A Gaza, quasi nulla è rimasto in piedi. Quello che i numeri ufficiali non dicono emerge dalle analisi indipendenti raccontate sul recente articolo pubblicato su The Economist. Edifici rasi al suolo, milioni di tonnellate di macerie e un bilancio di vittime che supera di gran lunga le cifre diffuse dalle autorità locali. Senza giornalisti sul campo, la verità viene fuori dai satelliti e dai dati raccolti da istituzioni internazionali.
Le rilevazioni satellitari hanno permesso a UNOSAT, agenzia delle Nazioni Unite, di stimare che già ad aprile oltre 190.000 edifici di Gaza risultavano danneggiati, circa il 70% delle strutture esistenti prima del conflitto. Di questi, 102.000 sarebbero stati completamente distrutti. La Banca Mondiale traduce questi numeri in 300.000 abitazioni perdute, tra cui il 77% dei condomini. Un altro metodo, adottato da UN-Habitat, un’altra agenzia delle Nazioni Unite, si è basato sul calcolo delle macerie prodotte: oltre 53,5 milioni di tonnellate si sarebbero accumulate lungo la Striscia, con un incremento del 133% in poco più di un anno.
Immagini satellitari di Rafah nel luglio 2023 (a sinistra) e nel giugno 2025 (a destra)
La popolazione, che prima del conflitto contava circa 2 milioni di abitanti, metà dei quali bambini, in un’area di 365 km² (una densità simile a quella di Madrid), è stata costretta a concentrare la propria sopravvivenza nel 12,7% del territorio, spesso in tende e rifugi improvvisati. Risulterebbe essere uno dei luoghi più densamente popolati del mondo.
Come si legge sull’analisi del The Economist, alle vittime dirette si aggiungono quelle indirette; uno studio coordinato da Michael Spagat, della Royal Holloway University di Londra, stima che entro il 5 gennaio 2025 fossero morte da 4.500 a 12.500 persone a causa del collasso sanitario, della mancanza di cibo e delle condizioni igieniche. Lo stesso studio calcola inoltre tra 60.000 e 90.000 morti causate direttamente dal conflitto, oltre la metà donne, bambini e anziani. Un’altra ricerca colloca tra i 55.000 e i 79.000 le vittime di lesioni traumatiche entro la fine di giugno 2024. Queste cifre superano nettamente i bilanci ufficiali, che a giugno 2024 riportavano 38.000 morti e a gennaio 2025 circa 47.500. Proiettando le proporzioni tra dati ufficiali e stime accademiche, emerge che tra il 4 e il 5% della popolazione prebellica di Gaza potrebbe essere stata uccisa.
L’impatto demografico è dunque drammatico, l’aspettativa di vita sarebbe crollata di oltre 35 anni, riducendosi a circa la metà del valore precedente al conflitto. In termini percentuali il calo è più marcato di quello vissuto dalla Cina durante il Grande Balzo in Avanti (la campagna economica lanciata da Mao Zedong tra il 1958 e il 1962, che portò a carestie di massa e a milioni di morti); in termini assoluti, paragonabile al genocidio ruandese.
Le infrastrutture civili sono state colpite in misura devastante, secondo le Nazioni Unite, al 1° agosto 2024 il 76% delle scuole risultava danneggiato e il 95% degli ospedali aveva riportato gravi compromissioni. La ricostruzione appare un’impresa colossale, la Banca Mondiale la valuta in circa 53 miliardi di dollari, più del doppio del PIL combinato di Gaza e Cisgiordania prima della guerra.
A fronte di tutti questi dati, emerge con estrema chiarezza che quello di Gaza sia, a tutti gli effetti, uno dei conflitti più distruttivi della storia recente.






