di Steve McCarroll – Nove anni fa, mia sorella scoprì dei noduli nel collo e nel braccio e le fu diagnosticato il cancro. Ogni volta che andava dai medici, le misuravano molecole specifiche, che davano loro informazioni su come lei stesse e cosa dovesse fare dopo.
Nel giro di pochi anni nascevano nuove opzioni mediche. Ricevette poi un nuovo trattamento medico, un trattamento innovativo in una clinica sperimentale che, di fatto, ha arrestato il cancro.
É davvero incredibile, in 10 anni o meno, la scienza può cambiare il significato di una specifica malattia. Ma non per tutte.
All’università avevo un compagno di nome Robert. Ad un tratto i suoi pensieri diventarono sempre più disorganizzati. Lasciò l’università, trovò un lavoro in un negozio, ma anche quello divenne troppo complicato. Un anno e mezzo dopo, cominciò a sentire delle voci e a credere che qualcuno lo seguisse. I dottori gli diagnosticarono la schizofrenia, e gli diedero le migliori cure.
Un medicinale rese le voci più silenziose, ma non ristabilì mai il suo equilibrio mentale. Robert ha combattuto per restare connesso al mondo universitario, al lavoro e agli amici. Ma non c’è stato nulla da fare. Si è allontanato, e oggi non so dove cercarlo.
Perché la medicina ha tanto da offrire a mia sorella, e così poco da dare a milioni di persone come Robert? Perché se hai un tumore ti sono tutti accanto, ma se hai una malattia mentale rimani solo?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che le malattie mentali, come la schizofrenia, il bipolarismo e la depressione sono la maggiore causa al mondo di anni di vita e lavoro perduti.
Spesso questi disturbi colpiscono nel fiore della vita, quando si stanno terminano gli studi, iniziando una carriera, creando relazioni e famiglie, quando ci sarebbero ancora tanti anni “buoni” da vivere. Queste malattie possono condurre al suicidio; spesso compromettono la capacità di lavorare al massimo delle possibilità; e sono la causa di molte tragedie più difficili da raccontare: relazioni e connessioni spezzate, opportunità di realizzare sogni e idee che vanno perdute. Queste malattie limitano le possibilità umane in modi che non si possono misurare.
Ma oggi viviamo in un’era di grande progresso medico in così tanti campi. Osservando come questi settori si sono sviluppati, vediamo un tema in comune: gli scienziati hanno scoperto molecole di una certa malattia, hanno sviluppato modi per localizzarle e misurarle nel corpo, e hanno sviluppato metodi per interferire con quelle molecole usando altre molecole.
È una strategia che ha funzionato. Ma non quando si tratta del cervello, perché oggi non ne sappiamo ancora abbastanza su come funziona. Dobbiamo imparare quali cellule interessano ad ogni malattia, e quali molecole in quelle cellule interessano ad ogni malattia. Questa è la missione di cui mi occupo e insieme al mio laboratorio sviluppiamo tecniche per cercare di capire cosa succede nel cervello.
Qual è però la novità? I big data.
Oggi, l’approccio ai big data sta trasformando settori sempre più ampi dell’economia, e potrebbe essere lo stesso anche in biologia e medicina. Ma bisogna avere i dati giusti.
Oggi, voglio raccontarvi due storie del nostro lavoro.
Un ostacolo fondamentale è che il nostro cervello è composto da miliardi di cellule. E le nostre cellule non sono generaliste, sono specializzate. Ancora oggi non sappiamo quanti tipi di cellule ci sono. Conosciamo poco ma stiamo andando avanti. La scienza sta sviluppando queste conoscenze un tipo di cellula per volta, una molecola alla volta.
Oggi però qualcosa è cambiato.
Per studiare ogni cellula, per capire cosa fa, la impacchettiamo in una gocciolina d’acqua per la propria analisi molecolare. Il processo non è molto semplice e non starò qui a spiegarlo, basta sapere però che alla fine si arrivano ad avere le trascrizioni molecolari degli specifici geni di ogni cellula, geni che la cellula utilizza per fare il suo lavoro. Poi sequenziamo miliardi di queste combinazioni di molecole e usiamo le sequenze per capire da quale cellula e da quale gene proviene ogni molecola.
