Dieci anni fa, l’11 dicembre 2001, la Cina diventò Stato membro del World Trade Organization (WTO). Da allora la parola globalizzazione è una dura realtà per tutti. Il WTO è l’ennesima organizzazione sulla quale il cittadino non ha alcun controllo, ma che decide della sua vita. Un manipolo di burocrati detta, con il concorso delle lobby e delle multinazionali, le regole del commercio mondiale. Il suo direttore generale è Pascal Lamy, un illustre sconosciuto per i più. Chi lo ha eletto? Una media impresa di Vicenza o di Forlì può chiudere i battenti per una sua decisione. Il WTO include 153 Stati, per gli altri non rimane che l’embargo. Il WTO è nato per favorire la libera circolazione delle merci e dei servizi, ma di fatto ha favorito la libera circolazione dei capitali di investimento. Le multinazionali hanno spostato la produzione dove costava di meno. In Paesi dove la parola “sindacato” non esiste neppure sul vocabolario, dove non vi sono regole contro l’inquinamento dell’ambiente da parte delle fabbriche, dove salari dignitosi e tutele per i lavoratori sono una chimera, ma dove c’è offerta di manodopera a basso e bassissimo costo. Anche infantile volendo. La competizione internazionale si può fare a parità di regole e di diritti per i lavoratori, altrimenti diventa una riserva di caccia per imprenditori senza scrupoli. Come puoi competere contro chi non ha diritti? Pensarlo è una follia o una presa per i fondelli.
Licenzi in patria, produci a pochi euro al giorno con i nuovi schiavi e poi vai nei salotti televisivi a spiegare l’economia. Che mondo meraviglioso e del cazzo ha creato il WTO. Chi detiene il capitale ha ottenuto in un colpo solo due risultati, calmierare a livello mondiale gli stipendi e le pretese di una vita migliore da parte dei lavoratori e aumentare i propri profitti. E’ la continuazione in altra forma delle navi negriere che trasportarono forza lavoro gratuita nelle piantagioni di cotone. Dalla creazione del WTO, nel 1995, la produzione si è spostata dove il capitale è più remunerato, ed è più remunerato dove la condizione umana è peggiore. Nel frattempo, nei Paesi che hanno perso decine di migliaia di aziende e milioni di posti di lavoro a causa della globalizzazione, come l’Italia, è esplosa (che sorpresa!) la disoccupazione. In sostanza si è globalizzato il capitale e si sono nazionalizzate le perdite e la disoccupazione. Il futuro, se non fermiamo questa deriva, la creazione dello schiavo globale diventerà realtà. Mangia, produci, crepa!
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