di Fabio Massimo Parenti – In queste ultime settimane stiamo registrando delle prime manifestazioni di una crisi energetica generalizzata, con prezzi alle stelle e rallentamento di alcuni siti produttivi. Non solo in Cina. Abbiamo avuto, ad esempio, rallentamenti di produzioni in Germania e UK. Ciò è legato a una serie di concause internazionali che stanno mettendo a dura prova diverse filiere produttive e distributive, già stressate dai blocchi avvenuti a causa della pandemia. Ricordiamo al riguardo le temporanee interruzioni delle attività del porto di Shenzhen tra maggio e giugno: stiamo parlando di uno dei maggiori porti al mondo che, a causa di focolai locali, ha sperimentato rallentamenti e veri e propri blocchi dei flussi commerciali.
Peraltro, è bene ricordare che i razionamenti e i blackout avvenuti in Cina si sono concentrati in alcune province e non in altre. Come si evince da questa rappresentazione geografica realizzata da Lantau Group (società di consulenza specializzata nel settore energetico), le grandi municipalità autonome e molte altre province (in grigio) sono rimaste esenti dai problemi delle ultime settimane, mentre i razionamenti di energia sono stati operati soprattutto nelle province del nordest e del centro (in arancione). In rosso, infine, vengono segnate le province e regioni autonome che hanno sforato i tetti di produzione nell’ambito del piano di riduzione delle emissioni inquinanti e che per tale motivo hanno praticato tagli più drastici.
Le autorità cinesi stanno cercando di tamponare la situazione non solo concedendo un temporaneo allentamento dei limiti alla produzione imposti a una serie di impianti, ma anche aumentando le importazioni di carbone e gas naturale da Russia, Kazakistan, Indonesia e altri paesi, immaginando anche di rilassare le tensioni con l’Australia, a cui era stato imposto un blocco all’esportazione per via delle tensioni geopolitiche accumulatesi negli ultimi anni.
Prima di inquadrare l’insieme di cause nella loro dimensione macro, è necessario ricordare che la Cina è la locomotiva dell’economia mondiale da circa due decenni – come più volte documentato in questa sede. Pertanto, i rallentamenti delle produzioni in Cina, o ad essa collegate, non possono non avere ripercussioni sui mercati internazionali. Ciò detto, rimane il fatto che gli interventi delle autorità, attraverso la NDRC, stanno riportando a una normalizzazione della situazione.
Concause
Dietro queste manifestazioni di crisi energetica, spinta in generale da un disallineamento congiunturale tra domanda e offerta, con crescita vertiginosa dei prezzi dei combustibili fossili, ci sono due serie di concause.
1) Mercato e geopolitica: la domanda sta crescendo in una fase di uscita relativa dalla pandemia (riprese economiche), mentre l’offerta stenta a stare al passo con le richieste dei paesi più energivori. Perché? I produttori controllano le quote e dovrebbero ampliarle, tuttavia, si giocano il proprio potere negoziale, come sta facendo la Russia che ha sempre più richieste da est e da ovest. A ciò si aggiunge la consueta speculazione finanziaria anche nel mercato energetico.
Mentre la cooperazione e la partnership sino-russa si rafforza, quella euro-russa è andata indebolendosi: sappiamo bene quante critiche e pressioni abbia subito la Russia fin dal colpo di stato in Ucraina del 2014. Se il Nord Stream 2 con la Germania non è ancora operativo non è certo per responsabilità della Russia, ma delle pressioni statunitensi sull’Europa, confermando ancora una volta l’incapacità di quest’ultima di programmare i propri interessi vitali autonomamente. Al riguardo il Presidente Putin ha sintetizzato, pochi giorni fa, gli errori europei: “Come sappiamo, il mercato globale dell’energia non ha pazienza per i pasticci e la vaghezza: qui i piani d’investimento sono di natura a lungo termine, azioni improvvise portano a gravi squilibri. Sul mercato energetico europeo una serie di fattori sfavorevoli si sono accumulati quest’anno. La pratica dei nostri partner europei ha confermato ancora una volta che hanno commesso degli errori, tutte le attività della precedente Commissione Europea erano volte a limitare i cosiddetti contratti a lungo termine e si puntava al passaggio al commercio presso la borsa del gas. E’ diventato ovvio che questa politica era sbagliata”.
