di Beppe Grillo – Chi si ricorda di Julian Assange? Dall’11 aprile 2019 l’uomo simbolo di Wikileaks è in una cella del carcere di massima sicurezza di Belmarsh dopo aver passato sette anni in un angusto spazio in una ambasciata londinese dove aveva chiesto e ottenuto un asilo politico poi rinnegato. Pochi ne parlano, tra questi una coraggiosa puntata in prima serata di Presadiretta del 30 agosto scorso e pochi giornalisti internazionali tra cui l’italiana Stefania Maurizi.
Nella scarsa attenzione internazionale, sono ormai dieci anni che Assange viene braccato ed è costretto a vivere recluso, prima in carcere poi nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e ancora oggi in carcere, senza condanne ma inseguito dalla richiesta di estradizione negli Stati Uniti per aver reso pubblici migliaia di documenti segreti sulle azioni criminose compiute dalle coalizioni a trazione Usa in Iraq e Afghanistan.
Il 27 ottobre prossimo a Londra si deciderà della sua estradizione o meno negli Stati Uniti, dove lo attendono condanne fino a 175 anni di carcere. Nel frattempo vive da recluso e in una costante “forma di tortura psicologica” come l’ha chiaramente definita Nils Melzer, rappresentante speciale Onu sulla tortura.
Il 27 si deciderà insieme della vita di un uomo profondamente segnato dalla persecuzione e del diritto fondamentale all’informazione sul potere. Perché la negazione di questi diritti è in fondo la sola ragione per cui un uomo innocente e coraggioso vive recluso da anni, nell’indifferenza dei governi delle democrazie occidentali. La cronistoria della vicenda è articolata e si trova facilmente in Rete ma l’incontestabile sintesi è che la più grande potenza del mondo, gli Stati Uniti, ha scelto di usare tutto il suo potere militare, finanziario e di propaganda per denigrare, mistificare e isolare un uomo e, suo tramite, cercare di distruggere Wikileaks, un progetto di giornalismo investigativo basato sui contributi (verificati) di informatori chiamati “whistleblower”. (termine che indica una persona che si trova ad essere testimone di un comportamento irregolare, illegale, potenzialmente dannoso per la collettività e decide di segnalarlo ricorrendo anche ai media).
Edward Snowden e Chelsea Manning sono stati i più noti whistleblower del caso Wikileaks e attraverso la loro coraggiosa denuncia si è scoperta l’esistenza di prigioni segrete, rapimenti e deportazioni, torture, pressioni economiche e politiche per spingere intere nazioni verso le guerre che Stati Uniti e Inghilterra avevano deciso di creare attivando possenti campagne di disinformazione come quella sulle armi chimiche e “pistole fumanti” di Saddam Hussein.
La giornalista investigativa Stefania Maurizi ha seguito Wikileaks per un decennio, collaborando con il team di giornalisti investigativi delle più importanti testate mondiali. A loro, a diverse riprese e con diverse modalità, venivano affidate da Assange e dai suoi collaboratori con estreme misure di cautela le notizie, i cablo riservati e i file perché ci fosse una doppia verifica. La segretezza delle comunicazioni sembrava rasentare la paranoia. Cellulari con batteria staccata, mail criptate, chiavi di decrittazione consegnate giorni dopo il rientro dei giornalisti, incontri in luoghi non coperti da segnale di Rete. Non era paranoia, ad ascoltare e seguire le mosse (peraltro senza troppo successo) erano le maggiori agenzie di informazione e controspionaggio mondiali. Wikileaks aveva avuto accesso a informazioni top secret e voleva diffonderle al mondo e questo faceva paura. L’imperativo dell’organizzazione era evitare rischi collaterali per le persone comuni e i militari citati nei files e, allo stesso tempo, garantire il diritto all’informazione rendendo pubbliche notizie che erano di enorme rilevanza.
Maurizi, prima al gruppo Repubblica – Espresso e poi a Il Fatto Quotidiano, ha scritto ora “Il potere segreto” (edizione Chiarelettere, 388 pagine) un libro di grandissimo rigore documentale e insieme di passione civile e giornalistica. Francesco Carcano l’ha intervistata per il Blog, sperando di dare un contributo a una causa che riguarda in prima battuta l’indipendenza e libertà del giornalismo d’inchiesta e come conseguenza la libertà o meno di un uomo coraggioso.
“Quella che verrà presa a Londra sarà, in ogni caso, una decisione che farà scuola per il futuro sul tema dei diritti civili” ci spiega Stefania Maurizi. ll 27 e 28 ci sarà l’udienza di appello e a quel punto, chiunque perda, ci si può immaginare che ci sarà un nuovo ricorso alla Corte Suprema e un probabile ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La Corte Europea è ancora competente perchè l’Inghilterra è rimasta nel Consiglio d’Europa ma il rischio è che Assange sia estradato verso gli Stati Uniti mentre la Corte Europea valuta con i suoi tempi il ricorso e l’adozione di eventuali misure protettive che sarebbero nulle se lui fosse già in carcere oltreoceano.
Assange è una figura dipinta come misteriosa, inafferrabile e quindi in sostanza opaca. Nel libro racconta gli incontri che avete avuto quando lavoravate sulle notizie di Wikileaks con le grandi testate internazionali. Che idea si è fatta dell’uomo Assange?
