“Dovete dunque sapere come sono due modi di combattere: l’uno con le leggi, l’altro, con la forza. Il primo è proprio dell’uomo, il secondo delle bestie”. (Nicolò Machiavelli, “Il Principe”, cap. XVIII).
di Alberto Nigi – Niccolaus Maclavellus (Firenze, 03 maggio 1469 – Firenze, 21 giugno 1527) è ovviamente meglio noto come Nicolò Machiavelli, autore del “De Principatibus”, titolo liberamente tradotto con “Il Principe”, capolavoro col quale egli ci insegna come si governa.
Scrittore politico e diplomatico fiorentino, muore all’improvviso nel 1527, quando ormai si era quasi del tutto ritirato all’Albergaccio, in località Sant’Andrea in Percussina, nel comune di San Casciano in Val di Pesa. Su questo aspetto cerca di farsi largo fra gli storici più arditi l’insinuante ipotesi dell’avvelenamento. Alcune leggende metropolitane dell’epoca incolpavano la moglie Marietta, esasperata dall’ennesimo tradimento del marito donnaiolo che, tra l’altro, aveva da poco redatto un testamento a favore di lei. Ovviamente questa versione divergente suona ben poco credibile alle orecchie degli studiosi tradizionalisti. Forse fu avvelenato dai repubblicani oppositori del papa Clemente VII e dei Medici cacciati da Firenze. Tuttavia la questione è controversa perché a quel tempo era complicato distinguere fra malattie e sintomi di avvelenamento.
Quella di Machiavelli è una storia di paradossali intrighi, ma l’aspetto più oscuro – un vero thriller – sta nel fatto che, pur uomo fidatissimo e fedelissimo, era stato accusato di far parte di un gruppo di congiurati che volevano uccidere Giovanni de’ Medici. Tuttavia Machiavelli, per quanto imprigionato e sottoposto a pesanti torture, aveva sempre negato, proclamando la sua totale estraneità. Tant’è che non gli furono comminate condanne gravi, salvo gli arresti domiciliari nella villa dell’Albergaccio.
Sì, Machiavelli è l’uomo del paradosso: “inventore” della scienza politica moderna, non ha mai assunto cariche politiche decisionali, ma unicamente amministrative come segretario di Stato ed ha dimostrato le sue eccellenze come diplomatico. Inoltre, malgrado la sua condotta politica moralmente ineccepibile, è stato accusato ed imprigionato dai contemporanei, mentre dai posteri è stato definito l’uomo dell’immoralità o comunque dell’amoralità per il fatto di voler filosoficamente sottomettere la morale alla propria visione del mondo. Per fugare ogni dubbio sull’inadeguatezza di certi severi giudizi, dobbiamo dire che la sua visione del mondo era di fatto lucida, corretta e onesta, ispirata ad una concezione della politica intesa come scienza autonoma, libera, cioè, dal giogo di ogni filosofia morale-religiosa spesso nido occulto del tarlo della peggiore corruzione. Ecco che l’intento della moralizzazione della politica – e ciò è inequivocabile – nasce proprio da chi vuole sganciarla da morale e religione.
Machiavelli, uomo spregiudicato ma integerrimo e incorruttibile, lega il suo nome ad una frase abusata e da lui mai scritta: “Il fine giustifica i mezzi”. Questo luogo comune non gli ha giovato: si tratta, invece, di una sorta di “machiavellismo” derivante da una errata e forse accomodante interpretazione della sua filosofia politica. Infatti, il “machiavellismo” rappresenta un atteggiamento senza scrupoli, dove ciò che conta è soltanto il fine utilitaristico personale e cioè il sistema adottato dalle più aspre dittature onde imporre il loro sconsiderato regime. Al contrario, dalle opere di Machiavelli emerge sì l’idea generale del fine che giustifica i mezzi, ma quello che l’Autore si propone è un fine autenticamente morale, non di tipo individualistico, bensì adottabile da chi governa per la salvaguardia dello Stato e per il bene del popolo. Inoltre la visione di Machiavelli è ammirevolmente attuale per il suo spirito profetico risorgimentale, poiché il suo pensiero è già in anticipo e cioè rivolto all’idea della rigenerazione d’Italia, al progetto della sua unità, in modo che essa, libera dallo straniero, possa trovare una sua definitiva indipendenza. Secondo la sua filosofia politica, solo in un’Italia finalmente unita e libera, si possono realizzare ordinamenti sociali non più basati sulla prepotenza, sulla corruzione e sulla immoralità, ma fondati sul principio comune della ricerca della felicità di tutto il popolo.
