Le leggi popolari non vengono discusse, i risultati dei referendum sono ignorati (come per il nucleare e il finanziamento pubblico ai partiti), i parlamentari sono “nominati” dai segretari di partito. La relazione tra cittadino e Stato è regredita all’età feudale, non alle leggi, ma alle suppliche, al capriccio del Signore, di un Boss(ol)i o di un Azzurro Caltagirone. Loro sono loro e noi non siamo un cazzo in questa democrazia di cartapesta. Potrebbe succedere anche per il referendum sull’acqua dopo aver sentito le parole di Catricalà sulle liberalizzazioni “Pensiamo di fare modifiche che non vadano contro il risultato referendario ma non vogliamo che sia un escamotage“. L’ultima frontiera dell’antidemocrazia è negare il diritto al referendum per motivi economici come è avvenuto in Piemonte per quello sulla caccia. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure. Ci vediamo in Parlamento.
“La caccia sta diventando il simbolo del modo distorto in cui l’Italia e la politica stanno trattando la democrazia. Nel 1987 vennero raccolte oltre 60 mila firme per un referendum sulla caccia in Piemonte per limitare e regolamentare l’attività venatoria. I quesiti chiedevano ai cittadini se erano favorevoli a regolamentare l’attività venatoria:
a) protezione per 25 specie selvatiche oggi cacciabili (17 specie di uccelli e 8 specie di mammiferi)
b) divieto di caccia sul terreno innevato
c) abolizione deroghe limiti di carniere per le aziende faunistiche private
d) divieto di caccia la domenica.
Nel 1988 invece di indire il referendum, Giunta e maggioranza di centro-sinistra eliminano la legge su cui il referendum andava ad abrogare i punti, aprendo un contenzioso di 24 anni e 9 gradi di giudizio. Alla fine, con sentenza 1896 -29-12-2010 della Corte di appello di Torino è sancito il diritto al referendum. Ma la Giunta leghista pare avere un forte legame con la lobby dei cacciatori e fa di tutto per liberalizzare la caccia, in direzione opposta rispetto al referendum. Così, mentre siamo in Commissione ad analizzare 6 testi di legge presentati dai consiglieri, con un colpo di mano legislativamente e politicamente “eversivo“, nei confronti del Regolamento e delle prerogative del Consiglio, l’Assessore Sacchetto, presenta un emendamento che ripete quanto successo nel 1988: abroga integralmente la l.r. 70 del 1996, legge quadro in materia di caccia, facendo decadere tutte le proposte di legge dei consiglieri, di maggioranza e minoranza, nonchè lo stesso, attesissimo, referendum sulla caccia che da sentenza della Corte si dovrebbe svolgere in primavera.
Il presidente della Commissione Vignale (PDL) e l’Assessore Sacchetto (Lega), su input di Cota, hanno affermato che il costo di un referendum (circa 20 milioni di euro) è troppo elevato e la Regione oggi, in esercizio di bilancio provvisorio, non avrebbe le risorse. Abbiamo ribattuto che allora nel 2015 potremmo non fare le elezioni regionali visto che hanno un costo. Può l’esercizio della democrazia essere limitato dalla presunta carenza di soldi (che però per le campagne pubblicitarie per il TAV ci sono)? Secondo noi no, per il centro-sinistra e centro-destra sì.” Davide Bono e Fabrizio Biolè – consiglieri regionali MoVimento 5 Stelle Piemonte