiali stanno riscaldando il pianeta (no, non perché li cuciniamo sulla griglia). Sembra una provocazione? È esattamente quello che emerge da un recente rapporto britannico.
Nel Regno Unito, il Comitato per il Cambiamento Climatico (CCC) – l’organo indipendente che consiglia il governo sulle politiche climatiche – ha lanciato una proposta destinata a far rumore: mangiare 260 grammi di carne in meno ogni settimana, l’equivalente di due kebab doner, per contribuire in modo decisivo alla lotta alle emissioni. In altre parole, rinunciare a due kebab a settimana potrebbe bastare a mantenere il Regno Unito entro limiti climatici sicuri da qui alla fine del prossimo decennio. Vi sembra poco? Evidentemente, secondo gli esperti britannici, non serve trasformarci tutti in vegani dall’oggi al domani: basterebbe ridurre moderatamente il nostro consumo di carne per fare una grande differenza. “Non stiamo assolutamente dicendo che tutti debbano diventare vegani. Ma ci aspettiamo uno spostamento graduale delle abitudini alimentari”, ha spiegato Emily Nurse, responsabile del programma net zero del CCC. Insomma, un piccolo sacrificio culinario spalmato sui sette giorni che, sommato su scala nazionale, aiuterebbe a tagliare enormemente le emissioni.
I numeri del rapporto non lasciano spazio a dubbi: per centrare l’obiettivo di emissioni nette zero entro il 2050, la dieta degli inglesi cambiare un po’. Il CCC raccomanda un taglio del 20% nel consumo di carne e latticini entro il 2030, e fino al 35% in meno di carne entro il 2050. Detto così sembra drastico, ma tradotto in spiccioli significa appunto qualche etto di carne in meno alla settimana a testa. Due spiedini di kebab, una bistecca media, o tre hamburger piccoli: riuscite a immaginare di non mangiarli? Il CCC scommette di sì, confidando anche nelle tendenze già in atto: una maggiore attenzione alla salute, l’aumento di alternative vegetali, il fatto che le nuove generazioni sono più aperte al “Meat Free Monday” rispetto ai nonni cresciuti a roast-beef. Certo, il governo deve fare la sua parte: i consulenti chiedono politiche alimentari più coraggiose, dall’introdurre menu sostenibili in mense scolastiche e ospedali, al promuovere proteine alternative anziché rifugiarsi nella fede cieca in qualche miracolosa tecnologia salva-mucche. Ma il messaggio chiave è chiaro e inedito: nella terra del fish and chips, per salvare il clima bisogna lasciare nel piatto un po’ di carne.
A questo punto viene spontaneo chiederci: e noi italiani? Quanto carnivori siamo, e con quali conseguenze? I dati più recenti mostrano un quadro contrastante. Da un lato, mangiamo meno carne di una volta; dall’altro, ne mangiamo comunque tantissima. Secondo l’ultimo rapporto Ismea, nel 2023 il consumo di carne in Italia è stato di circa 79 kg pro capite annui, in leggero calo rispetto all’anno prima. Una buona notizia: nel 2010 erano 84 kg, dunque in poco più di un decennio abbiamo ridotto del 7% la carne nel nostro carrello. In Europa occidentale non siamo nemmeno tra i peggiori: l’Italia si conferma tra i Paesi con un consumo pro capite inferiore alla media UE. Eppure 79 chili all’anno significano comunque circa 216 grammi di carne al giorno a testa. Praticamente ogni italiano mangia in media carne tutti i giorni, spesso due volte al dì. Altro che “due kebab a settimana”: da noi rinunciare a 260 g di carne settimanali equivarrebbe forse a un giorno vegetariano ogni sette – nulla di trascendentale, sulla carta.
Il problema è che questa montagna di carne che divoriamo ha un impatto ambientale enorme, anche in Italia. L’agricoltura nel suo complesso genera circa il 7% delle emissioni nazionali di gas serra, e gran parte proviene proprio dagli allevamenti. Secondo dati ISPRA, ben il 79% delle emissioni di gas serra del settore agricolo italiano deriva dagli allevamenti intensivi destinati alla produzione di carne, latte e derivati. Mucche e maiali emettono metano a fiumi: gli allevamenti generano da soli circa il 40% delle emissioni globali di metano. Non solo gas serra: gli allevamenti intensivi sono anche fabbriche di inquinanti. Il 75% di tutte le emissioni di ammoniaca in Italia viene dalle deiezioni degli animali d’allevamento. L’ammoniaca nell’aria significa polveri sottili, e le polveri sottili uccidono: si stima che lo smog, particolarmente intenso in Pianura Padana, causi 50.000 morti premature all’anno nel nostro Paese.
Forse la domanda giusta non è più “vuoi rinunciare alla carne per salvare l’ambiente?” ma “quanto ci tieni davvero al tuo futuro e a quello dei tuoi figli?”. Perché ormai è chiaro che il conto lo stiamo pagando noi, sulla nostra pelle. Il CCC britannico ha lanciato il sasso nello stagno: due kebab in meno alla settimana per salvare il pianeta. Una provocazione, certo, ma anche una sfida di buonsenso. Raccogliamola anche in Italia, a modo nostro, con la creatività e la passione che mettiamo in cucina. Meno carne, più futuro: potrebbe essere questa la ricetta rivoluzionaria per conciliare il piacere della tavola con un pianeta vivibile. Siamo pronti a provarci?