La Cina, d’altro canto, ha le sue tensioni tanto con gli Usa, da cui importa piccola parte del suo fabbisogno energetico, quanto con l’Australia (che fino a qualche mese fa rappresentava uno dei principali fornitori stranieri di carbone). Pertanto, Russia, Mongolia, Indonesia, Kazakistan e Sudafrica, tra gli altri, aumenteranno le loro forniture verso la Cina. In particolare la Russia, che coprirà le esigenze a breve – secondo accordi recenti con le autorità cinesi – e a lungo, anche grazie al nuovo gasdotto russo-cinese “Power of Siberia 2” che entrerà in funzione nel 2022.
(2) La relativa volatilità economica in tempi di pandemia si combina dunque con preesistenti tensioni geopolitiche, ma anche con la transizione eco-digitale ed i nuovi accordi di riduzione delle emissioni. Questi ultimi saranno discussi il prossimo mese a Glasgow (COP26) per proseguire sulla strada del Trattato di Parigi del 2015. Come noto, le principali potenze del mondo, compresa la Cina, hanno piani di ristrutturazione dei sistemi economico-produttivi per raggiungere la neutralità del carbonio entro un periodo che varia tra il 2050 e il 2060. L’implementazione di tali piani richiederà pertanto un’ulteriore fase pluridecennale di transizione, dal fossile alle fonti alternative, che si giocherà sul gas e il nucleare.
In questo contesto, la Cina ha operato tagli alle produzioni più inquinanti, sia in qualità di paese ospitante le prossime olimpiadi invernali, sia in virtù dei suoi piani di rientro delle emissioni.
In sintesi, se sommiamo le asimmetrie di mercato indotte anche dalle tensioni geopolitiche, che hanno anticipato e poi attraversato la pandemia (acuendosi), con i nuovi piani di contrasto al cambiamento climatico (vedasi transizione), abbiamo una serie di macro-concause dietro queste prime manifestazioni di crisi energetica che stanno colpendo, nel contempo, tanto le reti logistiche internazionali, quanto quelle energetiche.
Similitudini con gli anni Settanta in un mondo cambiato
Qualcosa di similare (non identico), nelle dinamiche di fondo, è avvenuto con la terza rivoluzione industriale nel corso degli anni Settanta del secolo scorso: crisi monetaria (collasso del sistema di Bretton Woods), crisi energetica (shock del 1973 e 1979) e superamento del fordismo con le applicazioni IT. Se il secondo e il terzo fattore cominciano a dipanarsi, il primo è meno evidente ai più, benché in divenire (non abbiamo qui lo spazio per affrontarlo). Per di più, vi è un’altra analogia con gli anni Settanta: gli studi e i discorsi sulla necessità di avviare una “svolta verde”, attraverso un cambiamento di paradigma economico-produttivo e sociale. Ricordate la pubblicazione di grandissimo successo sui “limiti dello sviluppo”? L’allarmismo di ieri e di oggi, all’insegna del “non abbiamo più tempo e “bisogna agire subito”, sembra sovrapporsi nei discorsi pubblici.
Per concludere c’è da dire, tuttavia, che il contesto geo-economico-politico contemporaneo (oltre che tecnologico) è cambiato radicalmente, i rapporti di forza sono mutati in senso multipolare e i processi di riconfigurazione economico-produttiva e sociale al livello mondiale non sono più trainati dall’Occidente, ma soprattutto dall’Asia, con in testa la Cina. In questa ricomposizione dell’ordine mondiale si scontrano due diverse concezioni di governance globale: una di stampo imperialista, centrata sull’imposizione di norme e interessi dell’egemone dominatore, l’altra di stampo anti-imperialista centrata su mutuo rispetto, non aggressione, non interferenza e vantaggio reciproco. L’una alimenta la destabilizzazione e persegue la predazione, riproducendo reti di dipendenza e subordinazione, l’altra vuole colmare, con la BRI, i tre deficit dell’ordine mondiale: di pace, di sviluppo e di governance.
Per approfondire questi processi ed il loro significato rimando al mio La via cinese, sfida per un futuro condiviso (Meltemi 2021).
L’AUTORE
Fabio Massimo Parenti è attualmente Foreign Associate Professor di Politica Economica Internazionale alla China Foreign Affairs University, Beijing. In Italia insegna all’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici a Firenze, è membro del think tank CCERRI, Zhengzhou, e membro di EURISPES, Laboratorio BRICS, Roma. Il suo ultimo libro è “La via cinese, sfida per un futuro condiviso” (Meltemi 2021). Su twitter: @fabiomassimos