Di seguito l’intervista al teorico dei media e scrittore statunitense Douglas Rushkoff, realizzata da MEET, Digital Culture Center.
«Vivendo e lavorando così tanti con i computer tendiamo a voler essere come loro. Oggi sempre di più vediamo noi stessi come dei computer. Cerchiamo di “elaborare” le informazioni o di agire in “multi-tasking”. […] Tendiamo ormai a concepire noi stessi in base al valore della nostra utilità». Douglas Rushkoff risponde alle domande di MEET dalla sua casa di New York e ci invita a (ri)prendere il controllo sulle tecnologie che noi umani stessi abbiamo inventato. La conversazione con il celebre teorico del digitale statunitense prende spunto dal suo ultimo libro, Team Human, pubblicato in italiano da Ledizioni nel luglio 2020, mentre in Italia si sperimentava una specie di “nuova normalità”, sia online che offline. Quella che segue è la sintesi dello scambio che abbiamo avuto con lui, comprensivo di un involontario gioco di parole…
Lei sostiene che vi sia una sorta di “programma anti-uomo” incorporato nelle nostre tecnologie. Nel libro scrive però che «Team Human non è contro la tecnologia».
Giusto. Sono contro il programma anti-uomo. Io amo l’idea dei computer e delle reti che mettono in collegamento tra di loro le persone permettendo la libera espressione e aiutando nella ridistribuzione di capitali e risorse. Non mi piace come alcune grandi multinazionali oggi usano la tecnologia digitale per promuovere le dipendenze, manipolare i comportamenti delle persone, indurre pericolosi stati mentali basati solo sulla reazione di attacco o fuga, mettendo gli uomini gli uni contro gli altri. Dunque faccio una distinzione ben chiara tra le tecnologie e il modo in cui vengono usate. So anche bene, però, che le diverse tecnologie presentano problematiche diverse. Quindi, pur essendo d’accordo sul concetto che non sono le pistole che uccidono le persone, ma le persone che uccidono altre persone, ritengo però che le pistole tendano più ad uccidere le persone che non i cuscini, anche se entrambi questi oggetti possono essere utilizzati per uccidere. Sono cosciente che anche le tecnologie digitali presentano alcune problematiche di questo tipo e ne ho scritto molto nei miei libri. La televisione, ad esempio, ha promosso il globalismo, migliorando e peggiorando tante cose. L’ambiente comunicativo creato dalla televisione fa parte di ciò che ha generato il movimento ambientalista e che ha abbattuto il muro di Berlino, ma è anche lo stesso che ha creato il mercato globale e il capitalismo globale ormai fuori controllo. La tecnologia digitale presenta varie problematiche: è molto locale e specifica, ma anche polarizzante e alienante, dunque dobbiamo stare attenti a non usare il digitale come metodo di controllo o per amplificare la natura estrattiva del capitalismo.
Se le tecnologie digitali possono scoraggiare la connessione e l’espressione umana, durante la pandemia ci hanno però fornito gli strumenti e le vie informali per muoverci in una situazione di difficoltà. Molte persone – penso ai miei genitori e a qualche altra persona avanti con l’età che conosco – si sono finalmente aperti al lato positivo della rete. Al contrario, non ho potuto non pensare al cosiddetto “onlife divide”, che riguarda tanti bambini di famiglie a basso reddito e persone digitalmente isolate. Il mondo si è ribaltato: ho visto il lato oscuro di questo diluvio tecnologico. Qual è il suo punto di vista su questo? *in originale era “What’s your point of you?” invece di “What’s your point of view?” (un lapsus).
*Lei intendeva “point of view” [punto di vista], ma ha detto “point of you” [il tuo punto] e direi che mi piace! Penso che mi stia chiedendo di parlare di due cose: l’accesso e l’utilità. E sì, penso che la rete abbia finalmente rivelato il valore della propria utilità a molte persone che pensavano che si trattasse solo di andare sui social. Oggi si utilizzano documenti Google Docs per distribuire apparecchiature mediche o per informare la gente sui tamponi. La rete sta avendo la sua grande occasione di svolgere una funzione veramente utile per la gente reale. Ciò detto, l’accesso a Internet è diventato una necessità per chi ha bisogno di accedere ad informazioni essenziali, per l’istruzione dei figli o anche per fare domanda per ricevere un aiuto economico, come abbiamo visto durante la crisi. Nei paesi più civilizzati ci si sta rendendo conto che avere un qualsiasi tipo di accesso ad Internet è diventato un diritto fondamentale dell’uomo, proprio come l’alfabetizzazione o l’accesso al denaro. Cosa ne penso? Non saprei dire. Penso che sia necessario solo quando dipendiamo così tanto dai sistemi top-down e dalle grandi filiere di distribuzione per soddisfare le nostre esigenze basilari. Potremmo tornare ad essere più “local”, e dunque meno dipendenti dalle reti digitali globali per la nostra sopravvivenza.
