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L’inganno (sempre presente) dell’obsolescenza programmata

beppegrillo.it - Giugno 5, 2018

Keynes nel 1938, guardando i passi enormi della tecnologia del suo tempo, immaginava che nel 2038, cento anni dopo, lo sviluppo tecnologico potesse affrancare l’uomo dal lavoro.
Al massimo avremmo lavorato non più di due o tre ore al giorno.

Non è andata proprio così. Oggi siamo vicini al 2038 ma all’orizzonte non si intravede nulla del genere, se non per via della disoccupazione.

Nel 1901 la Shelby Electric Company donò ai vigili del fuoco di Livermore, in Ohio (USA), una speciale lampadina, famosa tutt’oggi.

Cosa ha di così particolare? É ancora oggi accesa nella stessa caserma dei pompieri. Sono 117 anni che non viene mai spenta, per un totale di più di un milione di ore. Incredibile, considerando che le moderne lampadine durano circa 20.000 ore, cioè una vita media tra i 2 e i 5 anni.

La lampadina di Livermore è l’esempio più lampante di obsolescenza programmata. Nel 1924 i produttori di lampadine si incontrarono a Ginevra accordarsi su quanto abbassare la vita media dei loro prodotti, poiché duravano troppo e le loro fabbriche cominciavano ad avere problemi.

Ma c’era anche un altro problema. Non erano a rischio solo i profitti delle loro imprese, ma anche i posti di lavoro degli operai.

Nel 1940 fa la sua comparsa il nylon e di nuovo la stessa storia si ripete. Potete trovare in rete alcuni filmati con cui all’epoca venivano sponsorizzate le calze per donne in nylon. Ci sono camion che trainano altri camion usando come corda proprio le calze da donna.

Ma con il passare del tempo ci si rese conto che il prodotto era troppo resistente e non si smagliava mai. Questo minava a lungo andare, l’esistenza delle aziende stesse, cosi fu detto agli ingegneri di peggiorare il prodotto in modo che si rovinasse più facilmente.

Frigoriferi, automobili, e qualsiasi prodotto esistente. Tutti DEVONO rompersi con una certa frequenze o il nostro sistema economico si dissolve. In pratica avremo a disposizione un progresso tecnologico che però non possiamo usare o tutto il nostro mondo naufraga.

Ma questa non è di certo la parte peggiore. Mentre i consumatori devono fare acquisti per mantenere in vita questa giostra che chiamiamo economia e mantenere cosi fabbriche e posti di lavoro, i suoi effetti sono catastrofici su una moltitudine di settori.

C’è un aumento ingiustificato delle risorse e delle materie prime, portando la nostra impronta ecologica, cioè il nostro impatto sul pianeta, a livelli insostenibili, spreco delle nostre vite in attività che sono “inutili”, un inquinamento ambientale gigantesco e il conseguente aumento delle malattie, guerre, si guerre, per accaparrarsi materie prime e territori che in realtà non servirebbero.

Ora sta però succedendo qualcosa che non avevano previsto. La tecnologia sta comunque erodendo i posti di lavoro e rendendo il fattore umano superato. Le fabbriche sono sempre più automatizzate e si riesce a mantenere la produzione mondiale senza l’apporto umano.

Cosa fare quindi con i consumi? La capacità di aumentare la vita dei prodotti e consentire la riduzione dei posti di lavoro, ci doveva suggerire che forse era il tempo di slegare il reddito dal lavoro. Che magari il reddito doveva crescere al crescere della durata dei prodotti.

Ma ancora oggi c’è un muro culturale nell’accettare un reddito che non provenga dal lavoro, e all’epoca non era diverso. Ci si immaginava il futuro in maniera diversa. Bene, questo è il mondo oggi. Stiamo prosciugando il pianeta e consentendo che milioni di persone muoiano di fame per mantenere in vita un modello che non sembra dare più nessun frutto.

Ecco quale dato importante. Nel 2016 gli accessori tecnologici che hanno raggiunto le discariche perchè guasti sono pari a 53 milioni di tonnellate, come 4500 torri Eiffel. Nel 2017 siamo andati ancora peggio, aumentando del 23% questo numero.

Il valore dei materiali pregiati, come i metalli rari, contenuti solo dagli smartphone buttati perché vecchi, ammonta a 55 miliardi di dollari. Tutti nelle discariche. Nessun riciclo.

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