di Niccolò Morelli – “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Sembra assurdo, ma il manifesto politico dei prossimi 30 anni ci è stato consegnato a metà del 1700 da Lavoisier, scienziato conosciuto anche per essere stato il padre della chimica moderna. Il significato intrinseco di quella frase sta alla base della Transizione Ecologica; Il tempo di sfruttare, sprecare e disperdere è terminato, adesso occorre trasformare, attraverso la transizione di energie e risorse da una parte all’altra, da un settore all’altro, da una vita all’altra.
Quando parliamo del problema rappresentato dalla plastica occorre tener presente che è doveroso muoversi su due binari paralleli. Da una parte, l’obiettivo a lungo termine, dev’essere quello di procedere verso una drastica riduzione dei materiali derivati dal petrolio e la loro progressiva sostituzione con le rispettive alternative green come la bioplastica di canapa o il legno liquido. Parallelamente però, si devono trovare delle soluzioni ingegnose e immediate per riutilizzare la plastica scartata che altrimenti finirebbe per inquinare l’ambiente ed avvelenare i mari. Come? Una sorprendente soluzione ci arriva dall’altra parte del mondo: EcoDomum.
Messico, 2017. Dall’intuizione di Carlos Daniel González, fondatore e CEO dell’omonima startup, nasce un progetto che cerca di risolvere due difficili problemi: povertà e plastica.
La società EcoDomum si occupa di comperare la plastica dai centri di raccolta (il Messico si classifica al dodicesimo posto tra i maggiori consumatori di plastica, con un consumo medio di 5 milioni di plastica l’anno) dopodiché procede a smistare quella utilizzabile da quella che, invece, bruciando produce fumi tossici. Una volta separata, la plastica, viene “fusa” alla temperatura di 350° gradi centigradi e successivamente fatta scorrere all’interno di una pressa idraulica che comprimendo e raffreddando il materiale, lo trasforma in pannelli, da 2 metri per uno, con uno spessore di due centimetri.
Come si intuisce facilmente, questi pannelli vengono utilizzati per costruire, in apposite aree, vere e proprie abitazioni da 50 metri quadrati circa, dotate di bagno, soggiorno, cucina e camere. Data la leggerezza della plastica e la sua capacità di resistere nel tempo, le abitazioni di EcoDomum vengono costruite in una settimana e possono durare oltre 100 anni. Grazie anche ad un programma di sussidi per l’eco-edilizia abitativa, queste case vengono assegnate a prezzi praticamente abbattuti, circa 5000 pesos (250 euro) ad abitazione, alle famiglie più povere che in Messico sono 11,5 milioni di persone (il 10% della popolazione). EcoDomum, in questo modo, ha già realizzato più di 500 case di plastica riciclata in tutto il Messico, e l’azienda ha stretto una partnership con i raccoglitori locali di immondizia per garantirsi un costante approvvigionamento di materie prime. Se continua di questo passo, l’azienda riciclerà circa 5,5 tonnellate di rifiuti di plastica in un solo giorno. L’obiettivo del giovane imprenditore di aiutare più persone ad avere una vita dignitosa e al contempo ripulire il paese è un meraviglioso esempio di una transizione ecologica a disposizione del pianeta e dei suoi abitanti.
E in Italia? In primo luogo verrebbe da dire che il nostro paese non ha un problema così massiccio né di plastica né di povertà estrema. Sicuri? Secondo una relazione diffusa lo scorso anno dal WWF, i dati riguardanti il consumo di plastica pro-capite nel nostro Paese sono allarmanti. Ogni 5 giorni, un italiano produce in media 1KG di rifiuti plastici. Tanta, troppa roba soprattutto a fronte del fatto che su scala europea il 40% della plastica viene persa e non avviata al riciclo. Inoltre secondo l’ISPRA, ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica nel mondo finiscono in mare, di questi il 7% nelle acque del Mediterraneo. Nel Golfo di Napoli sono stati trovati 120.000 oggetti di plastica per chilometro quadrato, nel Mar Ligure addirittura 150.000.
Il WWF avverte che “nei prossimi 15 anni la produzione di rifiuti plastici potrebbe aumentare del 41% a causa dell’accelerazione della produzione di materie plastiche dovute al calo dei costi di produzione“. Se non invertiamo i trend attuali, da oggi al 2030 rischiamo che aumentino del 50% le emissioni di Co2 dovute alla plastica e triplichino quelle derivanti dal suo incenerimento. I numeri sulla produzione pro capite di plastica sono impressionanti e li riassume il report “Responsabilità e rendicontazione, le chiavi per risolvere l’inquinamento da plastica” prodotto dal WWF: 396 milioni le tonnellate di plastica vergine che vengono prodotte su scala globale ogni anno, circa 100 milioni di tonnellate (pari a un terzo dei rifiuti plastici prodotti, che ammontano a 310 milioni di tonnellate) sono quelle che vengono disperse in natura al mondo per colpa della scorretta gestione della filiera della plastica (dalla produzione, al consumo, al riciclaggio, allo smaltimento).
Sul fronte della povertà invece, se è vero che in Italia non esiste un problema strutturale di senzatetto (sono lo 0,08% della popolazione) i dati sulla povertà fanno rabbrividire. Secondo l’Istat sono quasi 1,7 milioni le famiglie in condizione di povertà assoluta con una incidenza pari al 6,4% (7,0% nel 2018), per un numero complessivo di quasi 4,6 milioni di individui. Questo senza aggiungere i dati sulla povertà relativa, che vedono un bacino di altre 3 milioni di famiglie.
Dunque, seppur con numeri e dinamiche diverse, un progetto simile a EcoDomum potrebbe funzionare anche nel nostro paese aiutando, da una parte, a smaltire tonnellate di plastica che invadono i fondali dei nostri meravigliosi mari, garantendo loro una seconda vita come pannelli per moduli abitativi e dall’altra dando il via alla nascita di un settore di eco-edilizia che potrebbe essere impiegato, se non per abitazioni civili, per ampliare e rinnovare le strutture ricettive per i migranti come il cara di Mineo o di Crotone (famosi per le condizioni al limite dell’umano delle loro strutture di accoglienza) e per costruirne di nuovi o, in alternativa, come nuclei abitativi di emergenza per situazioni legate a disastri idrogeologici come frane, alluvioni e terremoti.
Le risposte alle dure sfide che ci attendono nei prossimi anni ci sono, basta avere il coraggio di cogliere, per una volta.
L’AUTORE
Niccolò Morelli, classe 1993, nasce ad Empoli ma vive tra le colline toscane di Vinci, il paese che dette i natali al genio di Leonardo. Nel 2018 si laurea in Scienze Politiche all’Università di Firenze e due anni dopo consegue il diploma di Master in Scienze del lavoro, frequentato per metà all’Université Catholique de Louvain in Belgio, con una tesi dal titolo “Digitalizzazione e robotizzazione: verso un futuro senza lavoro?”.