“Il rapporto tra l’alfabetismo e l’analfabetismo è costante, ma al giorno d’oggi gli analfabeti sanno leggere” E. Montale
di Niccolò Morelli – Cosa si intende con l’espressione analfabetismo funzionale? Con questo termine si indicano persone che, nonostante abbiano ricevuto un’istruzione di base e sappiano leggere e scrivere, non sono più in grado di usare efficacemente queste tecniche per il proprio sviluppo cognitivo.
Secondo la definizione di Piaac (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) pubblicata sul sito dell’Ocse, queste persone non riescono a “comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità“. Coloro che rientrano in questa definizione sono incapaci di ricostruire ciò che hanno ascoltato, letto, o guardato in tv. Colgono barlumi, lampi di parole privi di significati e di logica e molto spesso, e sta qui il dramma, neanche se ne accorgono.
Rifacendosi all’indagine Piaac, quello che emerge è che nonostante i tassi di alfabetizzazione sfiorino il 100% in Italia, la percentuale di analfabeti funzionali è per distacco la più alta di tutta Europa.
Questo fenomeno è dovuto essenzialmente a due ragioni di fondo: la prima è che gran parte degli over 55 non ha usufruito dell’educazione obbligatoria, fondamentale per la creazione di una mente recettiva, la seconda ragione sta nel fatto che se quelle poche competenze di cui si dispone non vengono coltivate con la lettura o con qualsiasi altro esercizio che stimoli la capacità intellettiva, rischiano di essere perse. Un altro elemento che spesso ricorre, oltre al dato relativo all’età, nel delineare un identikit dell’analfabeta funzionale è la sua distribuzione sull’intero territorio nazionale; difatti le percentuali più alte si riscontrano al Sud e a Nord-Ovest dell’Italia. La regione più analfabeta funzionale è la Basilicata, con il 13,8%, seguita dalla Calabria (13,2%).
Al contrario però, a conferma che l’istruzione (specialmente quella superiore e universitaria) determina una certa emancipazione culturale, alcune di queste regioni hanno un alto tasso di laureati: la Calabria, per esempio, ha più laureati della Lombardia, del Piemonte, dell’Emilia Romagna e del Veneto. Catania con l’8,4% è la grande città più analfabeta d’Italia seguita da Palermo (7,4), Bari (6,7) e Napoli (6,2).
Un ulteriore dato che merita particolare rilievo è quello rappresentato dalla quantità di libri presenti nelle case delle persone; difatti una delle domande più frequenti del questionario Piaac sull’individuazione degli analfabeti funzionali è questa: “Quanti libri erano presenti in casa tua quando avevi 16 anni?”. La risposta a questa domanda può seriamente fare la differenza poiché, si legge nel report, nel nostro Paese il 73% dei low skilled è cresciuto in famiglie in cui erano presenti meno di 25 libri. L’assenza di un livello base di competenze può rappresentare un serio pericolo per i giovani, cioè quello di cadere in un infame circolo vizioso che rende difficilissime le ulteriori attività di apprendimento di qualsiasi livello, dalle scuole medie all’università.
A tal proposito va anche sottolineato che secondo i dati Ocse relativi al 2015, un giovane italiano su sei (dai 10 ai 18 anni) non comprende a pieno il significato di ciò che legge a causa dell’influenza che internet e in particolare i social network hanno sulle menti e sulle abitudini dei più giovani. Comunicare costantemente con brevi messaggi istantanei o leggere tweet formati da poche frasi crea delle difficoltà evidenti nell’uso della punteggiatura, della stesura di testi scritti e in generale nella rielaborazione critica di ciò che si legge.
Ma se per i giovani la strada più logica per non cadere nell’analfabetismo funzionale è chiaramente rappresentata dal proseguimento degli studi, cosa può salvare un cittadino italiano di mezza età? La strada più ovvia, e meno battuta, è quella di un ritorno sui banchi di scuola, ma sembra che anche partecipare attivamente al mondo del lavoro abbia effetti più che positivi. Difatti la più grossa fetta di analfabeti funzionali si trova tra coloro che svolgono professioni a bassa specializzazione, lavori meccanici e ripetitivi che inevitabilmente tendono ad addormentare i processi mnemonici di apprendimento; al contrario, le “skilled occupation”, che abbracciano ambiti scientifici, letterari e artistici, garantiscono un allenamento costante delle funzioni mentali di elaborazione dei contenuti.
La democrazia ha assoluto bisogno di persone che sappiano leggere, scrivere e capire più di qualche frase senza distrarsi, ne va della tenuta stessa della società.
Purtroppo però, a guardare i dati, sembra che il tessuto italiano aiuti la diffusione dell’analfabetismo funzionale, infatti tra i punti deboli del nostro Paese ci sono realtà come l’abbandono scolastico precoce, giovani che non lavorano o vivono condizioni di lavoro nero e precario, ma soprattutto la disaffezione alla cultura e all’istruzione, che caratterizza (ahinoi) tutta la popolazione.
Un Paese in cui una buona fetta di adulti è rappresentata da analfabeti funzionali che hanno difficoltà a distinguere le notizie vere da quelle false, corre il rischio di essere terreno fertile per politici (o presunti tali) che sfruttando l’ignoranza di molti come un’arma, sono pronti a conquistare la guida del Paese a suon di slogan e a muovere rivolte a colpi di bugie e fake news. Come afferma il professor Eugenio Iorio dell’università Suor Orsola di Napoli infatti, 3 cittadini italiani su 5 non riescono a distinguere la veridicità di una notizia mentre 4 su 5 non distinguono un profilo fake da uno vero; e se questo vale per i neofiti del web, cioè coloro che si sono approcciati a queste tecnologie in età adulta, per le nuove generazioni, i rischi non sono certo minori.
Tutto questo rappresenta un dramma sociale troppo spesso sottovalutato, che se non preso con le dovute precauzioni, rischia di gettare un’ombra nefasta sui nostri principi democratici. Occorre trovare una soluzione al più presto, prima che sia troppo tardi.
Se i nostri padri costituenti potessero vedere il degrado culturale che aleggia oggi nel nostro paese, da alcuni elettori a certi politici, riformerebbero con limiti decisamente stringenti l’articolo 48 della Costituzione. Ma questa è un’altra storia.
Per chi volesse approndire a questo link è possibile scaricare il rapporto dell’autore, Niccolò Morelli, dal titolo: “Libera Disinformazione: Come analfabetismo funzionale e social network stanno influenzando il voto degli italiani”
L’AUTORE
Niccolò Morelli, classe 1993, nasce ad Empoli ma vive tra le colline toscane di Vinci, il paese che dette i natali al genio di Leonardo. Nel 2018 si laurea in Scienze Politiche all’Università di Firenze e due anni dopo consegue il diploma di Master in Scienze del lavoro, frequentato per metà all’Université catholique de Louvain in Belgio, con una tesi dal titolo “Digitalizzazione e robotizzazione: verso un futuro senza lavoro?”.