di Augusto Rubei, dall’Huffington Post
Bruxelles ripiomba nel terrore. Una serie di esplosioni simultanee in queste ore hanno colpito il cuore politico e finanziario dell’Europa. Il bilancio è devastante, si parla di decine di vittime, ma è destinato ad aumentare. Il Belgio si conferma così, insieme alla Francia, il Paese più in bilico in Ue per quanto riguarda il rischio terrorismo.
Gli attentati di stamane riaprono un capitolo che sembrava essersi chiuso qualche anno fa, perché i terroristi sono tornati a colpire obiettivi importanti, sul modello di Madrid 2004 e Londra 2005, ricorrendo all’ausilio di ordigni massicci, non più artigianali, in grado di devastare la hall di un aeroporto e far saltare in aria alcune delle principali fermate metro della città.
VIDEO La fuga dallaeroporto di Bruxelles
A Charlie Hebdo, al Bataclan, al museo Bardo in Tunisia, le modalità erano state diverse. Armi “low tech” e “soft-target“, basso impiego di risorse e ottimizzazione del risultato. Oggi a Bruxelles si è invece tentato il colpo grosso, chi ha messo in piedi gli attacchi non voleva solo farsi notare, ma cercava l’alto impatto mediatico. Cercava un nuovo 11 settembre. E l’ha trovato.
Siamo di fronte al secondo attacco coordinato in Europa nel giro di pochi mesi. A Bruxelles proprio come a Parigi la sensazione è stata quella di un’invasione, di un esercito pronto, ma soprattutto preparato, a colpire il nemico.
Dato importante: ieri c’era stato un altro attacco rivolto alla missione europea in Mali, mentre i militari si trovavano in un hotel a Bamako. Stesso luogo della violenta sparatoria del novembre scorso che colpì l’hotel Radisson, pensata e guidata da Mokhtar Belmokhtar, chiamato “Il Guercio” (per via di un occhio mancante) o “Mister Marlboro” (perché diventato famoso col contrabbando di sigarette).
È tuttavia da escludere, al momento, una connessione tra i due episodi, anche perché la milizia al-Murābiṭūn (le Sentinelle) di Belmokhtar non potrebbe mai disporre delle risorse sufficienti per coordinare esplosioni come quelle di Bruxelles. Gli attacchi non sono ancora stati rivendicati, ma è possibile che dietro ci sia una struttura solida e ben radicata nel territorio, supportata da un quartier generale esterno.
L’organizzazione dello Stato islamico è il primo indiziato, anche se con il processo di apostasia in corso è piuttosto approssimativo dare un’identità ai kamikaze. Possibile che siano ex qaedisti passati tra le fila dell’Isis. Dobbiamo ricordarci che il primo vero attacco a sostegno del Califfato avvenne al museo ebraico di Bruxelles. Maggio 2014, Mehdi Nemmouche uccise quattro persone e poi venne preso in Francia. Poco dopo Verviers e infine Ayoub el-Khazzani, l’autore del fallito attacco sul treno Amsterdam-Parigi, viveva in Belgio.
Sono più di 15 anni che il Paese è nel mirino dei jihadisti. Il 9 settembre 2001 il comandante Ahmed Shah Massoud saltava in aria insieme ad un videoregistratore-bomba che due sedicenti giornalisti, in realtà terroristi di al-Qaeda, gli avevano affidato con la scusa di intervistarlo. I suoi assassini avevano varcato il confine con dei passaporti belgi. Il link è storico: i salafiti iniziarono ad insediarsi negli anni ’90, da lì è passata la rete propagandistica qaedista e gli estremisti marocchini. Pensare che la prima kamikaze europea fu proprio una convertita belga, figlia di un panettiere. Muriel Degauque si fece esplodere in Iraq nel 2005.
Le ragioni di questa connessione sono diverse. Innanzitutto la posizione geografica, tra Francia, Germania e Regno Unito, il Belgio si può attraversare in due ore con una semplice utilitaria, fa parte di Schengen e i suoi confini sono aperti. La carenza di una banca dati europea sui terroristi inoltre si fa sentire. E poi c’è Molenbeek, l’anima nera del Belgio, un comune di Bruxelles ad alto potenziale jihadista, dove due giorni fa hanno arrestato l’attentatore numero 1 di Parigi. Ha una popolazione di circa 80.000 abitanti, di cui il 40% stranieri e in gran parte di fede musulmana. Vivono nell’emarginazione sociale, con un tasso di disoccupazione superiore al 25% che in alcuni quartieri offre una spinta alla radicalizzazione.
Secondo dato interessante: in Belgio la maggior parte degli imam sono stati “importati” dietro la sponsorizzazione dei sauditi e hanno un’impostazione wahhabita. È anche per questo che è riuscita a costituirsi Sharia4Belgium, un’organizzazione autoctona che si ispira al salafismo. Il gruppo, guidato da Fouad Belkacem, è nato nel 2010 per promuovere la legge islamica ma da tempo impegna ogni energia nel reclutamento di combattenti in Siria.