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In gioventù trafugava i crani dei cadaveri dai cimiteri di campagna per poi studiarne con comodo la conformazione. Ai contadini che, ignari, gli chiedevano cosa trasportasse con sé rispondeva: “Zucche“. Il ragazzo dei cimiteri fece carriera. Si chiamava Cesare Lombroso. Si fece le ossa come medico militare durante la lotta al brigantaggio da parte dell’esercito sabaudo. Una guerra di occupazione in cui furono uccisi decine di migliaia di meridionali. Molti dei loro cadaveri furono fonte di ricerca per Lombroso che riuscì a identificare nella struttura dei crani le ragione della malvagità, dell’anarchia, del ribellismo.
Per Lombroso criminali si nasce, non si diventa. E’ tutto scritto nella nostra fisionomia. Lo scorso anno la pseudoscienza lombrosiana è uscita dalle cantine universitarie in cui era sepolta e grazie all’Università di Torino, alla Regione Piemonte e al Comune di Torino ha trovato una degna collocazione nel nuovissimo “Museo di Antropologia criminale Cesare Lombroso” in via Pietro Giuria 15 a due passi dal Parco del Valentino. L’esposizione dei macabri reperti, tra i quali quelli di briganti meridionali, coincide con il 150 anniversario dell’Unità d’Italia. Le scolaresche torinesi possono ammirare la “fossetta anomala” del cranio del brigante Villella, una prova per lo pseudoscienziato Lombroso della teoria dell’atavismo, base concettuale dell’identificazione del delinquente nato. La guida al Museo a pagina 57 così riporta la presenza del cranio del brigante: “Sala 5 – Il cranio del Villella: “La grande scoperta”. E’ nuovamente la voce di Lombroso che racconta al pubblico la sua scoperta “decisiva”: quell’unica particolare conformazione cranica rinvenuta dallo scienziato (?) e utilizzata a comprova delle proprie teorie. Per evidenziare questo aspetto, cioè l’utilizzo di una “eccezione” a dimostrazione della fondatezza della teoria, l’allestimento presenta il cranio in questione inserito in una vetrina in serie con altri crani, ma in una posizione più evidente. Sul fondo della sala sono esposti oggetti della collezione dedicati all’atavismo, alle piante carnivore, ai crani di animali“.
Il cranio del brigante era usato come soprammobile da Lombroso che lo teneva sulla scrivania del suo studio. Un luogo ricostruito nel Museo dove la voce del collezionista di ossa “traccia un bilancio della propria esperienza scientifica“. Lo studio è “l’occasione per conoscere lo stile e i personaggi di uno dei salotti più importanti della belle époque“.
Le ossa dei cosiddetti briganti, spesso patrioti borbonici, talvolta contadini renitenti alla leva (assente nel Regno delle Due Sicilie) come Nicola Napolitano, il cui corpo è esibito in una foto risorgimentale con accanto un bersagliere, devono riposare in pace nei cimiteri dei loro paesi di origine.
Il razzismo sociale non ha bisogno di un Museo alla memoria con il contributo dello Stato. Lombroso va sepolto con la sua storia. “L’indagine lombrosiana tesa a scoprire quale grande monstrum si celi dietro il ladruncolo o il brigante. Derivando una propensione innata a delinquere dalla struttura anatomica dell’individuo o più semplicemente dall’appartenere a una determinata razza si profila la nuova figura del delinquente nato…(guida al Museo pag75).“.