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L’Italia, 150 anni da compiere e non li dimostra. Sembra ancora una bambina. Ha un’aria quasi pre unitaria, anteriore al 1861, anno della nascita dello Stato italiano intestato ai Savoia. I risultati delle ultime elezioni regionali vengono da lontano, da prima del Risorgimento.
L’Italia è una collezione di Stati assortiti, suddivisi in fasce, come i meridiani. Una fascia è al Nord, verde, con un partito secessionista, mascherato da federalista e meticiatto con quelle logiche centraliste che dice di voler combattere. Vive dell’odio per Roma, ma si nutre di Roma. La Lega è solo un pannicello caldo.Il Piemonte firmerebbe subito un’annessione alla Francia e così il Lombardo Veneto all’Austria. Dopo il Nord, appena varcato il Po, ci sono vecchi Stati gloriosi come il Granducato di Toscana, oggi chiamato Regione Toscana. Sono riserve indiane di un partito in dissoluzione, in attesa di riacquistare la loro vecchia identità. Al centro, bianco giallo, dopo un secolo e mezzo, non è cambiato nulla. Lo Stato della Chiesa ha eletto la sua candidata Renata Polverini. Il Vaticano amministra Roma, le sue cliniche, le sue scuole, dispone di patrimoni immobiliari immensi. Il Papa Re Ratzinger è più potente del Papa Pio IX buonanima prima che i bersaglieri entrassero in Roma dalla breccia di Porta Pia. Oltre a esercitare il potere temporale sullo Stato della Chiesa lo esercita anche sullo Stato Italiano. Il Sud, nero con qualche striatura di rosso, è auto amministrato da formazioni con una forte base territoriale, federate tra loro per lo sviluppo dell’economia sommersa, dal pizzo, alla droga, agli appalti truccati. Camorra in Campania, ‘Ndrangheta in Calabria, Sacra Corona Unita in Puglia e dintorni e Cosa Nostra in Sicilia. Un’eredità di Garibaldi e della dissoluzione del Regno delle Due Sicilie. Rimangono la Sardegna, feudo della Signoria di Arcore, e le regioni di confine dove si parla tedesco, patois, friulano.
“Noi siamo da secoli – Calpesti, derisi – Perché non siam popolo – Perché siam divisi – Raccolgaci un’unica – Bandiera, una speme – Di fonderci insieme“. Goffredo Mameli scrisse queste parole, per il suo inno, nel 1847. “Non siam popolo” è ancora attuale e l’auspicio di “fonderci insieme” spiega come, già allora, si sapeva che insieme non eravamo mai stati. “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani” disse Massimo d’Azeglio. “Fare gli italiani?”: un popolo non si può costruire, non è fatto di calce e cemento, ma di cultura e memoria. Più popoli, invece, si possono unire, ma per farlo va prima riscritta la nostra Storia.