La fattura delle importazioni mondiali è più che triplicata dal 2000, raggiungendo i 1,43 trilioni di dollari, mentre è quasi quintuplicata per i paesi più vulnerabili alle crisi alimentari.
Questo dimostra una tendenza che è andata “deteriorandosi nel tempo, preannunciando una sfida crescente, soprattutto per i paesi più poveri, che cercano di venire in contro ai propri bisogni alimentari di base, attraverso i mercati internazionali” ha affermato Adam Prakash, Economista della FAO e autore del rapporto Food Outlook, pubblicato oggi.
Il costo globale delle importazioni alimentari è previsto crescere di circa il 3 per cento quest’anno, raggiungendo 1,47 trilioni di dollari. L’aumento annuale è legato in particolar modo alla crescita del commercio internazionale di pesce – alimento di alto valore importato soprattutto da paesi sviluppati – e del commercio di cereali, commodities base che rappresentano un’importazione essenziale per molti Paesi a basso reddito con deficit alimentare (LIFDC).
Nell’edizione di quest’anno, la FAO ha dato uno sguardo più di lungo termine a questi trend, e scoperto che i paesi potrebbero effettivamente “pagare di più per meno cibo”, anche se la produzione globale e le condizioni del commercio sono state piuttosto benigne negli ultimi anni.
L’analisi si concentra sia sulle tendenze che sulla composizione – proteine animali, frutta e verdura, cereali, bevande, semi oleosi e caffè, tè e spezie – delle fatture delle importazioni alimentari nel tempo. Le importazioni alimentari sono cresciute al tasso globale medio dell’8 per cento annuo dal 2000, ma la crescita è rimasta sempre in doppia cifra per la maggioranza dei paesi più poveri. In “forte contrasto” con questo fenomeno, la quota di cereali rispetto a quella di alimenti di più alto valore nel paniere delle importazioni non è calata nei paesi più poveri, mentre è calata considerevolmente nei paesi più ricchi.
I costi per l’importazione di cibo rappresentano ora il 28 per cento degli introiti totali dall’ esportazione di merce per i paesi meno sviluppati, quasi il doppio rispetto al 2005. I paesi sviluppati, invece, non solo hanno un maggiore PIL pro capite, ma solitamente spendono solo il 10 per cento degli introiti dall’export per importazioni alimentari.
Frutti esotici, da nicchia ad uso comune
Il Food Outlook, pubblicato ogni sei mesi, dedica un capitolo speciale alla crescita del commercio di frutti tropicali minori, come guava e litchi, basandosi su edizioni precedenti concentrate su rivali di maggior rilievo come il mango e la papaya.
L’output globale del commercio di questi frutti tropicali minori, – prodotti all’86 per cento in Asia – si è aggirato sui 20 miliardi di dollari l’anno scorso, secondo l’analisi e le valutazioni dettagliate di questo prodotti di nicchia condotte da Sabine Altendorf.
Questi frutti vengono consumati soprattutto a livello locale e spesso contribuiscono in modo sostanziale al reddito e ai bisogni nutrizionali dei piccoli produttori. Il crescente riconoscimento del loro contributo ad una dieta sana, li sta tuttavia portando ad un più alto profilo internazionale, specialmente viste le forti tendenze all’urbanizzazione a livello mondiale, e la crescente attenzione alla salute.
La guava è il frutto più grande di questa categoria, assieme a jackfruit, longan, litchi, durian, rambutan e frutto della passione – per lo più coltivato in Brasile – e al mangostano.
Ad oggi, solo circa il 10 per cento della produzione è commercializzata all’estero, soprattutto all’interno dell’Asia – con la Tailandia come maggiore esportatore -, ma i robusti prezzi all’ingrosso nei mercati dei paesi sviluppati indicano un ampio potenziale commerciale per gli esportatori dei paesi a basso reddito.
Per galvanizzare questa opportunità serviranno innovazioni nella gestione della deperibilità e garanzie sulla fornitura, sulla volatilità dei prezzi e sul rispetto delle certificazioni fitosanitarie.
Il quadro generale
Il Food Outlook analizza le tendenze di mercato delle maggiori derrate alimentari mondiali, incluso cereali, carne, pesce, zucchero e oli vegetali.
Mentre i mercati alimentari sono rimasti relativamente stabili grazie alla buona disponibilità generale della maggior parte delle categorie, rimangono comunque vulnerabili alla luce dell’aumentare delle dispute in materia commerciale e agli shock climatici e di altro genere.
Il rapporto fornisce una valutazione dettagliata per i principali gruppi alimentari analizzati. Di particolare interesse sono gli andamenti complessi del settore degli oli vegetali, dove i prezzi internazionali dei semi e delle farine oleose sono in rialzo, mentre quelli degli oli vegetali stanno crollando. Le relazioni commerciali in evoluzione tra Sati Uniti d’America e Cina – rispettivamente il maggior produttore e compratore al mondo – hanno introdotto un’incertezza notevole nel mercato, come evidenziato dal recente tonfo dei prezzi mondiali di semi e farina di soia.
Il commercio dei prodotti cerealicoli è previsto rimanere solido nel 2018/19, sostenuto da una domanda forte e continuata alle importazioni di quasi tutti i maggiori cereali. Di interesse sono anche le attese per prezzi elevati, se non “record” per i prodotti ittici nella seconda metà del 2018, dovuti ai trend in restringimento dell’offerta; l’espansione del commercio di prodotti lattiero-caseari, specialmente latte in polvere; la forte espansione della produzione di carne, con il rallentare della crescita dei volumi commerciali.
La produzione mondiale di zucchero, nel frattempo, è prevista salire dell’11.1 per cento quest’anno, raggiungendo il livello record di 187, 6 milioni di tonnellate, e superando in buona misura i margini globali di consumo. Nonostante la più ampia di disponibilità di zucchero mai registrata nella storia, il valore minimo per i prezzi internazionali dello zucchero sarà probabilmente determinato dall’aumento dei prezzi del petrolio greggio mondiale, dato che più zucchero viene usato per produrre etanolo.