Un nuovo studio pubblicato su “Appetite” Science Direct ha esplorato le ragioni psicologiche che portano le persone a rifiutare certi cibi, distinguendo tra disgusto e disgusto per il sapore (in inglese disgust e distaste), due reazioni spesso confuse ma in realtà molto diverse. I ricercatori si sono chiesti se le emozioni provate davanti a un cibo rifiutato dipendano dalla sua origine vegetale o animale. E i risultati sembrano confermare una teoria evolutiva secondo cui il disgusto sarebbe nato per proteggerci dalle infezioni trasmesse soprattutto dalla carne.
La ricerca, guidata dalla psicologa Elisa Becker dell’Università di Oxford insieme a Natalia S. Lawrence, ha coinvolto 309 partecipanti nel Regno Unito. La maggior parte erano vegetariani o persone con un’avversione dichiarata alla carne. I ricercatori hanno mostrato loro immagini di cibi diversi: verdure comunemente sgradite (come cavoletti di Bruxelles e olive), carni “normali” (pollo, manzo, maiale), cibi considerati ripugnanti (feci, carne di cane, carne umana) e un alimento neutro (pane). Ogni immagine è stata valutata su 12 dimensioni, tra cui la disponibilità a mangiarlo, il suo aspetto, il disgusto provato, la sensazione di contaminazione e il richiamo alla morte o all’offesa morale.
Il risultato è stato netto, chi rifiuta la carne lo fa con una reazione emotiva molto simile a quella provata davanti a immagini davvero ripugnanti come feci o carne umana. Le verdure, invece, venivano scartate per motivi legati al gusto, senza suscitare disgusto profondo.
In particolare, la carne rifiutata evocava un senso di “contaminazione ideativa”, cioè l’idea che anche una minuscola traccia potesse rovinare un intero piatto. Un’altra reazione comune era la difficoltà a immaginare quel cibo dentro il proprio corpo. Tutti segnali di disgusto profondo (core disgust), più che semplice fastidio. Le reazioni a carni come quella di cane o umana mostravano lo stesso schema emotivo.
La mappa emotiva creata dagli studiosi ha evidenziato due gruppi ben distinti: carne e sostanze ripugnanti da una parte, verdure dall’altra. Il pane, alimento neutro, risultava lontano da entrambi. Anche quando emergevano altri tipi di disgusto (come quello morale o il richiamo alla morte), il disgusto “viscerale” restava il più forte nel rigetto della carne.
Questi risultati rafforzano l’idea che il disgusto sia nato come un meccanismo di difesa evolutivo per proteggerci dalle infezioni, in particolare quelle presenti nella carne cruda o andata a male. Secondo Becker, è un vero e proprio sistema di allarme psicologico, utile a riconoscere ciò che potrebbe farci ammalare. La verdura non attiva questo sistema, perché storicamente non rappresentava la stessa minaccia per la salute.
Guardando al futuro, i ricercatori sperano di comprendere meglio come si sviluppano queste emozioni legate al cibo. “Vorrei capire come si sviluppano queste risposte emotive al cibo nel tempo”, ha affermato Becker. “Il disgusto non inizia a svilupparsi nei bambini fino ai 3-5 anni, età in cui la maggior parte di loro mangia già carne. Quindi, quando e come inizia il disgusto per la carne? Queste domande sono importanti se vogliamo promuovere diete più sane e sostenibili”.





