“Antonino De Masi sta chiudendo la propria azienda, che produce macchine agricole alle spalle del porto di Gioia Tauro (Reggio Calabria). Tra il 1999 e il 2002 ha subito usura da tre banche, come ha stabilito la Corte di Cassazione nel 2011. Da 225, i dipendenti son diminuiti a 150. Per l’imprenditore calabrese è stato necessario vendere beni personali e avviare altre azioni per usura. Finora De Masi non è stato risarcito, pur avendo riconosciuta la bontà delle sue istanze: il giudice civile deve “ancora” pronunciarsi sulla somma che gli spetta. Intanto, al Ministero dello sviluppo economico (Mise) si cerca un accordo economico fra le tre banche e l’imprenditore calabrese, in modo da non perdere altro tempo. Tuttavia il gruppo De Masi non ha più soldi per andare avanti, mentre il governo non ha trovato finanziatori per il piano industriale, ben noto in quella sede. Forse era meglio chiedere a Buzzi e Carminati… La questione è gravissima. De Masi, che ha resistito a veri assalti della ‘ndrangheta, non può più lavorare per le conseguenze dell’usura bancaria subita. Se chiude per fine anno, come ha annunciato, il messaggio che passa è atroce. Significa che non c’è posto per il lavoro onesto in Calabria, che lo Stato si rassegna al potere delle banche e che la legalità è uno slogan di copertura. Il Movimento cinque stelle ha già proposto una commissione parlamentare d’inchiesta contro i crimini bancari, l’immediato risarcimento delle vittime e la revoca dell’autorizzazione agli istituti di credito che abbiano danneggiato imprese e privati. Adesso bisogna salvare De Masi. Perciò il governo dica da che parte sta, senza più nascondersi e rinviare. Da questa storia potrebbe iniziare un capitolo nuovo per tutta l’economia del Paese”.
Dalila Nesci, M5S Camera
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