A livello umano è una persona brillante, anche divertente, non ha quegli aspetti isterici e minacciosi che vengono descritti. E’ completamente diverso e l’ho potuto vedere nell’arco di dieci anni quindi penso di essermi fatto una idea. Assange è sicuramente una persona complessa ma molto diversa da come viene dipinta dai media. Ha una intelligenza non comune e ha immaginato qualcosa che non esisteva e che ha cambiato per sempre il giornalismo, un metodo di ricerca di fatti, verifica, collaborazione tra giornalisti e diffusione di notizie rilevantissime per tutta la comunità internazionale e che vengono ovviamente tenute segrete o occultate. Dopo Assange sta toccando ai giornalisti e tecnici di Wikileaks subire un clima di continua intimidazione legale e psicologica creato a arte. Noi diamo per scontato che nelle nostre democrazie ci sia libertà di raccontare ma queste sono le conseguenze quando racconti quello che si vorrebbe restasse segreto: finisci in carcere e vieni prima demolito come persona.
Perché Assange è in carcere?
Non ci sono condanne, non ci sono inchieste europee aperte. Nonostante non sia stato condannato per nessun reato, Assange è in carcere a scopo preventivo in attesa di una decisione sull’estradizione negli Stati Uniti. Inizialmente è stata la Svezia a chiedere il suo arresto grazie ad una ipotesi di reato che però non fa trovato, malgrado tre inchieste aperte e chiuse sullo stesso tema, nessuno sbocco. Queste inchieste, aperte nel momento in cui Wikileaks diffondeva notizie riservatissime sulle guerra, sono comunque servite per creare nell’opinione pubblica una immagine opaca di Wikileaks e del suo creatore e hanno permesso al potere politico di aiutare gli Stati Uniti nel braccare Assange. Nella corrispondenza tra autorità svedesi e quelle inglesi le autorità svedesi davano istruzioni a quelle inglesi su come evitare che scattasse la protezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Non si parlava quindi davvero di reati o di condanne da eseguire ma, quasi a prescindere, di come ostacolare il rispetto dei suoi diritti umani e civili. Parliamo di un giornalista che stava correndo grandi rischi, di un soggetto che andava protetto e tutelato.
Perchè Assange non è diventato un simbolo di libertà e difesa dei diritti? Anche Amnesty International che oggi chiede a gran voce la chiusura delle inchieste su di lui ha impiegato anni a annoverare il suo caso tra quelli di violazione dei diritti umani…
La lunga campagna di demonizzazione sul personaggio, concentrata sulla persona per non parlare delle rivelazioni che pubblicava Wikileaks, ha creato per dieci anni un dibattito di demonizzazione del personaggio. Non dimentichiamoci che dopo dieci anni parliamo ancora di presunte vittime imprigionate, uccise o ferite a causa della pubblicazione delle notizie ma non ci sono dati su questo, non c’è nessuna evidenza che il lavoro di Wikileaks abbia danneggiato persone civili. Si è usato questo argomento per propaganda, per manipolare i dati e i fatti … Andrebbe invece riconosciuto il grande valore del lavoro fatto da Wikileaks. Sono loro ad averci detto e dimostrato il numero di vittime civili e militari delle guerre in Iraq e Afghanistan e sono loro ad aver fornito le prove di come operassero illegalmente gli agenti Cia anche in Europa, con il rapimento di un uomo anche nel cuore di Milano. Sono reati, perchè degli Stati possono compierli al di là di ogni legge? Questa gente ha goduto di impunità assoluta, malgrado le inchieste di magistrati eccezionali come Pomarici e Spataro alla Procura di Milano. Gli Stati Uniti non hanno semplicemente fatto alcune pressioni diplomatiche o esercitato diritti di difesa e i documenti passati da Chelsea Manning e Edward Snowden hanno mostrato chiaramente per la prima volta la quantità di azioni illegali che venivano messe in atto, gli omicidi, i rapimenti e le torture. Ma la reazione internazionale è in fondo stata tiepida e l’attenzione è stata deviata su rendere Wikileaks un oggetto di discussione e non ciò che stavamo pubblicando dopo settimane e settimane di lavoro in team e verifiche.
Cosa è oggi Wikileaks e cosa lascia come frutto questa lunga persecuzione di Assange?
Wikileaks oggi resta una organizzazione di tecnici informatici e giornalisti che utilizza una piattaforma per la condivisione e si è presa dei rischi legali e di sicurezza personale molto seri. Resta questo modello, che ha ispirato numerose realtà di giornalismo investigativo in tutto il mondo in questi anni e resta la loro capacità di pubblicare. Un mese fa Wikileaks ha pubblicata una esclusiva su un gruppo cattolico ultraconservatore e le sue ramificazioni e numerose testate vi hanno attinto. Le attività qui Wikileaks quindi proseguono malgrado le intimidazioni ma la solitudine e persecuzione di Assange resta come una macchia sulle nostre democrazie. Se Assange viene estradato o perde la libertà significa che la nostra libertà è limitata e apparente. Chelsea Manning è stata incarcerata e ha avuto tre tentativi di suicidio. Edward Snowden è dovuto fuggire, solo e braccato. Il trattamento disumano riservato ad Assange riguarda tutti noi e va oltre il caso Wikileaks perchè riguarda il modello di società in cui dobbiamo vivere. Se non possiamo rivelare i crimini di stato senza finire in prigione allora questa non è democrazia.
Intervista a cura di Francesco Carcano
Beppe Grillo intervista Julian Assange dal palco di Italia 5 Stelle a Palermo – 2016