8 miliardi di tonnellate inquinano ormai ogni angolo del pianeta, dalla cima dell’Everest alle fosse oceaniche più profonde. Meno del 10% della plastica viene riciclato. La plastica mette a rischio l’uomo e l’ambiente in ogni fase del suo ciclo di vita: dall’estrazione dei combustibili fossili necessari per produrla, fino al suo utilizzo e smaltimento. Il processo genera inquinamento atmosferico, esposizione a sostanze tossiche e infiltrazione di microplastiche nell’organismo. (Vi ricordate cosa dicevo più di 30 anni fa? che lo spazzolino da denti ce lo ritroviamo nel branzino che mangiamo!) L’inquinamento plastico favorisce anche la diffusione di zanzare portatrici di malattie, che trovano nell’acqua stagnante dei rifiuti un habitat ideale per riprodursi.
Sono i risultati dello studio scientifico pubblicato sulla rivista The Lancet intitolato: “Il conto alla rovescia di The Lancet su salute e plastica”, diffuso in vista dell’ultimo round di negoziati tra gli Stati per definire un trattato globale vincolante contro l’inquinamento da plastica. Ma le trattative restano ostaggio di uno scontro profondo: oltre cento Paesi chiedono un tetto alla produzione globale, mentre le petro-monarchie e l’industria della plastica si oppongono, puntando tutto sul riciclo.
Lo studio descrive la situazione attuale come una vera e propria “crisi della plastica”, che provoca malattie e morti dalla nascita alla vecchiaia, con un costo sanitario annuo stimato in almeno 1.500 miliardi di dollari. La causa principale è la crescita vertiginosa della produzione globale. Dal 1950 a oggi è aumentata di oltre 200 volte e si prevede che triplicherà quasi di nuovo entro il 2060, superando il miliardo di tonnellate all’anno. A crescere di più non sono stati gli usi industriali o sanitari, ma le plastiche monouso, bottiglie, imballaggi e contenitori da fast food. “Conosciamo bene la portata e la gravità degli impatti sanitari e ambientali legati all’inquinamento da plastica”, afferma il professor Philip Landrigan, pediatra ed epidemiologo del Boston College, autore principale dello studio. Per lui è essenziale che il trattato includa misure concrete a tutela della salute umana e della Terra.
Le conseguenze, spiegano i ricercatori, colpiscono in modo sproporzionato le fasce più vulnerabili, soprattutto i bambini. Feti, neonati e giovani sono i più esposti ai danni; l’esposizione è associata a un aumento di aborti spontanei, parti prematuri, malformazioni congenite, ritardi nello sviluppo polmonare, tumori infantili e problemi di fertilità in età adulta. I danni non sono solo sanitari ma anche economici, l’esposizione a tre sostanze molto diffuse (PBDE, BPA e DEHP) genera da sola, secondo una stima, un costo sanitario di 1.500 miliardi di dollari l’anno in 38 Paesi.
Lo studio evidenzia che più del 98% della plastica viene ancora prodotta da fonti fossili, petrolio, gas e carbone. Il processo di produzione ad alta intensità energetica rilascia ogni anno circa 2 miliardi di tonnellate di CO₂, più di quanto emetta l’intera Russia. Oltre la metà dei rifiuti plastici non gestiti viene poi bruciata all’aria aperta, peggiorando l’inquinamento atmosferico. E i materiali plastici contengono oltre 16.000 sostanze chimiche, coloranti, ritardanti di fiamma, stabilizzanti e additivi, molte delle quali tossiche. Nessuno però è tenuto a dichiarare quali siano presenti nei singoli prodotti. Quando la plastica si degrada, si frammenta in micro e nano-particelle che entrano nell’organismo umano tramite acqua, cibo e respirazione. Sono state rilevate nel sangue, nel latte materno, nella placenta, nel cervello, nel midollo osseo e nel liquido seminale. Gli effetti di lungo periodo restano in parte ignoti, ma emergono già legami preoccupanti con patologie come ictus e infarti. Per questo i ricercatori raccomandano un principio di precauzione.
Petro-Stati e industria della plastica insistono sul riciclo come unica soluzione ma lo studio chiarisce che “il mondo non può uscire dalla crisi plastica riciclando”. A differenza di carta, vetro o alluminio, la plastica, per la sua complessità chimica, non è facilmente riciclabile. E considerarla economica è un errore, se si includono i danni ambientali e sanitari, il costo è altissimo. Questo studio scientifico è solo il primo di una serie di rapporti che monitoreranno l’impatto della plastica nel tempo. “Vogliamo offrire ai decisori politici dati indipendenti e solidi per sviluppare politiche efficaci a tutti i livelli”, ha dichiarato Margaret Spring, coautrice e giurista ambientale. Il rischio è ormai chiaro, e anche le responsabilità.





