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Cosa impareremo del cervello nel prossimo futuro

beppegrillo.it - Luglio 4, 2018

di Sam Rodriques – Sono un fisico ma circa tre anni fa, ho lasciato la fisica per cercare di capire come funziona il cervello. Ma non è assolutamente facile, è la sfida più ardua.

Capiamo che c’è qualcosa del cervello che ci sfugge e che dobbiamo capire. Prendiamo ad esempio la depressione. Prendete un vaso, riempitelo a metà con l’acqua e metteteci dentro tre topolini. I topolini cominceranno a nuotare e a cercare di uscire, finché non ci saranno riusciti. Poi ad un certo punto, un topolino si stanca e decide di smettere di nuotare.

Bene, questa è la depressione. Avviene qualcosa nel cervello di terrificante. Non riusciamo a capire perché alcuni ne escano tranquillamente e altri sprofondino in questo stato.

Ma questa è una sorta di problema generale nelle neuroscienze. Lo stesso, per esempio, avviene con l’emozione. Molte persone vogliono capire l’emozione. Ma non si può studiare l’emozione nei topi o nelle scimmie, perché non si può chiedere loro come si sentono o cosa stanno vivendo.

Quindi cosa succede? Succede che le persone che vogliono capire l’emozione, in genere finiscono per studiare ciò che viene chiamato comportamento motivato, cioè studiano il codice per “ciò che il topolino fa, quando vuole davvero formaggio”.

Potrei fare molti altri esempi, ma il punto è che l’Istituto Nazionale della Sanità Americano spende circa 5,5 miliardi di dollari all’anno per la ricerca sulle neuroscienze. Eppure, negli ultimi 40 anni non ci sono stati miglioramenti significativi nei risultati per i pazienti con malattie cerebrali.

Perché? Penso che sia dovuto fondamentalmente al fatto che i topi possono essere un modello per il cancro o il diabete, ma il cervello del topo non è abbastanza sofisticato per riprodurre la psicologia umana o altre malattie del cervello umano.

Quindi, se questi modelli non sono adatti, perché li stiamo ancora usando?

Bene, si riduce sostanzialmente a questo: il cervello è costituito da neuroni che sono queste piccole cellule che inviano segnali elettrici l’uno all’altro. Se si vuole capire come funziona il cervello, si deve essere in grado di misurare l’attività elettrica di questi neuroni. Ma per fare questo, è necessario avvicinarsi molto ai neuroni, e noi lo facciamo con una sorta di dispositivo di registrazione elettrica o un microscopio.

Questo si può fare nei topi e nelle scimmie, ma ovviamente non possiamo ancora farlo negli esseri umani. Quindi quello che possiamo fare con pazienti umani sono la risonanza magnetica funzionale, che permette di fare delle belle immagini che mostrano quali parti del cervello si accendono quando si è impegnati in diverse attività.

Ma in realtà non si sta misurando l’attività neurale. Quello che si sta facendo è essenzialmente misurare il flusso sanguigno nel cervello. Dove c’è più sangue e dove c’è più ossigeno.

L’altra cosa che si può fare è l’elettroencefalografia. Si possono mettere questi elettrodi sulla vostra testa per misurare le onde cerebrali. Ma anche qui quello che si sta effettivamente misurando è l’attività elettrica. Ma non si sta misurando l’attività dei neuroni.

Il punto è quindi che le tecnologie di cui disponiamo misurano la cosa sbagliata per la maggior parte delle malattie che vogliamo capire.

Ma a breve sarà possibile registrare l’attività neurale del cervello e tutto cambierà. Comprenderemo le cause alla radice del morbo di Alzheimer. In questo modo possiamo fornire terapie genetiche mirate o farmaci per arrestare il processo degenerativo prima che inizi.

Ma come faremo? Il primo passo sarà quello di poter misurare l’attività elettrica dei neuroni. Oggi l’unico modo che conosciamo è praticare dei fori nel cranio e osservare. Ma poi capiremo come fare fori non più spessi di un capello, con il laser. Tra poco avremo sonde flessibili in grado di girare intorno ai vasi sanguigni, piuttosto che attraverso di loro. E così, azzerare i rischi di ictus. Capiremo che i neuroni che stavamo monitorando da tempo, non erano quelli responsabili delle nostre idee ed emozioni, ma della musica che ascoltavamo.

Questa tecnologia sarà quella che ci permetterà di fare lo stesso salto nelle neuroscienze che si è fatto nella genetica, quando abbiamo iniziato a studiare ogni singola cellula.

A breve avremo la capacità di registrare l’attività neurale nel cervello dei pazienti con diverse malattie mentali. E piuttosto che definire le malattie sulla base dei loro sintomi, abbiamo iniziato a definirle sulla base della patologia reale che abbiamo osservato a livello neurale.

Così, per esempio, nel caso dell’ADHD, capiremo che che ci sono decine di malattie diverse, tutte chiamate ADHD, ma che in realtà non avevano nulla a che fare tra loro, se non che avevano sintomi simili e che avevano bisogno di essere trattati in modi totalmente diversi.

Sarà quindi incredibile, a posteriori, penare di aver trattato tutte queste malattie con lo stesso farmaco.

Infine, quello che posso dirvi è che non faremo alcun progresso verso la comprensione del cervello umano o le malattie umane, fino a quando non capiremo come raggiungere l’attività elettrica dei neuroni negli esseri umani sani. Ad oggi quasi nessuno sta lavorando per capire come farlo.

Questo è il futuro delle neuroscienze. É finito il tempo di osservare topi, dedichiamoci agli investimenti necessari per comprendere il cervello umano e le malattie umane.

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