Oggi, di grazia, sembra che la critica storico-letteraria intenda incoraggiare una sempre maggiore rivalutazione di questa particolare visione morale del mondo che pur si scaglia contro la morale comune. Nelle sue opere, il Nostro rappresenta appieno lo spirito innovatore del Rinascimento.
Ora, dal momento che il pensiero di Machiavelli è di straordinaria attualità, che cosa potrebbe ancora raccomandare ai politici e ai governanti di oggi? Egli sostiene che il “principe”, ovvero il sovrano – oggi potremmo dire “chi governa” – non deve agire per interesse personale, ma anzitutto per il bene della collettività. Chi governa deve rinunciare a se stesso, votandosi e sacrificandosi interamente alle esigenze dello Stato di cui egli è responsabile. Questo costui deve fare, anche a costo di dover calpestare la propria dignità umana diventando “bestia”, nel senso di “metà volpe e metà leone”, facendo, cioè, appello a tutta la sua forza interiore, alla sua determinazione e alla sua acuta e sia pure astuta intelligenza. Per Machiavelli “rettitudine” significa ottimale conduzione degli affari di Stato, virtù che si esprime anche nel difendere con forza e astuzia il proprio paese dagli attacchi di qualunque sorta di nemico, di pericolo o di minaccia interna o esterna.
Ancora, ai governanti di oggi, Machiavelli potrebbe suggerire di agire con mentalità scientifica, affrontando i problemi socio-politici con gli stessi metodi con cui si studiano i fenomeni naturali e tenere in massima considerazione la storia come prima maestra, valutando i corsi e i ricorsi storici.
Poiché il naturalismo umanistico promuove le ricerche scientifiche moderne, deve anche essere operata una distinzione tra sfera etica e sfera politica per la definizione di una vera scienza storica e politica. Secondo la scienza politica pura che Machiavelli propone, le vicende del passato e dell’attualità vanno sottoposte all’attenta e spregiudicata analisi critica libera dalle preoccupazioni indotte dalla morale comune dominante del momento e da ogni credo religioso.
Il governante attento, acuto e saggio segue la ragione e non il sentimento spesso fuorviante e nemico della giustizia, dunque non si lascia influenzare da moralismi e scrupoli religiosi che inducono a scelte emotive e di parte. Inoltre egli non costruisce la sua politica seguendo il classico metodo deduttivo e speculativo tipico dei filosofi, ma applica il metodo induttivo, partendo dal concreto esame obiettivo delle situazioni reali, così come esse si presentano.
L’uomo politico non deve lasciarsi guidare da astratti princìpi ideali, ma deve basarsi sullo studio concreto della natura dell’uomo. Per Machiavelli non esistono divinità che decidano le sorti del mondo: i fattori che determinano la storia sono la virtù e la fortuna, pertanto, nel mentre sacrifica se stesso per il bene comune, l’uomo votato alla politica deve allontanare da sé ogni idea di religiosa speranza e di astrologica fortuna. Deve, cioè domare la sorte che pur incide per una buona percentuale sui destini i degli uomini. Ovvero, deve essere uomo prometeico, capace di prevenire e progettare e non uomo epimeteico che va alla ventura si abbandona totalmente al caso sperando di essere fortunato.
L’uomo politico deve essere prudente, mantenere una visone realistica della storia ed essere pienamente consapevole che spesso gli uomini, per loro natura, non operano il bene se non per necessità. Secondo Machiavelli – qui un tantino pessimista – le vicende storiche sono, purtroppo, un ritratto della malvagità umana e della cattiva sorte che tocca ai deboli e ai meno intelligenti. Ecco perché nel concorso fra virtù previdente e sorte imprevedibile, nell’uomo politico forte e perspicace deve essere vincente la virtù. Gli argini di un fiume sono la metafora della virtù e il fiume la metafora della sorte: privo di argini il fiume è libero di straripare provocando danni a volte irrimediabili. Giustamente, nel capitolo terzo dei “Discorsi”, Machiavelli afferma che, a differenza degli uomini comuni, spesso deboli, gli uomini “grandi” rimangono sempre gli stessi comunque giri la fortuna. Per quanto la sorte a volte li opprima e a volte li esalti, costoro non mutano atteggiamento, bensì conservano sempre l’animo fermo e mantengono e la sicurezza in se stessi. L’uomo politico e specialmente chi governa deve essere “grande”.
L’AUTORE
Alberto Nigi, classe 1947, docente di Lingua e Letteratura Italiana, è autore di numerose pubblicazioni nel campo della saggistica e della narrativa. Dal 2011 ha pubblicato romanzi thriller e racconti del mistero sotto lo pseudonimo anglosassone di Ralph Colemann.
http://ralphcolemann.altervista.org