di Fabio Massimo Parenti – Gli Stati più forti, secondo i neomercantilisti, danno vita a regimi internazionali (monetari, commerciali, produttivi, ecc.) per far avanzare gli interessi nazionali, rifiutandosi poi di aderire ai principi, alle norme e alle regole date quando entrano in conflitto con i propri interessi. In questo modo è possibile spiegare lo stralcio di accordi internazionali da parte degli Usa (TPP, Parigi, …), le critiche alle clausole di salvaguardia previste in seno al WTO (rivolte soprattutto alla Cina), la minaccia di uscire da questa organizzazione, la nuova postura protezionistica e via dicendo.
Per questo motivo si parla di fine dell’ordine liberale, perché la defezione del leader sta diventando una costante. Tuttavia, il mondo non è più unipolare e c’è meno spazio per fare ciò che si vuole, come si evince nel braccio di ferro con la Cina.
Le autorità di Pechino hanno ribadito in questi giorni che prenderanno contromisure al nuovo giro di aumenti tariffari, i quali andranno a coprire praticamente tutti i prodotti che gli Usa importano dalla Cina, con l’eccezione di alcuni prodotti, sospesi fino a metà dicembre.
Nessuno esce vincitore da una guerra commerciale, ieri come oggi. Questa è sempre stata la posizione di Pechino a favore di negoziati equi con gli Usa. Inizialmente, un anno e mezzo fa, il lancio delle nuove tariffe all’importazione volute dall’amministrazione Trump veniva soppesato e spesso sminuito. Gli osservatori evitavano di usare la parola “guerra”, i cinesi in particolare erano prudenti. Oggi le autorità di Pechino denunciano con più forza la totale inaffidabilità degli Usa e in un recente commento si afferma che “la Cina quando negozia spalanca la porta, quando combatte lo fa fino alla fine”.
A quasi 17 mesi dall’inizio della crisi tra i due poli nazionali dell’economia mondiale, è sempre più evidente che siamo nel mezzo di un conflitto politico-strategico provocato dagli Usa, che lo stanno combattendo con ogni mezzo. Limitazioni alle compagnie cinesi all’avanguardia, con vari divieti di vendita delle controparti americane; pressioni di ogni genere contro il 5G cinese e i relativi accordi bilaterali in giro per il mondo; sostegno e provocazioni su Taiwan e Hong Kong (di quest’ultimo ne ho parlato in interviste e articoli), ove le documentate ingerenze Usa (non da oggi) sono intollerabili per la Cina; pressioni mai realmente giustificate, perché mai documentate, sullo Xinjiang; critiche e ingerenze verso i paesi che partecipano alla nuova via della seta; tentativi di allargare il campo alla competizione valutaria … le riemergenti accuse di manipolazione valutaria non erano valide anni fa, non lo sono oggi, con una Cina sempre più integrata ed aperta. Per non parlare della citata diatriba sulla riforma del WTO. L’amministrazione Trump continua a fare una sorta di “minestrone”, spostandosi da una posizione estrema al suo esatto opposto, anche nel giro di pochi giorni.
La Cina dal canto suo continua ad anticipare gli obiettivi dei propri piani di politica economica e ad accelerare su innovazione, ricerca e sviluppo del mercato interno. Alti risparmi, crescita dei salari, sostegno alla domanda interna e ristrutturazione dell’offerta sono i punti cardine del “new normal” cinese, per mettere al sicuro il paese, almeno dal 2008. L’Occidente, al contrario, perde colpi e pezzi, facendo presagire l’avanzata di una nuova grande crisi.
Ancora una volta è il neoliberalismo, con varie sfumature neomercantiliste, ad essere tra i banchi degli imputati, mentre in Cina si continua a sperimentare un modello sui generis, ispirato da politiche neokeynesiane e finalizzato ad obiettivi marxiani.
Quando un paese liberale e neo-mercantilista, a fasi alterne, teme della propria supposta egemonia rischia di fare manovre sempre più pericolose. Con Cina e Russia più vicine, tuttavia, non c’è spazio per facili soluzioni militari. Quindi, ci si affida a tutte le altre leve, ma finora con scarso successo.
L’AUTORE
Fabio Massimo Parenti è professore associato (ASN), insegna all’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici a Firenze, è membro del think tank CCERRI, Zhengzhou, e membro di EURISPES, Laboratorio BRICS, Roma. Il suo ultimo libro è Geofinance and Geopolitics, Egea. Su twitter @fabiomassimos