L’8 novembre del 63 a.C., anno cruciale per la storia di Roma, il Console Cicerone pronunciò in senato un severo discorso contro Lucio Sergio Catilina. Ne ripropongo qui un estratto lasciando a voi l’ispirazione per la sua adattabilità nell’affrontare la realtà.
“Quo usque tandem (fino a che punto) approfitterai della nostra pazienza? Per quanto tempo ancora la tua pazzia si farà beffe di noi? A che limiti si spingerà la tua temerarietà che ha rotto i freni? Non ti hanno turbato l’espressione e il volto dei presenti? Non ti accorgi che il tuo piano è stato scoperto? Non vedi che tutti sono a conoscenza della tua congiura, o ti illudi che qualcuno di noi la ignori?
Noi dovremo continuare a sopportarti, smanioso di potere e di distruggere il mondo intero?
Allo Stato non mancano né l’intelligenza né la fermezza dell’ordine.
Nulla di quanto fai, ordisci, mediti, sfugge alle mie orecchie e ai miei occhi, tanto meno alla mia mente e capirai subito che sono più risoluto io nel vegliare sulla sicurezza dello Stato che tu sulla sua rovina.
Senatori, sono qui in mezzo a noi, in questa assemblea che è la più sacra, la più autorevole del paese, individui che meditano contro di noi e mi rivolgo al loro capo.
Hai diviso l’Italia tra i tuoi; hai stabilito la destinazione di ciascuno; hai scelto chi lasciare al Governo e chi condurre con te.
Le porte sono aperte. Vattene! Porta via anche tutti i tuoi. Purifica la città! Mi sentirò più libero quando ci sarà un muro tra me e te. Non puoi più stare in mezzo a noi! Non intendo sopportarti, tollerarti.
Tutte le volte che hai sferrato un colpo contro di me, l’ho parato con le mie forze: ma ormai attacchi apertamente tutto lo Stato; vuoi portare alla totale distruzione il Governo e la vita di tutti i cittadini, dell’Italia intera.
Se tu, come ti esorto da tempo, te ne andrai, la città si libererà dei tuoi numerosi e infami complici, fogna dello Stato che aderiscono alla tua congiura.
Non oso parlare della tua condotta privata, delle tue operazioni finanziarie, che sentirai pesarti addosso alla prossima scadenza dei debiti. Vengo piuttosto a fatti che riguardano gli interessi superiori dello Stato.
Non concludi nulla, non ottieni nulla, eppure non desisti dal tentare e dal volere la rovina delle istituzioni.
Dimmi: che vita è adesso la tua? Ti parlo non mosso dall’odio, eppure dovrei, ma da una compassione di cui non sei affatto degno. Sei venuto in Senato, ma tra tanti amici e conoscenti, chi ti ha salutato? Se, a memoria d’uomo, nessuno è stato mai trattato così, ti aspetti forse parole di ingiuria quando già sei schiacciato dal durissimo giudizio del silenzio? Che dire di più? Al tuo arrivo questi seggi si sono svuotati. Non appena hai preso posto, gli altri hanno lasciato vuoto, deserto questo settore dei banchi. Insomma, con che animo pensi di sopportalo?
Se mi accorgessi di essere, anche a torto, gravemente sospettato e disprezzato dai miei concittadini, preferirei sottrarmi alla loro vista piuttosto che essere oggetto di sguardi di disapprovazione. Tu, invece, che sei consapevole dei tuoi maneggi e riconosci che l’odio di tutti è giusto e meritato da tempo, esiti a sottrarti alla loro vista, alla presenza di chi ferisci nella mente e nel cuore.
Se i tuoi genitori provassero paura di te e ti odiassero, se tu non potessi in alcun modo riconciliarti con loro, scompariresti dalla loro vista, immagino. Ora a odiarti e ad aver paura di te è la patria, madre comune di tutti noi, che già da tempo ritiene che tu non mediti altro che la sua morte.
La patria ti presenta il conto senza bisogno di parole.
Hai mentito per anni rinnegando, come uno spergiuro, il giorno dopo quello che avevi detto o fatto il giorno prima.
Sono cose del passato, è vero e benché non fossero tollerabili, tuttavia le ho sopportate, come ho potuto. Ora, però, non intendo sopportare oltre! Perciò vattene e libera lo Stato dal timore! Non ti accorgi del silenzio dei presenti? Perché attendi la conferma della parola, quando ti è chiaro il significato del loro silenzio?
Ma a che servono le mie parole? A piegarti, in qualche modo? A farti ricredere? Non mi illudo. Non è il caso di chiederti di provare rimorso per la tua smania sfrenata e assurda, per le tue azioni nonostante le difficoltà in cui versa lo Stato. Non sei infatti il tipo da astenerti dall’infamia per pudore, dal pericolo per paura, dalla follia per ragionevolezza.
Il popolo ti ha tolto il potere: puoi attaccare il Governo, ma non puoi sovvertirlo con tentativi scellerati da bandito.
Eppure ci sono anche alcuni, qui in Senato, che non percepiscono per ingenuità cosa stia per abbattersi su di noi o che fingono di non vedere quel che hanno sotto gli occhi; sono quei pochi che hanno alimentato con la condiscendenza le tue aspettative e rafforzato con l’incredulità il formarsi di una congiura!
Allora dico se ne vadano i colpevoli! Si separino dagli onesti!”
Marcus Tullius Cicero
In L. Catilinam orationes
Oratio in Catilinam Prima in Senatu Habita