Nel 2021 le istituzioni finanziarie hanno investito oltre 1.200 miliardi di dollari nell’industria del carbone. Lo rivela l’analisi finanziaria della Global Coal Exit List, redatta dalla Ong tedesca Urgewald, dalla francese Reclaim Finance e da 350.org Giappone insieme ad altre 25 realtà internazionali, tra cui l’italiana ReCommon.
La Global Coal Exit List ha preso in esame 1.032 società del settore carbonifero e i rispettivi sostenitori finanziari: banche, fondi di investimento, asset manager. In base ai dati raccolti nella ricerca, risulta che nel 2021 le istituzioni finanziarie abbiano investito oltre 1.200 miliardi di dollari nell’industria del carbone. Un aumento molto preoccupante rispetto al 2020, quando i soldi investiti superavano di poco 1000 miliardi di dollari.
Le banche di soli 6 paesi – Cina, Stati Uniti, Giappone, India, Regno Unito e Canada – sono state responsabili dell’86% dei finanziamenti complessivi per l’industria del carbone.
Un totale di 376 banche commerciali hanno fornito 363 miliardi di dollari sotto forma di prestiti all’industria del carbone. Solo 12 banche contano però per il 48% del totale dei prestiti alle società presenti nel Global Coal Exit List. Guidano questa poco onorevole classifica le tre banche giapponesi Mizuho Financial, Mitsubishi UFJ Financial e SMBC Group, seguite da Barclays (Regno Unito) e Citigroup (Stati Uniti).
Ironicamente, dieci di queste fanno parte della Net-Zero Banking Alliance, in cui rientrano anche le italiane Intesa Sanpaolo e UniCredit, che fra il 2020 e il 2021 hanno aumentato sensibilmente il loro sostegno all’industria del carbone. In particolare, l’istituto torinese ha quadruplicato i suoi finanziamenti tra il 2020 e il 2021, passando da 449 milioni a 2,1 miliardi di euro, mentre UniCredit cresce da 1,36 a 1,71 miliardi di euro. Stesso trend per gli investimenti, soprattutto quelli della prima banca italiana: da 778 milioni a 1,35 miliardi di euro tra il 2020 e il 2021.
«Le organizzazioni della società civile, i regolatori finanziari e gli stessi investitori devono smascherare le pratiche di greenwashing e mettere alle strette gli istituti di credito più importanti del Pianeta, affinché smettano di finanziarie il carbone. L’ipocrisia nascosta dietro vaghi impegni di net-zero e sostenibilità è inaccettabile», ha affermato Daniela Finamore di ReCommon.