di Fabio Nottebella – Manca ormai veramente poco per il lancio dal sito prescelto nella Guiana francese del telescopio spaziale tecnologicamente più avanzato mai realizzato, il James Webb Space Telescope (di seguito per brevità anche JWST).
Il telescopio è frutto di una collaborazione tra NASA, Agenzia spaziale europea e Agenzia spaziale canadese. Si tratta in particolare del più grande telescopio ad infrarossi mai inviato nello spazio con uno specchio di ben 6,5 metri e, a differenza del suo predecessore il telescopio Hubble, svolgerà il proprio lavoro scientifico a circa 1.500.000 km dalla Terra (Hubble orbita invece a 547 km circa sopra le nostre teste).
Questo telescopio prende il nome da James Webb, amministratore della NASA dal 1961 al 1968, e come molti strumenti tecnologicamente avanzati si propone di perseguire più di un obiettivo di carattere scientifico.
Innanzitutto sarà in grado di osservare lo spazio profondo lì dove nessuno era ancora arrivato, riuscendo magari a puntare le galassie di prima formazione quando l’Universo aveva circa 100/200 milioni di anni (praticamente neonato per i tempi astronomici se consideriamo che oggi, l’età stimata dell’Universo è di circa 13,7 miliardi di anni). Sì perché la cosa affascinante di alzare gli occhi al cielo (con un telescopio e non) è che guardando le stelle stiamo di fatto viaggiando indietro nel tempo. Stiamo in altri termini osservando quegli oggetti così com’erano quando la loro luce è partita e poi ha raggiunto noi. Per fare un esempio pratico: guardando una galassia posizionata a 100 anni luce di distanza, la stiamo praticamente osservando com’era e nella posizione in cui era 100 anni luce fa (100 anni terrestri è infatti il tempo che la luce, viaggiando alla propria velocità e cioè a 299 792 458 m / s, ha impiegato per raggiungerci). A tal proposito, è nota la battuta che, se ci fosse una civiltà molto avanzata a circa 65 milioni di anni luce da noi e questa civiltà fosse al tempo stesso dotata di un telescopio talmente potente da guardare la Terra nei minimi particolari, quella civiltà non osserverebbe noi con le nostre città ma i dinosauri!
Tornando però al nostro telescopio spaziale, osserviamo che guardando così in là se ne consegue che uno dei suoi compiti sarà quello di indagare sulle prime fasi di vita dell’Universo e su cosa è accaduto in un periodo così lontano da noi.
Grazie poi alla sua sensibilità agli infrarossi, il JWST sarà in grado anche di osservare supernovae lontanissime. Le supernovae sono le esplosioni stellari che coinvolgono le stelle di grande massa alla fine del loro ciclo vitale. E’ fondamentale studiarle per capire qualcosa di più in ordine al tema dell’energia oscura. Sapete cos’è l’energia oscura? Se no, siete in buona compagnia…in effetti nessuno ancora l’ha ben capito.
Considerate infatti che tutto ciò che vedete (il mare, le stelle, i pianeti, i vostri cari, voi stessi) costituisce appena il 4% di ciò di cui è composto il cosmo. E il restante 96%? Che fa se non lo possiamo vedere?
Gli scienziati chiamano la restante fetta di torta in parte come materia oscura, materia che non interagisce con nulla se non gravitazionalmente e cioè suggerendo la sua presenza per via di determinati effetti gravitazionali verso la materia nota e, in altra parte come energia oscura, l’energia che è la causa per cui le galassie si allontanano sempre di più tra di loro: una sorta di gravità repulsiva che allontana la materia anziché avvicinarla. Perché si chiamano “oscure”? Perché semplicemente non sappiamo di cosa sono fatte (che fantasia questi astrofisici!).
Ma non basta.
Il JWST consentirà di studiare anche i corpi minori del Sistema solare esterno (e cioè quella parte del Sistema solare che sta al di là della cosiddetta fascia degli asteroidi) come comete, lune di Giove e Saturno, Plutone e tanto altro ancora. Una vista ad infrarossi poi consentirà anche di guardare all’interno delle nubi di gas e polveri nelle quali avviene la formazione e la nascita di nuove stelle e pianeti (magari osservando cosa accade altrove saremo in grado di capire meglio cosa è accaduto miliardi di anni fa nel nostro stesso Sistema solare!).
Infine, ma non in ordine di importanza, JWST sarà anche in grado di individuare nuovi esopianeti e cioè pianeti extra-solari che orbitano attorno ad altre stelle per studiarne la composizione alla ricerca – chissà – di un luogo adatto ad ospitare forme di vita simili e non alla nostra.
Insomma gli ingredienti per provare a svelare alcuni dei misteri più complessi dell’Universo che ci circonda ci sono veramente tutti. Ora non ci resta che attendere il lancio, il 24 dicembre, e poi i primi dati che arriveranno a Terra!
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L’AUTORE
Fabio Nottebella è un professionista nell’ambito delle risorse umane e un divulgatore scientifico in campo astronomico. Studioso delle lune ghiacciate, collabora con l’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta per il quale cura una serie di rubriche a tema Sistema Solare. E’ autore del libro “C’è vita nel Sistema Solare? Encelado” edito da Scienza Express Edizioni.