di Giovanni De Palma – La diplomazia, nella sua accezione più classica, è definita come “l’arte di negoziare, per conto dello Stato, affari di politica internazionale”. In concreto, è l’insieme dei procedimenti attraverso i quali uno Stato mantiene le relazioni con altri attori internazionali. Il suo obiettivo è quello di favorire gli interessi nazionali a livello internazionale.
Essa svolge una triplice funzione: la funzione di rappresentazione (che oggi è in diminuzione data la riduzione delle distanze dovute ai nuovi mezzi di trasporto che consentono al ministro (o comunque al rappresentante politico) di rappresentare lo Stato senza intermediazione, anche a distanza; la funzione di informazione, fortemente in diminuzione a causa della velocità e la facilità con cui è possibile oggi scambiare informazioni anche a distanza, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione; e la funzione di negoziazione, che è invece fortemente in crescita, vista la grande abilità dei diplomatici nello svolgere tale attività. Infatti, spesso il politico è chiamato solo ad apporre la firma finale ad un trattato o a un successo diplomatico che ha dietro di sé un enorme lavoro durato mesi o addirittura anni.
Sappiamo per certo che la diplomazia è mutata molto nel corso della storia, per struttura, per processo e per agenda. Dall’antica Roma, al Medioevo fino ad arrivare al sistema vestfaliano che ha portato alla creazione di Stati-Nazione, ha subito enormi mutazioni ed evoluzioni, fino a raggiungere la massima organizzazione con il Concerto Europeo (1815). Cosa che porta a consolidare il servizio diplomatico in quanto professione autonoma e segreta, anche se con l’affermarsi della borghesia l’opinione pubblica comincia ad assumere un peso sempre crescente. Questo tipo di diplomazia ha però bruscamente fine con la Grande Guerra, il cui scoppio è attribuito da molti proprio ad errori diplomatici. Dalle ceneri della Prima Guerra Mondiale nasce così una diplomazia profondamente mutata nella struttura: si aggiungono nuovi attori internazionali; nel processo: non più segreto, ma sottoposto al controllo dell’opinione pubblica e con la nascita dei negoziati multilaterali; e nell’agenda, che diventa svincolata dagli interessi del sovrano, allargandosi a problemi tecnici e diventando più specializzata, cosa che naturalmente richiede nuove competenze.
Chi ha studiato o letto nella propria vita manuali di Relazioni Internazionali (RI) sa che esistono tre livelli di analisi, teorizzati dal padre della dottrina norealista Kenneth Waltz, per comprendere al meglio avvenimenti di politica internazionale: il primo è quello relativo agli individui e i gruppi responsabili delle decisioni politiche (si studiano la psicologia e i rapporti tra gli attori in quanto persone che fanno la storia); il secondo si concentra sugli apparati statali e sulla società nel suo insieme, dando così preminenza a fattori interni di natura politica, sociale ed economica; il terzo livello di analisi è detto “sistemico” perché riguarda il sistema internazionale nel suo insieme: l’analisi è concentrata sulla struttura del sistema internazionale, intesa come distribuzione del potere tra le grandi potenze. È come se si guardasse l’avvenimento storico o il momento politico dall’alto, con una prospettiva a volo d’uccello, analizzando il sistema internazionale nel suo insieme (approccio olistico).
Nell’ultimo decennio, ai tre livelli di analisi di Waltz, alcuni studiosi hanno aggiunto altri livelli, che si pongono al di sopra di quello internazionale o sistemico. Tra i nuovi livelli ritengo particolarmente utili i due suggeriti da Walter Clemens:
- Il livello transnazionale, che è focalizzato sui rapporti e sul ruolo degli attori non-Stato, per lo più aziende transnazionali, ossia aziende che agiscono in più Stati, senza esserne legate ad uno in particolare, spesso chiamate erroneamente “multinazionali” (vedi il caso FCA-Fiat, ad esempio) e che hanno assunto un potere tale, da poter trattare da pari con Stati molto potenti (vedi Apple con gli USA quando hanno negato all’FBI i dati dei propri utenti, nel 2016 e ancora nel 2020). Ma altri attori non statuali possono essere anche il terrorismo internazionale o organizzazioni mafiose che agiscono a livello transnazionale.
- Il livello della biosfera o ecosfera, che è quello che interessa a noi in questa sede.
