di Igor G. Cantalini – C’è una piccola città in India, Panjim, capitale del paradiso tropicale di Goa, che dovrebbe essere presa a esempio da tutto il mondo. Non per le sue graziose chiese o per le sue colorate case indo-portoghesi, ma per qualcosa di molto più significativo: la sua rivoluzione nella gestione dei rifiuti. In un paese spesso travolto dall’immondizia, Panjim ha dimostrato che ripulire non è solo possibile, ma necessario.
Torniamo indietro al 2005. Panjim era l’immagine tipica di molte città indiane: strade invase da cassonetti traboccanti, un odore persistente di spazzatura e un cumulo di immondizia che cresceva senza controllo in un villaggio vicino. Durante i monsoni, quella montagna di rifiuti crollò, invadendo le case degli abitanti. La rabbia esplose e il sito venne chiuso. La città, disperata, cercava un nuovo luogo per smaltire l’immondizia, ma nessuno voleva accogliere i loro scarti. Era il caos.
Eppure, da quella crisi nacque un cambiamento straordinario. La città decise di fare ciò che sembrava impossibile: eliminare i cassonetti comunitari e introdurre la raccolta porta a porta. Ogni abitazione, ogni ufficio, ogni negozio venne coinvolto. Ma non si fermarono lì: i cittadini dovevano separare i rifiuti in 16 categorie, compresi i gusci di cocco – una necessità in uno stato dove si consumano in media 6 cocchi a persona al mese.
Oggi, Panjim segrega il 99% dei rifiuti alla fonte e tratta l’80% di essi. Secondo un rapporto del NITI Aayog e del Centre for Science and Environment (CSE), il 90% delle sue strade è pulito quotidianamente. È un risultato incredibile per una città che, solo vent’anni fa, era letteralmente sommersa dai rifiuti.
E mentre Panjim brilla, il resto dell’India affonda. Ogni anno, le aree urbane producono circa 50 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani, destinati a salire a 125 milioni di tonnellate entro il 2031. La percentuale di plastica non biodegradabile sta aumentando rapidamente, alimentata dall’e-commerce e dalle consegne di cibo, che hanno creato una montagna di imballaggi usa e getta.
Ma non è solo un problema tecnico, è una crisi politica. Mentre Narendra Modi ha promosso la “Swachh Bharat Mission” (Missione India Pulita), concentrandosi inizialmente sulla costruzione di bagni per eliminare la defecazione all’aperto, i rifiuti solidi sono ancora un problema secondario. E questo nonostante il governo abbia stanziato 365 miliardi di rupie (4,3 miliardi di dollari) per rendere le città indiane “libere dai rifiuti”.
Le grandi città come Mumbai e Bangalore sono le peggiori. A Mumbai, introdotta la raccolta differenziata nel 2016, ma oggi solo il 25% dei rifiuti organici viene trattato correttamente. Perché? Corruzione, inefficienza, ma soprattutto apatia politica. Come ha detto Ankur Bisen, autore di Wasted, “Non ho mai visto un politico vincere o perdere un’elezione sulla gestione dei rifiuti”.
Ironia della sorte, sono le città più piccole, come Panjim, a guidare il cambiamento. Con meno interferenze politiche e un maggiore coinvolgimento delle comunità, queste realtà stanno dimostrando che un altro modello è possibile. Sunita Narain, direttrice del CSE, osserva: “Le città più piccole hanno la capacità di governare meglio e più rapidamente”.
E il cambiamento non riguarda solo la tecnologia, ma anche l’educazione. A Panjim, gli abitanti sono stati formati per anni sui benefici della raccolta differenziata. La città ha introdotto incentivi, come sconti fiscali per chi rispetta le regole, e sanzioni per chi non lo fa. Un esempio? Ristoranti e hotel devono separare i rifiuti organici e consegnarli per il compostaggio, pena multe salate.
La storia di Panjim ci parla anche in Italia. Viviamo in un paese che ogni anno produce circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, di cui il 20% non viene riciclato correttamente. Le nostre discariche sono al limite, eppure la gestione dei rifiuti non è mai al centro del dibattito politico. Il caso di Roma è emblematico: una capitale che fatica persino a raccogliere la spazzatura.
Panjim dimostra che non servono miracoli, ma volontà politica, educazione e coinvolgimento della comunità. Se una piccola città indiana è riuscita a trasformarsi, perché non possono farlo le nostre?
Ripulire l’India – o l’Italia – non è un’impresa impossibile, ma richiede un cambio di mentalità. Iniziamo con piccoli passi: introduciamo la raccolta differenziata obbligatoria per tutti, sosteniamo le aziende che riciclano e penalizziamo chi inquina. Usiamo la tecnologia per monitorare il processo, ma non dimentichiamo che il cambiamento parte dalle persone.
Panjim è la prova che, anche davanti a montagne di rifiuti, c’è una strada. Basta volerla percorrere.
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L’AUTORE
Igor G. Cantalini – Esperto di comunicazione e marketing digitale di 45 anni, laureato in Scienze della Comunicazione,ha lavorato con brand di fama nazionale e internazionale, specializzandosi successivamente in Intelligenza Artificiale. Scrittore e divulgatore, pubblica articoli su vari temi.