di Gunter Pauli – Il cemento è il materiale da costruzione più utilizzato al mondo. Non abbiamo stime precise recenti, ma pensate che nel 2013 il mercato mondiale del cemento ha toccato quota 246 miliardi dollari l’anno, per un volume totale di 3,5 miliardi di tonnellate di materiale da costruzione.
L’industria del cemento è altamente concentrata in poche mani. I cinque maggiori produttori mondiali controllano più della metà della produzione mondiale. Lafarge (Francia) è leader mondiale del mercato con un fatturato di 16,1 miliardi di dollari, davanti a Holcim (Svizzera) e CEMEX (Messico), numero tre al mondo.
Pensate che l’occupazione negli Stati Uniti è diminuita del 23% negli ultimi 20 anni. Ciò è dovuto principalmente alla ricerca di economie di scala, attraverso una dimensione sempre maggiore dei forni rotativi. Per farvi un esempio, FL Smith, leader mondiale danese, ha costruito il più grande forno a Tongling, in Cina, con una spettacolare capacità di 12.000 tonnellate di cemento al giorno.
Ma qual è il problema? L’industria del cemento rappresenta una delle fonti principali di emissioni di gas a effetto serra. Ogni tonnellata di cemento richiede 1,3 tonnellate di calcare, che viene riscaldato fino a 1450 gradi, rilasciando così CO2 e utilizzando 0,2 tonnellate di carbone e 100 kWh di elettricità.
Solo nel 2010 l’industria del cemento ha emesso circa 2,9 miliardi di tonnellate di CO2, rendendolo uno dei principali contributori al cambiamento climatico e rappresentando il 5% delle emissioni globali di gas serra prodotte dall’uomo. Una catastrofe.
Cosa si può fare?
L’Unione Europea ha sovvenzionato aziende che acquistano cementifici obsoleti e li riadattano con tecnologie pulite. Tuttavia, le tecnologie più ecologiche possono ridurre le emissioni di CO2 solo di un 20%. E dal momento che la quantità di cemento prodotto nel mondo aumenta, aumenta anche l’inquinamento generato.
Ma c’è una sfida ancora più importante che il cemento deve affrontare, la sua possibile chiusura.
Un giorno Anders Byström ha osservato un forno rotante che stava arrugginendo a Stora Vika, in una fabbrica di cemento a sud di Stoccolma.
Le imprese produttrici di cemento devono affrontare elevati costi di chiusura, ma per Anders gli impianti potevano essere convertiti in impianti di trattamento dei rifiuti solidi urbani. Si avete capito bene. Invece di bruciare carbone e lavorare il calcare, ha immaginato come l’intera struttura poteva ricevere rifiuti solidi urbani, rimuovendo prima tutti i metalli.
In questo modo tutti i rifiuti sarebbero potuti essere separati e riciclati, e il resto essere usato per produrre un compost pulito. Ed è proprio quello che ha fatto. Ha avviato un’unità pilota da una tonnellata al giorno. Questo piccolo tentativo ha attirato l’attenzione della Taiheiyo Cement, il più grande gruppo giapponese di cemento. Si è reso conto che questo poteva rappresentare una soluzione pratica al calo della domanda di cemento.
Sulla base di studi pilota, gli ingegneri di Taiheiyo Cement hanno concluso che il potere calorifico totale dei rifiuti solidi urbani poteva raggiungere un sorprendente 50% di quello del carbone.
Un investimento di 40 milioni di dollari ha permesso la creazione del primo impianto su scala industriale a Hidaka City, nella prefettura di Saitama, in Giappone. Un forno vuoto riceve tutti i rifiuti solidi urbani dall’impresa locale di gestione dei rifiuti. Ciò ha permesso alla città di non investire nella realizzazione in un impianto di incenerimento, né di cercare di ampliare la propria discarica.
Inoltre questo processo ha permesso di risparmiare 20 tonnellate di carbone al giorno. In più ha ridotto l’onere fiscale per i cittadini locali, migliorando nel contempo la qualità dell’aria.
Una delle strutture più sottoutilizzate del mondo sono gli impianti di produzione in disuso. Poiché tali impianti sono spesso iscritti a bilancio a un valore quasi nullo, in quanto sono stati completamente ammortizzati. Essi però sono ancora esposti al rischio di costi elevati di chiusura e smantellamento, in quanto alle imprese è vietato vendere questi vecchi impianti a un prezzo simbolico.
Se le imprese di cemento saranno disposte a pensare fuori dagli schemi e a creare un consorzio con partner complementari, potrebbero ridurre le proprie responsabilità, ridurre il loro impatto negativo sul clima, creare posti di lavoro, migliorare il rendimento degli investimenti e persino alleggerire l’onere fiscale dovuto alla costosa gestione dei rifiuti.