Chiamiamo questo approccio Drop-seq. E abbiamo scritto un manuale d’istruzione di 25 pagine, con cui ogni scienziato può creare il proprio sistema Drop-seq da zero. E questo libro è stato scaricato dal nostro sito del laboratorio 50.000 volte negli ultimi 2 anni. Abbiamo scritto un software che può usare qualsiasi scienziato per analizzare dati dagli esperimenti Drop-seq. È un software gratuito ed è stato scaricato dal nostro sito 30.000 volte negli ultimi 2 anni. Centinaia di laboratori ci hanno scritto delle scoperte fatte usando questo metodo. Siamo davvero contenti.
Oggi, questa tecnologia viene usata per creare un atlante di cellule umane. Sarà un atlante di tutti i tipi di cellule del corpo umano e dei geni che ogni tipo di cellula usa per svolgere il suo compito.
C’è però una sfida.
La sfida è che vorremmo sapere le ricette precise di come opera il DNA, come crea le proteine. Perché queste variano da persona a persona, facendo variare le proteine da persona a persona nella loro sequenza precisa e in quanto ogni tipo di cellula usa ogni proteina. È tutto codificato nel nostro DNA ed è tutta genetica.
Per capire bene immaginate che se il colore degli occhi è influenzato da più di un singolo gene, qualcosa di così complicato come il funzionamento della mente è invece influenzato dall’interazione di centinaia di geni. E ogni gene cambia significativamente da persona a persona, e ognuno di noi è una combinazione di quella variante.
Come fare?
Grazie alla rete. Oggi infatti è possibile fare cose ad un livello non accessibile prima. 50.000 persone di 30 paesi diversi hanno donato il loro DNA per la ricerca sulla schizofrenia.
È risaputo da molti anni che la più grande influenza del genoma umano sul rischio di schizofrenia, deriva da una parte del genoma, che codifica molte molecole nel nostro sistema immunitario. Ma non era chiaro quale fosse il gene responsabile.
Uno dei miei scienziati ha sviluppato un nuovo modo per analizzare il DNA e ha scoperto qualcosa di sorprendente. Ha visto che il gene chiamato “C4”, si presenta in decine di forme diverse nei genomi di varie persone e queste forme differenti formano quantità diverse della proteina C4 nei nostri cervelli. E ha scoperto che più proteine C4 creano i nostri geni, più aumenta il rischio di schizofrenia.
Ora, proteine come C4 si conoscevano da tempo per i loro ruolo nel sistema immunitario, dove agiscono come una sorta di molecola Post-it che dice: “Mangiami”.
E quel Post-it è posizionato su molti detriti e cellule morte nel nostro corpo e invita le cellule immuni ad eliminarle. Ma due miei colleghi hanno scoperto che la nota C4 si posiziona anche sulle sinapsi nel cervello e suggerisce la loro eliminazione. La creazione ed eliminazione di sinapsi sono una parte normale dello sviluppo umano e dell’apprendimento. Il nostro cervello crea ed elimina sinapsi continuamente. Ma i risultati genetici dimostrano che nella schizofrenia il processo di eliminazione può andare in corto circuito, eliminando le sinapsi buone.
Questo è forse il cammino verso un farmaco che potrebbe risolvere la causa principale più che un sintomo individuale, e speriamo vivamente che questo lavoro, di molti anni e di molti scienziati, sia un successo.
Ma C4 è solo un esempio del potenziale per gli approcci scientifici basati su dati per aprire nuove frontiere su problemi medici che esistono da secoli. Questi progetti avvicinano persone con diverse origini, formazioni e interessi, come la biologia, informatica, chimica, matematica, statistica, ingegneria. Penso che un giorno non sarà più possibile dire faccio il medico e basta, o almeno non come lo intendiamo oggi. Diverse discipline ormai interagiscono cosi pesantemente tra loro che sarà impossibile andare avanti senza.
Sito da cui scaricare il software e le istruzioni: http://mccarrolllab.org/
Tradotto da Roberta Fusco
Revisione di Anna Cristiana Minoli