Nel corso di una conferenza che ha tenuto nel 2018, lei ha dichiarato: “Il futuro è passato dall’essere uno spazio aperto alla creatività ad essere un luogo di speculazione”. Negli ultimi mesi (ndr. quelli della pandemia da Covid-19), che luogo è diventato il futuro?
Non so se sia esatta questa citazione. Penso che mi stessi riferendo alla nostra percezione del futuro, al modo in cui pensiamo al futuro. Nei primi tempi, quando Internet era da poco comparsa nelle nostre vite, guardavamo al futuro in modo molto creativo, pensavamo che avremmo potuto creare il futuro che volevamo. Poi sono arrivati sulla scena gli speculatori di Internet, che hanno voluto farci i soldi e hanno scommesso sul futuro. Volevano essere in grado di prevedere il futuro per limitare le possibilità, in modo da poter fare la scommessa giusta. Ora penso che la gente semplicemente abbia bisogno di avere un futuro, un futuro qualsiasi. Molti stanno giungendo alla conclusione che sia iniziato il processo che ci porterà all’estinzione. Molti sono convinti del fatto che la nostra civiltà abbia una scarsissima probabilità di sopravvivere al secolo attuale. Resteranno degli uomini sul pianeta, ma non nella civiltà che conosciamo oggi. E senza la nostra civiltà sarà difficile continuare a conservare le scorie nucleari. Quelle “barre di combustibile” hanno bisogno di tutta l’energia e lo sforzo organizzativo di una civiltà per essere mantenute fredde. Quindi non penso che potremo ritornare ad una sorta di civiltà precedente, pre-industriale. Rispondendo alla sua domanda, penso che oggi stiamo guardando al futuro come ad un luogo che speriamo ci sia ancora quando ci arriveremo.
Lei ha scritto: “Tutta la gente digitale è paranoica”. Immagino che non intendesse proprio TUTTI, giusto?
Non ricordo in quale contesto ho scritto quella frase, comunque mi sembra che sia così, in effetti, cioè la tecnologia digitale induce uno stato mentale che assomiglia a quello della paranoia. Abbiamo dei “bit”, dei pezzettini, e dobbiamo assemblarli perché abbiamo un senso. Nel libro Present Shock la chiamo “fractalnoia”, questa necessità di collegare dei puntini tra loro. Negli Stati Uniti lo vediamo nei follower di QAnon, che di fatto non dicono nulla, ma tirano in ballo una gran quantità di “fattoidi” che la gente deve poi assemblare da sola. Quando cerchi di mettere insieme i pezzi per dargli un senso ti rendi conto che il tutto è una sorta di paranoia, è decisamente qualcosa di molto vulnerabile alle teorie cospirazioniste e alla paranoia. Pensiamo che tutti i punti debbano essere collegati tra loro e che debbano avere un senso, che c’è un tema o una storia unica sotto, anche se in realtà tutto è casuale.
“Pur avendo accettato il nostro ruolo di elaboratori nell’era dell’informazione, fatichiamo a funzionare come il migliore dei computer”. Ci illustrerebbe questo suo pensiero?
Certo, l’ho illustrato in interi libri come Team Human, ma in breve suggerisco che vivendo e lavorando tanto con i computer tendiamo a voler essere come loro. In passato, nell’era industriale, vedevamo le persone come le macchine, come orologi. Una persona poteva essere “caricata”. Oggi ci vediamo più come dei computer e cerchiamo di “elaborare” le informazioni o di agire in “multi-tasking”. Dunque, se la nostra concezione dell’essere umano è dominata dalla metafora del computer, tendiamo a vedere noi stessi e il nostro valore in termini di utilità. Quando “output” riusciamo a produrre? Quante “connessioni” riusciamo a mantenere? Quante “finestre” riusciamo a tenere aperte contemporaneamente? Penso che sia una prospettiva disumanizzante della nostra esistenza. Non c’è spazio per le relazioni, per i rapporti, e neanche per i nostri sensi. Preferirei misurare il mio valore in abbracci piuttosto che in “cicli di elaborazione”.