di Giovanni De Palma – Sin dalla tenera età a noi occidentali viene insegnato a guardare il mondo che ci circonda in un’ottica dualistica basata su una visione cristiano-cartesiana e, ancor prima, platonica. La realtà è vista come un oggetto dato, distinto dall'”io” (soggetto): un mondo che è razionalmente classificato e classificabile. È così radicato in noi il nostro universalismo che veniamo spinti a pensare che tutto il mondo ragioni così. Nulla di più falso.
Nell’Asia confuciana, ad esempio, vi è una visione olistica della realtà: il mondo è un insieme di cose indistinguibili. La realtà non è distinta, né separata, da noi stessi. Va da sé che una visione del genere è ben più complessa del dualismo cartesiano fondato su dicotomie quali: bene/male, bianco/nero, notte/giorno. Ma non cadiamo nell’errore che questa visione sia semplicemente un mescolare i due elementi o un vedere “grigio” o semplicemente in maniera più “sfumata” e meno netta. Questo modo di vedere le cose è completamente diverso da ciò a cui siamo abituati in Occidente. Si tratta di un “monismo organico”, che consente di vedere un continuum tra la divinità e l’uomo, tra l’uomo e la natura, il corpo e la mente e non una contrapposizione o una netta distinzione tra questi elementi.
Un’altra distinzione fondamentale tra questi due modi di concepire la realtà è data anche dalla concezione del tempo. Quante volte ci siamo sentiti dire che “il tempo è denaro”?
Quasi come fosse una continua corsa contro gli eventi, cosa che ci rende profondamente ansiosi di concludere velocemente ciò che facciamo o di raggiungere quanto prima un obiettivo personale o professionale. Questo perché per noi il tempo è lineare: il passato non torna, il presente è ora, il futuro deve ancora venire. Anche l’obiettivo della nostra società di rincorrere il “progresso” si confà perfettamente a questa visione lineare del mondo e del tempo.
In Asia confuciana (ma potremmo fare anche l’esempio della cultura africana), la concezione del tempo è molto differente. Il tempo non è assolutamente denaro, né considerato lineare. Il tempo è un cerchio. Questo perché il mondo è in costante cambiamento, si muove in avanti e indietro, muta, torna a posizioni passate per poi ricominciare il ciclo e così via.
Nel monismo organico confuciano, in breve, elementi che possono sembrare in contrapposizione come nella visione occidentale, in realtà sono complementari ed esistono perché coesistono, essendo tutti parte di un insieme indefinito chiamato “Tao”. Tutti conosciamo il simboletto tondo dello Yin e lo Yang, massima rappresentazione di questa concezione del mondo: queste forze complementari e solo apparentemente contrapposte interagiscono fino a formare un sistema dinamico. Ogni cosa e ogni essere vivente ha in sé elementi dello yin e dello yang. Del resto, come potrebbe esistere un’ombra senza la luce?
Inevitabilmente, queste due concezioni diverse del mondo, influenzano anche il modo di porsi con le altre persone e la dialettica che utilizziamo. In Occidente in un dibattito siamo portati a contrapporre diverse idee in un regime di tertium non datur. Nel mondo confuciano il clima delle conversazioni è completamente differente, basandosi non su un dilemma (come quello di aristotelica memoria), ma su un tetralemma: ad esempio, una cosa può essere bianca, nera, bianca e nera, né bianca né nera. Si capisce bene che questo modo di affrontare le discussioni, anche accese, conferisce un diverso livello di rispetto delle diverse posizioni, tenendo conto che non sempre una di esse debba prevalere. Posizioni che potremmo considerare opposte possono anche coesistere in un mondo che è un insieme indefinito di elementi. Lo scontro è quasi sempre evitato, ricercando sempre una soluzione win-win. Questo anche per non rompere l’armonia di questo mondo così complesso e non lineare.
Nessuna cultura è “migliore” dell’altra, ma ognuna ha dei punti di forza e di debolezza. Sicuramente l’Occidente è arrivato a imporre determinati schemi a gran parte del mondo proprio per la propria irruenza e la netta distinzione fra gli elementi.
Tuttavia, ritengo che abbiamo, oggi più che mai, molto da imparare da modi di pensare differenti dal nostro, come quello dell’Asia confuciana. Per comprendere un mondo sempre più complesso ed eterogeneo, la linearità e la nettezza nelle distinzioni, così come le contrapposizioni nette, risultano inutili e talvolta deleterie. Un approccio più pragmatico e meno ideologico, riconoscere l’importanza anche delle posizioni diverse, e avere un approccio dialettico non basato su un dualismo rigido potrebbe senz’altro essere la chiave per un mondo più rispettoso del “diverso” e dove differenti concezioni di società coesistono senza dover per forza imporre un modello considerato “migliore” degli altri. Ancora una volta, la gestione della diversità culturale rimane l’unico vero obiettivo in un mondo così complesso, multipolare e unito unicamente dal punto di vista geoeconomico da una globalizzazione che finisce per accelerare sempre più le disuguaglianze.
Per concludere: se doveste avere a che fare con un vostro interlocutore proveniente da Cina, Giappone, Corea o Vietnam, ricordate sempre: il tempo NON è denaro. E se si tratta di un incontro di lavoro, considerarlo tale potrebbe farvi perdere tempo e denaro, nel vero senso della parola.
L’AUTORE
Giovanni De Palma, laureato in Lingue, lettere e culture comparate (inglese e giapponese); e in Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa con focus sul Giappone (con tesi sulla strategia di sicurezza nazionale del Giappone di Abe); Master SIOI in Studi Diplomatici e Politici. Iamatologo e Orientalista. Si occupa di comunicazione social e political advisoring.