Con il termine eco/biosfera si indica l’involucro vitale del nostro pianeta: quella sottile membrana fatta di minerali, acqua, flora, fauna e atmosfera che rende possibile l’esistenza umana. Sull’importanza politica che hanno assunto oggi i problemi connessi con l’ambiente, c’è sostanziale accordo tra gli esponenti dei maggiori paradigmi teorici delle RI. Le pressioni demografiche da una parte e la scarsità delle risorse e l’inquinamento ambientale dall’altra ci ricordano che le RI, come del resto tutta l’attività umana dipendono in larga misura dalle condizioni di questa sfera. Dunque questo livello di analisi esiste per comprendere problemi che vanno oltre la sfera internazionale o transnazionale e sono comuni a tutti noi, non in qualità di cittadini di uno Stato, ma in quanto cittadini del Pianeta Terra.
L’ambiente, cioè l’insieme delle risorse indispensabili a garantire la vita di tutte le specie viventi presenti sulla Terra, è il miglior esempio di bene collettivo: esso è indivisibile e non è appropriabile, cioè non può essere trasformato da consumo pubblico a consumo privato. E dovrebbe essere una forza unificante i popoli del mondo.
Numerosi e complessi sono i problemi ecologici: la crescita della popolazione che rende insufficienti le risorse naturali come il petrolio e l’acqua; la biodiversità degli animali e delle piante che è costantemente minacciata; le varie forme di inquinamento fra cui smog e polveri sottili, pioggia acida e inquinamento dei fiumi e dei mari; rifiuti tossici e pericolosi, difficilmente smaltibili. Da tener presente, infine, che l’ecosistema globale oltre che essere potenziale forza unificante dei popoli è allo stesso tempo causa di disastri naturali come terremoti, inquinamento radioattivo, tsunami, tifoni, uragani, inondazioni, ma soprattutto mezzo di trasmissione di pandemie come l’AIDS, la SARS, l’influenza aviaria, in passato, e soprattutto il Covid-19 in questo preciso periodo storico, che ci ha mostrato perfettamente quanto questo livello di analisi sia fondamentale per risolvere problemi comuni a tutti i cittadini della Terra, nessuno escluso.
Purtroppo non è ancora sufficientemente diffusa la consapevolezza tra i policy maker e nell’opinione pubblica che sia le azioni internazionali sia quelle transnazionali possono salvaguardare o danneggiare la biosfera: se l’uomo preserva le foreste e la fascia di ozono, se protegge la biodiversità ecc., allora egli migliora la possibilità di vita del pianeta; comportamenti opposti, al contrario, le mettono in grave pericolo.
Tutto ciò prende forma in quello che forse è il più lucido documento politico che tratta di Ambiente mai scritto da un capo di Stato: l’enciclica Laudato sì di Papa Francesco. Non uno scritto unicamente religioso e legato alla sfera spirituale. Tutt’altro, si tratta di uno scritto quasi scientifico con proposte e soluzioni per la tutela dell’ambiente a lungo termine. Il Papa in questa enciclica collega la crisi ecologica a quella sociale, proclamando la necessità di un’alleanza tra scienza e religione per la cura della Terra, definita dal Pontefice “la casa comune ferita dall’uomo”. Si condanna il “paradigma tecnocratico imposto dalla globalizzazione neo-mercatista”, secondo cui il potere tecno-finanziario soffoca l’economia reale e questa sottomette la politica; e si sottolinea che alle culture locali non bisogna imporre “uno stile egemonico legato ad un unico modo di produzione, che può essere nocivo quanto l’alterazione degli ecosistemi”. Insomma, un vero e proprio manifesto politico con dati scientifici e soluzioni da intraprendere per salvare il Pianeta, senza far mancare critiche, anche dure, allo status quo e ai responsabili di tale situazione: i fautori della globalizzazione senza freni e della finanziarizzazione dell’economia.
In tutto questo quadro nasce il concetto di eco-diplomazia (o biodiplomazia), ossia una diplomazia dedicata allo sviluppo integrato, sostenibile e intelligente del Pianeta Terra e dell’umanità, che agisce attraverso la cooperazione internazionale tra nazioni, promuovendo la “bio-economia”, il welfare globale (che sia uguale per tutti gli abitanti della Terra) e la qualità della vita attraverso l’uso razionale e innovativo delle risorse ambientali.
Sono questi a mio avviso i compiti che la diplomazia, e quindi gli Stati e gli altri attori globali dovrebbero portare a termine prima di ogni altro, se vogliamo tutelare davvero la “casa comune” che, non dimentichiamolo mai, è stata “ferita dall’uomo”. E sta a noi, in quanto cittadini di questa stessa casa, ora porre rimedio ai problemi che abbiamo generato e farlo subito, prima che sia troppo tardi.
L’AUTORE
Giovanni De Palma, laureato in Lingue, lettere e culture comparate (inglese e giapponese); e in Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa con focus sul Giappone (con tesi sulla strategia di sicurezza nazionale del Giappone di Abe); Master SIOI in Studi Diplomatici e Politici. Iamatologo e Orientalista. Si occupa di comunicazione social e political advisoring.