Condivido e faccio mia la lettera che ho ricevuto dalla nostra consigliera Grazia Di Bari sulla burrata di Andria, un’eccellenza che racchiude anni di tradizione, lavoro, storia gastronomica, e come tale va tutelata.
Caro Beppe,
la burrata di Andria è un grande tesoro della gastronomia pugliese: un piccolo scrigno di latte, una sacca voluttuosa di pasta filata ripiena di un composto morbido di sfilacci di pasta filata e panna, chiamata stracciatella, un termine che descrive lo sfilacciamento della pasta filata, che viene stracciata a mano. Questo gioiello della tradizione casearia andriese è il frutto di una lavorazione manuale che prevede passaggi scanditi nel tempo, che la tradizione e la sapienza dei maestri pugliesi hanno filato – è il caso di dirlo – in anni di produzione artigianale.
L’invenzione della burrata si ricollega al lavoro del maestro Lorenzo Bianchino, che operava in un’antica masseria nei primi decenni del secolo scorso. Secondo ciò che si racconta, a causa di una forte nevicata, il maestro casaro non poteva trasferire il latte in città e aveva la necessità di utilizzare e non sprecare le materie prime di cui disponeva. Con latte e panna pensò di replicare il concetto di produzione delle mantéche, involucri di pasta filata stagionata in cui è conservato il burro, provando ad adattare questo principio ad un prodotto fresco. Quindi mescolò i residui della lavorazione della pasta filata con della panna richiudendo il tutto in un involucro fatto anch’esso di pasta filata, donandole la caratteristica chiusura apicale.
In Puglia e ad Andria da sempre conosciamo il valore gastronomico di questo prodotto. La burrata aveva per noi un valore sentimentale: lo consideravamo un prodotto tradizionale, un cibo immancabile dei pranzi della domenica, un bene di conforto delle grandi riunioni familiari, delle feste di città e di campagna e il protagonista di moltissime sagre. Ciò che per noi era un prodotto tradizionale da esaltare, per altri è diventato una colonna della propria produzione, talvolta un ingrediente casuale per completare un altro prodotto, o una qualunque crema da inserire in un tortello, oppure ancora un formaggio generico.
Il nostro Sud non è più una terra arretrata: ci sono tante storie di imprenditoria, di artigianato e di industria moderna che possono raccontare l’evoluzione della nostra terra. Ma è anche vero che è ancora difficile difendere i prodotti della nostra tradizione e mettere intorno allo stesso tavolo tanti produttori che pensano ancora di poter sfidare il mercato in autonomia. Personalmente, apprezzo quelle imprese che riescono a fare squadra, sostengo quei produttori che riescono a intrecciare il loro lavoro per far fronte comune davanti a nuove sfide, che li sovrasterebbero singolarmente. Per questo ho osservato con piacere il lavoro del Consorzio di Tutela della Burrata di Andria, che a partire dal novembre del 2016 è riuscito, con un lavoro di squadra con le istituzioni, ad ottenere il riconoscimento di Indicazione Geografica Protetta (IGP) della burrata di Andria. E se il marchio e il nome del prodotto riconducono ad una specifica realtà cittadina, il legame della produzione, secondo il disciplinare, ricollega tutto alla realtà regionale pugliese.
Come immaginerai, però, scontiamo un gap che va ricucito: la burrata oggi viene prodotta indistintamente in Puglia, in Abruzzo, in Lombardia e non con il risultato finale che immaginerai o che tutti conosciamo. Non è la burrata che vediamo sulle tavole tradizionali pugliesi, né è la regina di molti menu stellati, non ha lo stesso processo di lavorazione, non nasce dalle stesse mani che hanno alle spalle anni di lavoro specializzato. Quello che viene prodotto fuori dalla Puglia è un ingrediente, un qualunque formaggio, prodotto e commercializzato chissà come anche in Europa, negli Stati Uniti, nel mercato asiatico, apparentemente senza controlli. Secondo Assolatte, la produzione nazionale di 5000 tonnellate nel 2019 ha portato ad un incremento del 17,5% della presenza del prodotto nella GDO.
Oggi assistiamo ad un processo di completa meccanizzazione della produzione di burrata, motivo per cui sono sorte le produzioni extra pugliesi nazionali ed internazionali, che prevedono la completa esclusione della manodopera specializzata – cioè di casari esperti- e che permettono l’immissione sul mercato di un prodotto a basso costo che della burrata riporta solo impropriamente il nome ma che nulla hanno a che vedere con il prodotto originale.
Ci hanno sfilato il nome e non abbiamo le armi per difenderlo.
Io penso che se la politica può prendersi un impegno è quello di ridurre le distanze fra le istituzioni e le imprese, fra le imprese e i cittadini e fra i prodotti e i mercati. Io penso ci sia innanzitutto un problema di confronto e dialogo tutto interno ai produttori della Puglia. La Burrata di Andria ha un’origine, lega il suo nome alla mia città, ma è evidente che in ogni documento ufficiale che ne disciplina l’origine, la lavorazione e le proprietà si fa riferimento alla produzione complessiva pugliese. In Regione Puglia ci stiamo sforzando, coinvolgendo le parti, di mettere attorno ad un tavolo i produttori della burrata, che facciano parte del Consorzio o che abbiano scelto di fare un percorso diverso. Questo perché comprendiamo il rischio di una svalutazione non solo economica ma anche culturale del prodotto finale, così come è già nei fatti di non poter competere con altri mercati se non tuteliamo in ogni sede il nome e il processo di lavorazione della burrata. Se non apprezziamo e difendiamo la lavorazione a mano, la professionalità del nostro artigianato anche gastronomico, se non capiamo i decenni di lavoro e specializzazione dietro il prodotto finale, non ci sarà valore o strategia di marketing possibile per tutelare il legame fra la Burrata e la Puglia.
Coltivo un altro obiettivo, che penso di condividere anche con i miei colleghi portavoce, con altre forze politiche e con le istituzioni della mia Regione: se la politica e le istituzioni riescono a creare quel clima di fiducia e di sostegno a produzioni come queste, sarà possibile creare quel circolo virtuoso delle materie prime necessarie a completare questa e altre lavorazioni tradizionali. Un concetto – ne sono certa – che può essere replicato a livello nazionale, per le produzioni gastronomiche pregiate. I gioielli di famiglia possono essere anche scrigni buonissimi di pasta filata.